Le immagini dal satellite diffuse da Amnesty International rivelano campi in continua espansione. Ma le autorità nordcoreane continuano a negare
tratto da: Diritto di critica
«In una stanza di 50 metri quadrati dormono dai 30 ai 40 prigionieri politici. Si dorme su un’asse di legno con sopra una coperta. La giornata inizia alle 4 di mattina col primo turno, chiamato “il turno prima del cibo”, fino alle 7. La colazione è dalle 7 alle 8 ma ogni pasto è fatto di soli 200 grammi di zuppa di cereali preparata sommariamente. Il turno di mattina va dalle 8 alle 12, il pranzo è alle 13. Poi si lavora di nuovo fino alle 20, la cena è dalle 20 alle 21. Seguono due ore di educazione ideologica. Se non s’imparano a memoria i dieci codici dell’etica non si può andare a dormire. Il programma del giorno è questo». Non è un balzo indietro nel tempo, né una testimonianza raccolta anni fa nel periodo tristemente famoso della Shoa e dei campi di concentramento. In un mondo occidentale che trova diritti da difendere con le armi solo nei Paesi in cui ha degli interessi economici o politici, per le notizie su uno Stato come la Corea del Nord non c’è poi tanto posto. Anche se oggi, nel 2011, si possono ancora raccogliere testimonianze come quella di Jeong Kyoungil, arrestato nel 1999 e detenuto nel campo per prigionieri politici di Yodok fino al 2003.
«Quella scarna scodella di 200 grammi di zuppa di cereali – ha spiegato ancora Jeong agli operatori di Amnesty International che l’hanno intervistato nell’aprile 2011 a Seoul - viene servita solo se si finisce il compito assegnato giornalmente. Altrimenti niente. Il compito consiste nel falciare le erbacce nei campi. A ogni detenuto vengono assegnati 1157 metri quadrati di terreno e solo quelli che terminano il lavoro ricevono il cibo. Chi ha fatto metà del lavoro, riceve metà pasto». La storia continua, agghiacciante. «Vedere prigionieri che muoiono succede frequentemente, direi ogni giorno. A essere sincero, a differenza di una società normale, è un fatto che provoca piacere anziché tristezza, perché chi trasporta una salma e la seppellisce riceve un’altra scodella di cibo. Io mi occupavo delle sepolture. Quando un responsabile del campo mi chiamava, radunavo un po’ di persone e seppellivamo i cadaveri. Dopo aver ricevuto cibo extra, ci sentivamo contenti invece che tristi».
La storia di Jeong Kyoungil si unisce a quella di altri ex prigionieri politici e guardiani dei campi raccolte da Amnesty International per cercare di fornire uno spaccato quanto più reale possibile sulle condizioni durissime all’interno dei campi per prigionieri politici in Corea del Nord, oltre che della loro ampiezza e localizzazione. Ieri, 2 maggio, l’organizzazione per i diritti umani ha anche diffuso le immagini satellitari di quattro campi creati nelle aree disabitate delle provincie di Pyongan sud, Hamkyung sud e Hamkyung nord, con particolari approfondimenti del campo 15, Yodok: le immagini hanno permesso di gettare luce su una drammatica situazione che il Paese, nonostante le evidenze, continua a negare.
Secondo le stime, oltre 200.000 persone sarebbero oggi rinchiuse in campi come quello descritto e le immagini raccolte da Amnesty International ne evidenzierebbero un aumento di ampiezza dal 2001 ad oggi. «Per decenni le autorità della Corea del Nord hanno negato l’esistenza di campi di detenzione di massa per prigionieri politici. – ha dichiarato al riguardo Sam Zarifi, direttore per l’Asia e il Pacifico di Amnesty International - Si tratta di luoghi fuori dalla vista del resto del mondo, dove viene ignorato quasi del tutto l’intero sistema di protezione dei diritti umani che il diritto internazionale ha cercato di costruire negli ultimi 60 anni».
I detenuti infatti sarebbero costretti a lavorare praticamente in condizioni di schiavitù e sottoposti a torture e vessazioni che l’organizzazione per i diritti umani ha definito “crudeli, inumane e degradanti”. Molte delle persone attualmente detenute nei campi di prigionia non sanno di che reati siano state accusate, mentre altre sarebbero state imprigionate sulla base del fatto che un loro parente era già stato arrestato oppure per reati associativi, oppure ancora sulla base di processi farsa e di confessioni estorte con la tortura: la maggioranza dei prigionieri secondo Amnesty International si troverebbe nelle Zone a Controllo Totale, dalle quali non verrà mai rilasciata. Sebbene l’organizzazione per i diritti umani ritiene che i campi siano in funzione dagli anni Cinquanta, solo tre persone fino ad oggi sono riuscite ad evadere e a fuggire dal Paese. «Ma chi cercava di evadere – ha raccontato Kim, un ex detenuto nel campo Kwanliso 15 di Yodok – veniva ripreso, interrogato per due o tre mesi e poi ucciso». Dal campo in questione sarebbero state rilasciate soltanto 30 persone e almeno il 40% dei prigionieri tra il 1999 e il 2011 sarebbe morto per denutrizione. Ai detenuti non è fornito un abbigliamento adeguato e il cibo è scarso: tra le testimonianze raccolte da Amnesty International, molte parlano di persone costrette a mangiare topi o a recuperare chicchi di mais dalle interiora degli animali, a rischio di subire torture o essere posti in isolamento.
