fonte: Humanita uomo
PESHAWAR, Pakistan, settembre 2010 (IPS) - Quando non stanno cercando di recuperare ciò che resta della loro casa o di aiutare i familiari ammalati, molti rifugiati Afgani si lanciano alla rincorsa dei veicoli che attraversano la Great Trunk Road che collega Peshawar a Islamabad, capitale del Pakistan.
La disperazione è tale che almeno cinque donne sono state investite e uccise mentre cercavano di raggiungere un camion che credevano carico di aiuti. Le alluvioni che hanno inondato il nord-ovest del Pakistan più di un mese fa hanno devastato il paese. Secondo il governo, 20 milioni di persone sono state colpite dal disastro, più di un abitante su dieci.
Ma non è chiaro se la stima includa anche i rifugiati afgani, quasi 1.7 milioni, concentrati nella provincia di Khyber Pakhtunkhwa, a nord-ovest del paese.
I rifugiati afgani sostengono che la loro situazione non rientra certo tra le priorità del governo, considerando i milioni di pakistani vittime del disastro.
Secondo l’Alto Commissariato Rifugiati delle Nazioni Unite (UNHCR), i campi dei rifugiati afgani nei 17 distretti di Khyber Pakhtunkhwa sono stati sommersi dalle alluvioni che hanno distrutto più di 12,600 abitazioni lasciando 85,800 rifugiati senza una casa.
Centinaia di migliaia di persone sono rimaste praticamente senza cibo e acqua e si sono così ammalate. Trovare un medico è difficilissimo.
“Sono giorni che corro da una parte all’altra per cercare qualche soldo e far ricoverare i miei 3 bambini in ospedale”, dice Rasool Shah, 31 anni. “Nel campo avevo un piccolo negozio che è stato distrutto, adesso non ho più niente”.
“I medici del soccorso locale hanno accettato di accogliere tutti e 3 i miei figli affetti da diarrea cronica acuta, ma le cure per noi rifugiati non sono gratuite”.
Lubna Hassan, presidente della Società Ostetrico-Ginecologica pakistana, riferisce che i pakistani colpiti dal disastro dell’alluvione ricevono pieno supporto medico a differenza dei rifugiati afgani che vengono ignorati dal governo.
I medici della Falah Insaniat nei pressi di Azakhel, uno dei più grandi campi profughi, sostengono che la situazione è estremamente complicata e che peggiorerà nei prossimi giorni.
“Gran parte dei rifugiati dei campi soffre di diarrea, dissenteria, tifo, scabbia e malaria a causa dell’acqua inquinata”, dice il medico Riaz Alam. “Ogni giorno riceviamo 300 pazienti, per lo più donne e bambini che soffrono di malattie provocate dal disastro”.
“Circa 700 donne in gravidanza sradicate dal campo Azakhel sono a corto di medicine e di cure prenatali, non hanno cibo sufficiente e probabilmente partoriranno bambini malati”.
Il vice-Presidente dell’Associazione Pediatrica Pakistana Sabir Ali sostiene che il 75 percento dei bambini afgani soffre di diarrea e dissenteria mentre il 35 percento ha infezioni alla pelle. L’ottantacinque percento dei bambini è malnutrito.
“La situazione non mostra alcun segno di miglioramento, gli afghani vivono in pessime condizioni igieniche. Non hanno acqua, strutture igienico-sanitarie e cibo a sufficienza”.
I campi dei rifugiati si trovano soprattutto nei pressi di Peshawar, il capoluogo di provincia a 141 km circa da Islamabad. Molti di questi sono stati spazzati via dall’alluvione.
Azakhel, che contava 23 mila abitanti, oggi è un’area disastrata. L’UNHCR ha donato 1100 tende agli ex abitanti del campo, ma i rifugiati sostengono che il numero è inadeguato e che non c’è spazio sufficiente per sistemarle.
Molti di loro sono finiti sulla Great Trunk Road. Molte famiglie hanno piantato le loro tende al centro della strada così che donne e bambini possano chiedere cibo ai veicoli di passaggio.
Gli Afgani hanno cominciato ad arrivare in Pakistan circa trenta anni fa, in seguito all’invasione sovietica. Il Pakistan, contava ben 27 campi profughi afgani, ma molti di questi sono stati chiusi negli ultimi tre anni, a seguito dei tagli degli aiuti internazionali.
Sebbene il Pakistan abbia deciso di prolungare il soggiorno per i rifugiati afgani fino a dicembre 2012, è cominciato il programma di rimpatrio volontario delle Nazioni Unite che ha visto ogni anno un migliaio di afgani tornare al loro paese.
Dopo le inondazioni, circa 400 famiglie afgane colpite dalla calamità sono rientrate in Afganistan. Zar Alam Khan, il più anziano del campo, dice: “Chi proveniva dall’Afganistan è tornato nella propria città d’origine. Dove dovremmo andare? Anche lì, così come in Pakistan, non siamo graditi”.
“Viviamo in un doppio pericolo. Il problema è anche in Afganistan non abbiamo un posto in cui vivere”.
