Vi è mai capitato di parlare in passato con giovani anche assai brillanti, cresciuti in famiglie dove non gli stimoli culturali non mancavano, di alcuni elementari meccanismi che consentono il funzionamento di uno stato come la tassazione, il sistema pensionistico, la contrattazione collettiva? A me sì, e mi ha colpito il fatto che ne sapessero pochissimo, e che ascoltassero le mie spiegazioni con lo stupore che si riserva a una cosa del tutto nuova. Eppure si trattava di giovani che leggevano i giornali e non disdegnavano l'impegno politico e sociale. Semplicemente, nel corso dei loro studi non avevano mai avuto l'occasione di approfondire questi argomenti, e avevano la percezione che si trattasse di meccanismi dotati di vita propria e destinati ad esistere in modo indipendente dalle volontà individuali, dunque non particolarmente interessanti.
I tempi stanno brutalmente dimostrando che questa percezione era completamente sbagliata. Che i sistemi di tassazione possano essere modificati per favorire alcuni e colpire altri, che il sistema previdenziale possa essere messo in discussione non soltanto attraverso l'innalzamento dell'età pensionabile, ma anche destrutturando il mercato del lavoro, che i contratti collettivi stiano subendo, a partire da Pomigliano, un attacco senza precedenti, è cosa del tutto evidente per quelli della mia età. Ma quei giovani, che pure pagheranno sulla loro pelle i cambiamenti, hanno difficoltà a capire quel che sta accadendo. Sentono confusamente che nei loro confronti si sta consumando una grande ingiustizia, ma non sono in grado di coglierne gli aspetti essenziali. E se vale per chi si è laureato con la lode e la dignità di stampa, vale a maggior ragione per chi ha finito a stento la scuola dell'obbligo e non è in grado di capire quello che legge. Oltre il 70% degli italiani, secondo gli esperti, è in questa drammatica situazione.
Come stupirsi dunque se il paese sembra accettare senza troppe resistenze le misure di politica economica proposte dal governo Berlusconi, che modificheranno in modo radicale il modo di vivere di milioni di persone e sono tra l'altro l'esatto contrario di quello che era stato promesso in campagna elettorale? Gli slogan vuoti delle televisioni e dei giornali impediscono di capire, e nascondono una realtà fatta di sopraffazione e di violenza, dove i ricchi saranno sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri. Un esempio per tutti? L'uso continuo, quasi ossessivo, del termine "sviluppo", un magico feticcio da inseguire ad ogni costo, calpestando la dignità degli operai chiamati a lavorare di più per un salario minore, o sacrificati sull'altare della produttività. Qualcuno, prima o poi, dovrà spiegare che l'obiettivo dello sviluppo dovrebbe essere il benessere delle persone. Se non solo non lo realizza, ma anzi peggiora le loro condizioni, è meglio chiamarlo sfruttamento.
In queste condizioni, chi vuole opporsi alla berlusconizzazione del paese ha davanti a sé una strada difficile, perché deve fare i conti con l'inefficacia della politica tradizionale. I bizantinismi e i sottili distinguo dell'azione parlamentare possono forse appassionare un ristretto numero di addetti ai lavori, ma non hanno alcuna efficacia nei confronti di quel 70% di semianalfabeti, e rischiano di disgustare gli altri. Servono più cuore, più passione, più coraggio nel mettere in discussione un sistema economico che sta vivendo una crisi epocale. La via d'uscita scelta dalla destra non è l'unica possibile.
domenica 20 giugno 2010
Crisi epocale
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