«Centinaia di migliaia di persone – ha concluso Zarifi - passano la loro esistenza senza praticamente alcun diritto, trattati in buona sostanza come schiavi, in alcune delle peggiori condizioni mai documentate da Amnesty International negli ultimi 50 anni: condizioni inumane, che devono spingere Kim Jong-il a chiudere i campi di prigionia immediatamente».
«Quella scarna scodella di 200 grammi di zuppa di cereali – ha spiegato ancora Jeong agli operatori di Amnesty International che l’hanno intervistato nell’aprile 2011 a Seoul - viene servita solo se si finisce il compito assegnato giornalmente. Altrimenti niente. Il compito consiste nel falciare le erbacce nei campi. A ogni detenuto vengono assegnati 1157 metri quadrati di terreno e solo quelli che terminano il lavoro ricevono il cibo. Chi ha fatto metà del lavoro, riceve metà pasto». La storia continua, agghiacciante. «Vedere prigionieri che muoiono succede frequentemente, direi ogni giorno. A essere sincero, a differenza di una società normale, è un fatto che provoca piacere anziché tristezza, perché chi trasporta una salma e la seppellisce riceve un’altra scodella di cibo. Io mi occupavo delle sepolture. Quando un responsabile del campo mi chiamava, radunavo un po’ di persone e seppellivamo i cadaveri. Dopo aver ricevuto cibo extra, ci sentivamo contenti invece che tristi».
La storia di Jeong Kyoungil si unisce a quella di altri ex prigionieri politici e guardiani dei campi raccolte da Amnesty International per cercare di fornire uno spaccato quanto più reale possibile sulle condizioni durissime all’interno dei campi per prigionieri politici in Corea del Nord, oltre che della loro ampiezza e localizzazione. Ieri, 2 maggio, l’organizzazione per i diritti umani ha anche diffuso le immagini satellitari di quattro campi creati nelle aree disabitate delle provincie di Pyongan sud, Hamkyung sud e Hamkyung nord, con particolari approfondimenti del campo 15, Yodok: le immagini hanno permesso di gettare luce su una drammatica situazione che il Paese, nonostante le evidenze, continua a negare.
Secondo le stime, oltre 200.000 persone sarebbero oggi rinchiuse in campi come quello descritto e le immagini raccolte da Amnesty International ne evidenzierebbero un aumento di ampiezza dal 2001 ad oggi. «Per decenni le autorità della Corea del Nord hanno negato l’esistenza di campi di detenzione di massa per prigionieri politici. – ha dichiarato al riguardo Sam Zarifi, direttore per l’Asia e il Pacifico di Amnesty International - Si tratta di luoghi fuori dalla vista del resto del mondo, dove viene ignorato quasi del tutto l’intero sistema di protezione dei diritti umani che il diritto internazionale ha cercato di costruire negli ultimi 60 anni».
I detenuti infatti sarebbero costretti a lavorare praticamente in condizioni di schiavitù e sottoposti a torture e vessazioni che l’organizzazione per i diritti umani ha definito “crudeli, inumane e degradanti”. Molte delle persone attualmente detenute nei campi di prigionia non sanno di che reati siano state accusate, mentre altre sarebbero state imprigionate sulla base del fatto che un loro parente era già stato arrestato oppure per reati associativi, oppure ancora sulla base di processi farsa e di confessioni estorte con la tortura: la maggioranza dei prigionieri secondo Amnesty International si troverebbe nelle Zone a Controllo Totale, dalle quali non verrà mai rilasciata. Sebbene l’organizzazione per i diritti umani ritiene che i campi siano in funzione dagli anni Cinquanta, solo tre persone fino ad oggi sono riuscite ad evadere e a fuggire dal Paese. «Ma chi cercava di evadere – ha raccontato Kim, un ex detenuto nel campo Kwanliso 15 di Yodok – veniva ripreso, interrogato per due o tre mesi e poi ucciso». Dal campo in questione sarebbero state rilasciate soltanto 30 persone e almeno il 40% dei prigionieri tra il 1999 e il 2011 sarebbe morto per denutrizione. Ai detenuti non è fornito un abbigliamento adeguato e il cibo è scarso: tra le testimonianze raccolte da Amnesty International, molte parlano di persone costrette a mangiare topi o a recuperare chicchi di mais dalle interiora degli animali, a rischio di subire torture o essere posti in isolamento.
«Centinaia di migliaia di persone – ha concluso Zarifi - passano la loro esistenza senza praticamente alcun diritto, trattati in buona sostanza come schiavi, in alcune delle peggiori condizioni mai documentate da Amnesty International negli ultimi 50 anni: condizioni inumane, che devono spingere Kim Jong-il a chiudere i campi di prigionia immediatamente».
http://www.dirittodicritica.com/2011/05/04/corea-nord-campi-prigionieri-politici-19365/
(lFotografie: Amnesty International- sezione italiana )
(lFotografie: Amnesty International- sezione italiana )
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