“Il fiume ha spazzato via tutti e tutto”, ha detto Khan, grattandosi la folta barba grigia. “Azakhel non è adatta né sicura per noi. O il Pakistan ci trova un altro posto più sicuro o chiede al presidente Hamid Karzai di accogliere i nomadi del Kochis dislocati ad Azakhel”.
Ma non è chiaro se la stima includa anche i rifugiati afgani, quasi 1.7 milioni, concentrati nella provincia di Khyber Pakhtunkhwa, a nord-ovest del paese.
I rifugiati afgani sostengono che la loro situazione non rientra certo tra le priorità del governo, considerando i milioni di pakistani vittime del disastro.
Secondo l’Alto Commissariato Rifugiati delle Nazioni Unite (UNHCR), i campi dei rifugiati afgani nei 17 distretti di Khyber Pakhtunkhwa sono stati sommersi dalle alluvioni che hanno distrutto più di 12,600 abitazioni lasciando 85,800 rifugiati senza una casa.
Centinaia di migliaia di persone sono rimaste praticamente senza cibo e acqua e si sono così ammalate. Trovare un medico è difficilissimo.
“Sono giorni che corro da una parte all’altra per cercare qualche soldo e far ricoverare i miei 3 bambini in ospedale”, dice Rasool Shah, 31 anni. “Nel campo avevo un piccolo negozio che è stato distrutto, adesso non ho più niente”.
“I medici del soccorso locale hanno accettato di accogliere tutti e 3 i miei figli affetti da diarrea cronica acuta, ma le cure per noi rifugiati non sono gratuite”.
Lubna Hassan, presidente della Società Ostetrico-Ginecologica pakistana, riferisce che i pakistani colpiti dal disastro dell’alluvione ricevono pieno supporto medico a differenza dei rifugiati afgani che vengono ignorati dal governo.
I medici della Falah Insaniat nei pressi di Azakhel, uno dei più grandi campi profughi, sostengono che la situazione è estremamente complicata e che peggiorerà nei prossimi giorni.
“Gran parte dei rifugiati dei campi soffre di diarrea, dissenteria, tifo, scabbia e malaria a causa dell’acqua inquinata”, dice il medico Riaz Alam. “Ogni giorno riceviamo 300 pazienti, per lo più donne e bambini che soffrono di malattie provocate dal disastro”.
“Circa 700 donne in gravidanza sradicate dal campo Azakhel sono a corto di medicine e di cure prenatali, non hanno cibo sufficiente e probabilmente partoriranno bambini malati”.
Il vice-Presidente dell’Associazione Pediatrica Pakistana Sabir Ali sostiene che il 75 percento dei bambini afgani soffre di diarrea e dissenteria mentre il 35 percento ha infezioni alla pelle. L’ottantacinque percento dei bambini è malnutrito.
“La situazione non mostra alcun segno di miglioramento, gli afghani vivono in pessime condizioni igieniche. Non hanno acqua, strutture igienico-sanitarie e cibo a sufficienza”.
I campi dei rifugiati si trovano soprattutto nei pressi di Peshawar, il capoluogo di provincia a 141 km circa da Islamabad. Molti di questi sono stati spazzati via dall’alluvione.
Azakhel, che contava 23 mila abitanti, oggi è un’area disastrata. L’UNHCR ha donato 1100 tende agli ex abitanti del campo, ma i rifugiati sostengono che il numero è inadeguato e che non c’è spazio sufficiente per sistemarle.
Molti di loro sono finiti sulla Great Trunk Road. Molte famiglie hanno piantato le loro tende al centro della strada così che donne e bambini possano chiedere cibo ai veicoli di passaggio.
Gli Afgani hanno cominciato ad arrivare in Pakistan circa trenta anni fa, in seguito all’invasione sovietica. Il Pakistan, contava ben 27 campi profughi afgani, ma molti di questi sono stati chiusi negli ultimi tre anni, a seguito dei tagli degli aiuti internazionali.
Sebbene il Pakistan abbia deciso di prolungare il soggiorno per i rifugiati afgani fino a dicembre 2012, è cominciato il programma di rimpatrio volontario delle Nazioni Unite che ha visto ogni anno un migliaio di afgani tornare al loro paese.
Dopo le inondazioni, circa 400 famiglie afgane colpite dalla calamità sono rientrate in Afganistan. Zar Alam Khan, il più anziano del campo, dice: “Chi proveniva dall’Afganistan è tornato nella propria città d’origine. Dove dovremmo andare? Anche lì, così come in Pakistan, non siamo graditi”.
“Viviamo in un doppio pericolo. Il problema è anche in Afganistan non abbiamo un posto in cui vivere”.
“Il fiume ha spazzato via tutti e tutto”, ha detto Khan, grattandosi la folta barba grigia. “Azakhel non è adatta né sicura per noi. O il Pakistan ci trova un altro posto più sicuro o chiede al presidente Hamid Karzai di accogliere i nomadi del Kochis dislocati ad Azakhel”.
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