fonte: www.unimondo.org
Un famoso pezzo degli anni ottanta della cantante afroamericana Tracy Chapman suonava così: “Non lo sapete ancora? Stanno parlando di una rivoluzione. Sembra un sussurro.[…] I poveri si alzeranno per prendersi la loro parte per riprendersi ciò che è loro.” A Maputo, questo sussurro assume la moderna forma di sms. Ci vuole poco per creare tam tam oggi. In assenza di sindacati l’informazione corre veloce da cellulare a cellulare. Da un angolo all’altro dell’estesa capitale mozambicana.
Fino a martedì sera della scorsa settimana, le fonti ufficiali dichiaravano che non era stata autorizzata nessuna manifestazione. Il comando generale della polizia della Repubblica del Mozambico, nel definire illegittima la presunta manifestazione contro l’aumento del costo della vita, appellava alla calma e chiedeva ai cittadini di comportarsi normalmente.
Consueto risveglio dunque il giorno seguente: migliaia di pendolari partono all’alba per recarsi al lavoro raggiungendo con i mezzi pubblici la cosiddetta “città alta” ovvero quei pochi km quadrati di grattacieli, di palazzi ministeriali, di vita lavorativa formalmente riconosciuta. Nel frattempo iniziano i disordini in alcuni punti della città: sassaiole contro i mezzi di trasporto, assalto ai negozi, pneumatici che bruciano.
La risposta è immediata. Memori di analoga esperienza a febbraio 2008 (che provocò 11 morti) per prima cosa la polizia blocca tutte le entrate della città. E poi la reazione in periferia per cercare di bloccare i moti con lacrimogeni, manganelli, spari. Le informazioni tardano ad arrivare.
Prima ancora che dalla televisione arrivano dal vociare che si sparge in una città che minuto dopo minuto diventa più deserta, più silenziosa immersa in una calma irreale, carica di tensione. E’ morto un bambino. Stava uscendo di scuola e un proiettile lo ha colpito. Le scuole si bloccano. I genitori cercano di raggiungere i figli per riportarli al sicuro nelle case. Maputo diventa blindata nel giro di poche ore.
I lavoratori smettono di lavorare e si riversano in strada per tornare alle proprie case. I mezzi di trasporto non circolano per paura degli assalti. Non resta loro che affrontare a piedi la distanza. Molti provengono da Matola, città alla periferia Sud di Maputo che dista venti chilometri. Dalle interviste in diretta televisiva si coglie il terrore di dover affrontare la strada con la polizia che non sta a sottilizzare tra chi torna a casa, chi manifesta e chi commette atti violenti. Tutto ciò che si muove per strada è colto come pericolo.
Paura ben fondata: un giovane funzionario dell’istituto di metrologia è raggiunto da un proiettile vicino casa e muore. Cosa sta accadendo in Mozambico?
Dal primo settembre, sono entrate in vigore le nuove tariffe per l’acqua potabile e per l’elettricità. Un aumento del 14% per gli usi domestici. Il pane ha subito aumenti dal 40% al 100%.
Il resto dei prodotti alimentari aumentano in modo incontrollato per scelta dei negozianti che devono fare i conti con l’aumento dei costi degli alimenti a livello mondiale. Il riso, per prendere uno degli alimenti base, bene di importazione, da un giorno all’altro aumenta del 50%.
Ma anche i prodotti della terra hanno costi molto elevati: un kg di pomodori a Maputo costa 1,20 Euro; un Kg di patate 90 centesimi. Ogni giorno i prezzi lievitano.
Il salario minimo in Mozambico è di 2.500 Meticais equivalenti a 53 Euro circa. E’ la paga degli operai non qualificati, del personale di servizio nelle amministrazioni. Un professore di scuola elementare e media non supera i 150 Euro mensili. L’esercito di domestici e domestiche, guadagna anche meno del salario minimo e senza nessuna assicurazione lavorativa.
