fonte: AGI mondo ONG
Le organizzazioni umanitarie hanno reso nota l'identità di alcuni dei responsabili dei rapimenti. Su molti di loro pende un mandato di cattura ma al momento sembra siano lasciati agire indisturbati. La denuncia delle ong.
Si chiamerebbe Abu Khaled il capo dei sequestratori dei profughi segregati in alcuni container nella periferia di Rafah, nel deserto Sinai. A diffondere le generalità del trafficante è il gruppo EveryOne, a seguito di un’inchiesta sulle attuali condizioni dei rapiti. La notizia, se confermata, non lascerebbe , secondo la ong, ulteriori 'scuse' al governo egiziano che da giorni si rifiuta di intervenire, sostenendo di non avere informazioni in merito al sequestro. Un atteggiamento, quello delle autorità del Cairo, secondo Roberto Malini, Matteo Pegoraro e Dario Picciau, co-presidenti del Gruppo EveryOne, "per niente nuovo". Già lo scorso agosto, raccontano, "le autorità di Rafah furono informate della presenza di un gruppo di 300 eritrei incatenati e soggetti a estorsione ad al-Mahdeyya, ma anziché liberarli la polizia egiziana si concentrò su un gruppo di eritrei che erano riusciti a fuggire dai container, senza intervenire contro i trafficant". Ora la storia si ripete.
Beduino palestinese, Khaled appena un anno fa avebbe raccontato a un cronista del 'Telegraph' il meccanismo del trafficking di persone e medicinali attraverso l’Egitto. In affari con il trafficante di armi Abu Hamed, Khaled è ufficialmente ricercato dalla polizia, anche se "le autorità egiziane – spiegava nell’intervista – chiudono un occhio sui traffici che riforniscono Gaza". Secondo quanto ipotizza l’associazione EveryOne, inoltre, una volta pagato il riscatto di ottomila euro a testa, i profughi verrebbero fatti passare attraverso i cunicoli sotterranei che collegano l’Egitto a Israele, già ampiamente sfruttati durante le battaglie a Gaza. Complice di Abu Khaled sarebbe Fatawi Mahari, cittadino etiope che dai profughi si fa chiamare 'Wedi Koneriel', già indagato nel 2009 dall’intelligence israeliana con l’accusa di aver organizzato trasferimenti di denaro finalizzati al traffico di esseri umani in Egitto. Anche in questo caso, spiega la ong, i soldi sarebbero stati estorti ai familiari di alcuni africani sequestrati dai beduini nel Sinai. Il dramma nel dramma, riguarda le donne, come stanno documentando i medici della Open Clinic di Tel Aviv-Jaffa, gestita dall’organizzazione israeliana Physicians for Human Rights (Phr), (l'associazione dei medici israeliani che ha visto crescere il numero delle richieste di interruzione volontaria di gravidanza da parte delle donne migranti). Il centro di assistenza accoglie ogni anno migliaia di rifugiati e richiedenti asilo africani, in fuga dai loro Paesi, e che quando arrivano in Israele non avrebbero alcuna copertura sanitaria né supporto psicologico. Nelle conversazioni con i medici, molte donne hanno raccontato di essere state violentate prima di entrare in Israele. Su un totale di 165 interruzioni volontarie di gravidanza seguite dalla clinica tra gennaio-novembre 2010, PHR stima che la metà siano state richieste da donne stuprate nel Sinai. Nello stesso periodo, 1.303 donne sarebbero state sottoposte a trattamenti ginecologici, la maggior parte dei quali resisi necessari a causa delle violenze subite, durante il lungo viaggio attraverso il deserto africano. Le difficoltà affrontate nel Sinai hanno anche provocato un aumento del numero di pazienti assistiti presso i servizi riabilitativi della Open Clinic. Nei primi 11 mesi del 2010, 367 persone sono state sottoposte a trattamento ortopedico e 225 a fisioterapia.
Tragedie e sofferenze in ogni dove, anche nelle nostre civili democrazie.
RispondiEliminaSembra che l'umanità non riesca mai a fare uno scatto in avanti e rimanga sempre incollata al medioevo.
Sono un uomo molto fortunato, ho già avuto così tanto che quasi mi sento in difficoltà a leggere tutta la miseria che abita questo nostro tempo, così progredito e così incivile.
Ciao Rosa, buone cose
Namastè
Paolo, in un angolo di mondo come quello è davvero difficile stabilire i motivi, le responsabilità e forse non è nemmeno il caso.
RispondiEliminaQuello che so è che cose così non dovrebbero accadere, che abbiamo superato il segno e ci siamo persi.
Quello che so è che quando sento molti lamentarsi per la propria esistenza penso a quello che succede nel mondo e mi viene da piangere.
Ti abbraccio forte
Namastè