martedì 7 dicembre 2010

Decrescita: il piacere della misura

di Paolo Bartolini - Megachip

Chiunque abbia riconosciuto nella Decrescita la chiave di una svolta epocale, il mezzo indispensabile per la fuoriuscita dal sistema dell’accumulazione infinita e dalla sua insensata violenza, si scontra con la difficoltà enorme di comunicare questa consapevolezza ai propri simili.
E’ diffusa, infatti, una paura pervasiva che associa la decrescita alla perdita di benessere e alla miseria, laddove essa rappresenta – al contrario – l’opportunità di innalzare la qualità della vita riducendo drasticamente gli effetti dannosi dello sviluppo tecnoindustriale (insomma: una specie di dieta per una società obesa che rischia di morire per i suoi eccessi).
Tale timore è comunque comprensibile, se è vero che nell’Occidente opulento il mito della crescita illimitata ha saturato tutti gli spazi immaginativi ed è venuto a coincidere con una specie di a-storico paradiso terreno, accessibile a tutti i consumatori di buona volontà.
La tentazione, allora, sarebbe quella di fondare una comunicazione “decrescitista” su principi di puro antagonismo al sistema della crescita. Questa scelta, sul versante simbolico, è certamente utile e raccomandabile, soprattutto per evitare l’equivoco sviluppista di quelle forze anticapitalistiche che si agitano nelle prossimità dell’estrema sinistra.
Tuttavia, sostenere fermamente la necessità di una decrescita economica propedeutica alla creazione di una società equa e sostenibile, ci impone la saggezza di far notare alle persone con cui parliamo che loro stesse, senza accorgersene, stanno chiedendo alla società di mercato quello che solo una società di decrescita oggi potrebbe garantire.
E qui torna utile un passaggio illuminante di Serge Latouche: «La fuoriuscita dal sistema produttivista e lavorista attuale presuppone un’organizzazione sociale completamente differente, nella quale il tempo libero e il gioco vengono valorizzati accanto al lavoro e le relazioni sociali prevalgono sulla produzione e il consumo di prodotti deperibili, inutili o addirittura nocivi» (Breve trattato sulla decrescita serena, 2008, pag.103).
Il fascino di questi concetti non deve però trarci in inganno. L’«organizzazione sociale completamente differente» deve essere tale, non per mera opposizione ai valori della crescita (saremmo ancora all’interno di quella invidia/mancanza che – come ricordava il grande psicoanalista Elvio Fachinelli – ha segnato la subalternità simbolica della Sinistra rispetto alla Destra), ma per portare a compimento le esigenze profonde che l’uomo contemporaneo non riesce più a soddisfare nell’epoca del capitalismo assoluto.
Difatti, a ben guardare, la vera miseria psicologica e morale dell’uomo consumatore è quella di aver sepolto i suoi bisogni fondamentali al di sotto della coltre variopinta dei desideri illimitati.
Questa breve divagazione ci riporta alla precedente frase di Latouche. In essa l’autore francese ci ricorda che una futura società di decrescita dovrà stabilire una sua autonoma gerarchia di valori, scollegandosi dal circolo vizioso della produzione e del consumo. Ma quali sarebbero questi valori da rifondare?
Essenzialmente tre:
- tempo libero
- gioco
- relazioni sociali.
Vorremmo allora notare, in vista di una migliore comunicazione pubblica del “progetto decrescitista”, che i tre valori sopra indicati sono, pur deformati e sfigurati dalla logica del profitto e dell’accumulo infinito di plusvalore, tre pilastri della retorica pubblicitaria da alcuni decenni.
Insomma: tutti gli esseri umani vorrebbero avere tempo libero, giocare e godere di relazioni sociali appaganti. Non è forse il mercato quella sfera delle azioni umane che si propone, nella sua fase neoliberista, di liberare il nostro tempo dalla fatica del lavoro per sostituirla con la panoplia degli svaghi, dei giochi e dell’intrattenimento? E inoltre, non è il mercato che innova continuamente le piattaforme comunicative indispensabili per “essere in contatto” con gli altri, liberi e felici di frequentare bella gente?
È chiaro allora che la sfida dei decrescitisti è soprattutto quella di comunicare con forza e coerenza che il mercato non ha alcun interesse a soddisfare i bisogni sottostanti ai tre valori appena discussi.
Anzi, esso continua ad estendere il proprio dominio perché, come nei peggiori circoli viziosi, il suo operare è la causa stessa della continua riduzione del nostro tempo libero, della banalizzazione del gioco e del divertimento, nonché della distruzione dei beni relazionali (fiducia, amicizia, amore,…).
Il funzionamento è identico a quello delle droghe, tanto per capirci.
Alla luce di quanto detto finora, crediamo che la penetrazione culturale della Decrescita nel desolato paesaggio della contemporaneità dovrà, innanzitutto, avvalersi coscientemente del potere simbolico del Piacere, concetto oggi sequestrato dalla civiltà dei consumi, ma anticamente connesso al concetto di vita saggia, soprattutto nella sua declinazione epicurea.
Chiudiamo allora con le parole del filosofo Romano Màdera, lasciando al lettore la libertà di accettare, rielaborare o rifiutare il senso di questo breve intervento:
«Oggi penso sia chiaro […] che […] l’alternativa alla società del capitalismo globale deve puntare a una nuova cultura del limite. Limite però non concepito come negazione e repressione del desiderio, ma, all’opposto, come condizione necessaria del suo soddisfacimento» (da “Psiche e Politica”, Rivista di Psicologia Analitica, 2010, pag. 277).

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