Per queste persone raggiungere la città alta dal proprio quartiere significa alzarsi la mattina alle quattro. Partire alle cinque per poter essere al lavoro entro le sette, districarsi tra almeno due affollati “chapas” (pullmini privati) al costo di 10 Meticais all’andata e 10 al ritorno. Per un totale di 20 Meticais al giorno (40 centesimi) in mezzi di trasporto, nonché di 4 ore di tempo da sommarsi alle 10 (minimo) di lavoro. A febbraio 2008 gli scontri sono stati causati proprio dall’aumento del 100% del costo dei mezzi di trasporto, essenziali nella vita lavorativa urbana. In quell’occasione il governo dovette intervenire per calmierare i prezzi nonostante l’aumento del costo del petrolio.
L’elevatissimo tasso di disoccupazione implica inoltre che per ogni lavoratore ci sia una famiglia allargata da sostenere con il proprio salario. L’aggregato familiare medio nelle stime ufficiali è considerato di cinque persone.
La sensazione più forte nel ritrovare il Mozambico di oggi, da Beira, a Caia e soprattutto a Maputo è che in apparenza le cose stiano cambiando velocemente: migliorano le strade, si estende la rete elettrica, la fibra ottica raggiunge anche le zone più remote del paese, gli imprenditori di tutto il mondo convengono come di consueto all’annuale fiera FACIM volta a promuovere gli investimenti nel paese. Ciononostante permane la sensazione che si tratti di un gioco di apparenze.
La visione cambia conversando con le persone: il disappunto del professore di scuola secondaria che si lamenta di non dover più guardare alla qualità dell’insegnamento e dell’apprendimento degli alunni ma limitarsi a raggiungere le mete fissate dai donatori internazionali, la preoccupazione di padri e madri nel voler garantire scuole private ai figli affinché ricevano una formazione minimamente dignitosa, la disillusione in ogni dove sulla capacità dei servizi sanitari che nelle zone periferiche significa guardare esclusivamente alla medicina tradizionale mentre in capitale dover racimolare migliaia di Euro per ottenere una diagnosi certa in Sudafrica. Le cifre diventano astronomiche quando si inizia a parlare di operazioni o di ricoveri prolungati.
Venerdì sembra definitivamente tornata la calma: re-iniziano a circolare le automobili, la città si caratterizza per le lunghe file ai panifici in quel mosaico di sfumature che è il vero volto del Mozambico, una terra di scambi, che ha prodotto meticciato, i cui passaggi sono scolpiti nei tratti della gente. Ciononostante gli sms continuino a propagare nell’aere maputense le cose più diverse: dall’incitare alla ripresa degli assalti (“questa sera, attacchiamo e incendiamo la portagem” - casello con pedaggio a pagamento per quanti si recano in direzione Sudafrica passando per una delle zone più popolose, il municipio di Matola) alla satira sull’atteggiamento blando del governo (“dopo una lunga sessione del Consiglio dei Ministri, finalmente si raggiunge il consenso sulla posizione dell’esecutivo nei confronti del popolo: “Futsekane!” ovvero “Via! Non rompete!” in lingua mashangana), alle barzellette (“ vi prego attacchiamo tutto ma salviamo la 2M” - la fabbrica di birra).
Nel quartiere di Mavalane, seduti al bar di un amico artista che con l’associazione “Muteko Waho” (insieme possiamo!) ha creato un circolo culturale, si commentano i fatti dei giorni scorsi assieme ad un gruppo di giovani musicisti, scrittori, scultori, pittori provenienti da tutto il paese.
Ovunque, dall’ambiente familiare alla strada, si coglie un senso di disaffezione alla politica che vuole mostrare all’esterno il volto di un paese moderno ed in piena crescita. “La verità è che manchiamo di esempi, di persone che guardino davvero al bene del paese”. La parola più frequente nella veemenza delle loro trattazioni è arroganza. Arroganza nell’apostrofare come vandalismo i fatti accaduti senza cercare minimamente di aprirsi al dialogo, al confronto, alla seria discussione dei problemi. La stessa parola che compare nel titolo di copertina di “Savana”, che offre settimanalmente qualche punto di vista alternativo, nell’edizione di giovedì 3 settembre: “Il prezzo dell’arroganza”.
