tratto da: www.unimondo.org
I volontari di Greenpeace in Europa e in 29 città italiane, tra cui Milano, Torino, Roma, Firenze, Napoli e Palermo, stanno manifestano per chiedere al gruppo bancario BNP Paribas - che in Italia controlla BNL. Essi chiedono di fermare i suoi investimenti nel campo del nucleare civile non sempre a prova di “bomba”, da Angra3 in Brasile, un reattore nucleare obsoleto e pericoloso, alla devastante estrazione di uranio dalle miniere del Niger, che sta mettendo in serio pericolo la popolazione Tuareg. L’appello è chiaro: “attenzione i tuoi soldi possono essere soggetti ad investimenti radioattivi”.
Oltre la metà di tutti i finanziamenti all'energia nucleare in Europa, ben 92 miliardi di euro dal 2000 al 2009, arriva da un gruppo di soli dieci istituti finanziari. È questo il risultato della ricerca, commissionata dalla coalizione Banktrack di cui fa parte anche Greenpeace. Secondo lo studio - realizzato dall'istituto indipendente Profondo e pubblicato su www.nuclearbanks.org - al primo posto della classifica delle banche nucleari c'è BNP Paribas, banca francese presente in Italia attraverso BNL (Banca Nazionale del Lavoro).
Della partita sono anche UniCredit e Intesa Sanpaolo, che occupano rispettivamente la 23ma e la 28ma posizione nella classifica, anche se per Andrea Lepore responsabile della campagna Nucleare di Greenpeace “non sono ancora disponibili informazioni ufficiali su quali banche finanzierebbero il ritorno del nucleare in Italia voluto dal Governo Berlusconi”.
Oggi BNP sta decidendo di finanziare, assieme ad altre banche francesi, la costruzione del controverso reattore Angra3 (.pdf), paradossalmente a soli 150 chilometri da Rio de Janeiro, la città ove si sono poste le basi per Agenda 21. Il tutto per un valore complessivo 1,1 miliardi di euro. “Angra3 deve essere fermato - dichiara Greenpeace – in quanto usa tecnologie vecchie e precedenti al disastro nucleare di Cernobyl del 1987, che non potrebbe essere costruito in Europa perché non a norma”.
Nessun miglioramento o intervento progettuale potrebbe portare quest'impianto nemmeno vicino ai livelli di sicurezza declamati dalla tecnologia EPR, le centrali che il governo vuole costruire in Italia. “Nessuna analisi dei rischi è stata condotta dai proprietari dell'impianto ed esiste una sola strada di collegamento, peraltro soggetta frequentemente a frane. E poi anche per l'impianto di Angra3, come per tutti gli impianti esistenti, non è ancora stato risolto il problema delle scorie, la cui letale radioattività permane per millenni”.
La campagna è partita a metà ottobre; un video è già disponibile in rete e gli attivisti sono davanti alle sedi BNL in questi giorni. I volontari hanno attaccato adesivi innanzi alle filiali del gruppo con un messaggio per i clienti della banca: “sapete cosa fa la vostra banca con il vostro denaro?”.“I clienti del Gruppo BNP, e in Italia di BNL - spiega Greenpeace - hanno il diritto di sapere come la banca utilizza il denaro depositato e di chiedere di fermare gli investimenti nel settore nucleare. Il Brasile, come l'Italia, non ha bisogno dell'elettricità prodotta dal nucleare, disponendo di abbondanti risorse rinnovabili come il vento, l'idroelettrico e le biomasse, tutte meno costose e infinitamente più sicure”.
Ma il nucleare e i problematici interessi che smuove arrivano non solo in Brasile,ma anche in Africa dove la francese Areva, il gigante dell'energia nucleare, sostenuta sempre da BNP, continua da anni l’estrazione di uranio dalle miniere del Niger.
In collaborazione con il laboratorio francese indipendente Criirad e la rete di Ong Rotab, Greenpeace ha reso pubblico in maggio un monitoraggio della radioattività di acqua, aria e terra intorno alle cittadine di Arlit e Akokan, a pochi chilometri dalle miniere di Areva, accertando i livelli di contaminazione altissimi che Unimondo aveva puntualmente rilanciato.
Le conseguenze? Non solo la radioattività e l’impoverimento progressivo di un territorio che rimane poverissimo, nonostante da oltre quarant'anni sia il terzo produttore di uranio al mondo, ma ora anche la drammatica situazione dei Tuareg. L'attività mineraria, infatti, viola i loro diritti tradizionali alla terra e distrugge la loro patria. E ora anche il vicino Mali ha iniziato a cercare il prezioso minerale sulla terra dei Tuareg.
L’allarme arriva dall’Associazione popoli minacciati che non usa mezzi termini: “la popolazione locale Tuareg, poco scolarizzata e che vive in maniera tradizionale, resta ai margini dell'economia delle città minerarie. A soffrire le peggiori conseguenze per la salute - spiega Ulrich Delius - sono soprattutto i minatori Tuareg, solitamente assunti come lavoratori ausiliari e/o precari. Diversi dipendenti Tuareg hanno inoltre raccontato che l'impresa avrebbe regalato loro attrezzi usati in miniera per l'estrazione dell'uranio - e quindi contaminati - che in questo modo sono stati utilizzati nella costruzione della propria casa, a portata dei bambini e/o usati in cucina”.
“In questo modo, le banche che finanziano progetti nucleari rischiano di rimetterci soldi e reputazione - sostiene Leporedi della campagna per la riforma della banca mondiale. Per questo chiediamo alle banche di spostare i loro investimenti da una fonte sporca e pericolosa come il nucleare verso progetti di efficienza e fonti rinnovabili”. Greenpeace è pronta a rendere pubbliche le future decisioni di investimento delle banche impegnate sul nucleare in Italia. È bene che ne siano consapevoli i correntisti italiani. I minatori Tuareg lo sono già. [A.G.]
http://www.unimondo.org/Notizie/Banche-e-investimenti-radioattivi
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