Queste situazioni sono estremamente complicate da analizzare tanto nelle cause quanto nelle possibili soluzioni poiché si intrecciano inestricabilmente responsabilità esterne ed interne. In decenni di finanza selvaggia non sono stati salvaguardati nemmeno i beni primari e la crisi alimentare dovuta all’impennata dei prezzi dei cereali è significata crisi con la C maiuscola per la maggioranza dei paesi del Sud del mondo. Non di meno la scelta di cedere la terra mozambicana, da sempre considerata bene collettivo, patrimonio degli antenati, alla produzione di biodiesel anziché di alimenti affermando nei fatti la sovranità alimentare.
In un mondo sempre più interdipendente non si può evitare di associare l’aumento dei prezzi del pane in Mozambico ai roghi che hanno compromesso, lo scorso agosto, i raccolti russi di grano facendo schizzare il prezzo del cereale sul mercato mondiale. La Russia produce infatti circa il 10% del grano a livello mondiale. Un effetto farfalla drammaticamente immediato. L’aumento dei prezzi è inoltre determinato dalla forte rivalutazione del rand sudafricano raddoppiato negli ultimi sei mesi rispetto al metical, incidendo fortemente sul rialzo del tasso d’inflazione.
Il 7 settembre di ogni anno in Mozambico si ricorda l’anniversario degli accordi di Lusaka che nel 1974 mettevano fine alla guerra di indipendenza dal Portogallo e aprivano la strada all’indipendenza nazionale, proclamata il 25 giugno 1975. Qualche giorno fa, in occasione di questa festa nazionale, il governo, per voce del ministro della Pianificazione e dello Sviluppo, Aiuba Cuereneia, prende posizione e dichiara di voler intervenire per bloccare l’aumento dei prezzi. Una serie di manovre prevedono infatti il congelamento dell’aumento dei prezzi di pane, acqua ed energia, almeno fino alla fine dell’anno. Tra i propositi anche quello di tagliare alcuni benefit ai membri del governo per fronteggiare la crisi.
Il settimanale gratuito “@ verdade” (la verità) titola nel numero di giovedì 9 settembre 2010 “La vittoria del popolo”. Una vittoria dolorosa per la perdita di Hélio, il ragazzo di undici anni che è deceduto all’uscita di scuola abbracciando la sua cartella, e di altre dodici persone. Per i danni provocati dalla violenza e dai saccheggi che costituiscono un ulteriore, altissimo prezzo da pagare per l’intero paese. Per quelle domande sospese nel vuoto sull’uso di proiettili veri apparentemente senza autorizzazione.
Una vittoria fragile per la sua provvisorietà, viste le difficoltà dell’esecutivo a sovvenzionare il settore privato (tant’è che solo i panifici del settore formale potranno ricevere i sussidi governativi al fine di contenere i prezzi al dettaglio) e le pressioni del Fondo Monetario Internazionale che chiede di liberalizzare i prezzi.
Una vittoria muta dal momento che da inizio settimana risulta impossibile inviare e ricevere sms su entrambe le reti di telefonia mobile del paese le quali si sono premurate di informare che non ci sono problemi tecnici di sorta relativamente al disservizio. Una vittoria che sa un po’ di censura.
Forse non è proprio una vittoria come quella che si celebrava nel 1974 carica com’era di speranza in un futuro migliore. C’è ancora molta strada da percorrere affinché la libertà che si auspicava con l’indipendenza sia anche libertà dalla povertà e dalle disuguaglianze.
Echeggia dunque il ritornello della canzone iniziale: “So you better run run run… run run”. Meglio affrettarsi dunque, correre e concorrere al ripensare la politica, l’economia, la cooperazione e - più in piccolo - come abitare questo mondo ovunque ci si trovi.
Jenny Capuano
(direttrice del Centro di Formazione alla Solidarietà Internazionale)
Nessun commento:
Posta un commento
La moderazione dei commenti è stata attivata. Tutti i commenti devono essere approvati dall'autore del blog.
Non verranno presi in considerazione gli interventi non attinenti agli argomenti trattati nel post o di auto-promozione.
Grazie.