The Guardian
Con la contrattura economica dell’ultimo anno (che ha del resto interessato la gran parte dei sistemi economici dell’emisfero occidentale), con i problemi legati a blackout elettrici e con il valore della moneta precipitato pesantemente nel mercato parallelo, le vicende della rovina economica del Venezuela stanno di nuovo facendo notizia. Il Washington Post, in un articolo di taglio editoriale, dice che il Venezuela è “avvolto in una crisi economica” e che “anni di interventi statali nell’economia stanno facendo pagare un tributo pesante agli affari privati”.
C’è un fatto importante che non viene quasi mai menzionato dai giornali negli articoli che parlano del Venezuela. E ciò perché esso ha poco a che fare con la descrizione di un paese che ha affrontato spese selvagge negli anni del boom economico e presto, come la Grecia, dovrà affrontare il momento del resoconto. Questo fatto è il livello di debito del governo: attualmente circa il 20% del PIL. In altre parole, nonostante stesse triplicando la spesa sociale effettiva per persona, allargando l’accesso al sistema sanitario e all’educazione, e concedendo prestiti per miliardi di dollari agli altri paesi dell’America Latina, il Venezuela stava riducendo il peso del suo debito durante la corsa al rialzo del prezzo del greggio.
Il debito pubblico venezuelano è crollato dal 47,5% del PIL nel 2003 al 13,8% nel 2008. Nel 2009, a fronte della crisi economica, esso è risalito al 19,9%. Anche a voler includere il debito della compagnia petrolifera statale, la PDVSA, il debito pubblico del Venezuela è pari al 26% del PIL. La parte straniera di questo debito è meno della metà del totale. Compariamo questo alla Grecia, dove il debito pubblico è il 115% del PIL e programma di salire al 149% nel 2013 (la media dell’Unione Europea è di circa il 79%).
Visto il livello molto basso di debito pubblico e straniero del governo venezuelano, l’idea che il paese stia attraversando una “crisi economica” è davvero errata. Con il petrolio a circa 80 dollari al barile, il Venezuela può attualmente vantare un considerevole surplus nei pagamenti e può contare su un robusto livello di riserve. Inoltre, il governo è in grado di chiedere prestiti internazionali in situazioni di necessità – lo scorso mese la Cina ha concesso al Venezuela un prestito di 20 miliardi di dollari a titolo di anticipo sul pagamento per le future consegne di petrolio. Nonostante ciò, il paese deve ancora far fronte a questioni economiche significative, alcune delle quali sono state aggravate da scelte politiche macroeconomiche errate. L’economia si è contratta del 3,3% lo scorso anno. La stampa internazionale ha delle difficoltà a capirlo, ma il problema risiedeva nella politica fiscale troppo conservativa messa in atto dal governo – con tagli alla spesa mentre l’economia scivolava nella recessione. Questo è stato un errore, ma con un po’ di fortuna il governo ribalterà la situazione velocemente con l’espansione pianificata dell’investimento pubblico quest’anno, comprensivo di 6 miliardi di dollari per la fornitura di energia elettrica. Il più grande errore economico a lungo termine compiuto dal governo è stato il mantenimento di un tasso di cambio fisso e rivalutato. Nonostante il governo abbia svalutato la moneta in gennaio, passando da 2,15 a 4,3 al dollaro per la maggior parte delle transazioni di cambio straniere, la moneta non si è ancora deprezzata. Il tasso di cambio praticato dal mercato nero o da quello parallelo è di più di sette [bolivar, NdT] per dollaro.
Rendendo le importazioni artificialmente economiche e le esportazioni più costose, una moneta rivalutata è dannosa per il Venezuela relativamente a quei settori di beni che non sono barattabili col petrolio, impedendo altresì all’economia di diversificarsi dal petrolio stesso. Quel che è ancora peggio, l’elevato tasso di inflazione del paese (28% lo scorso anno con una media del 21% annuo negli ultimi 7 anni) rende la moneta sempre più rivalutata in termini reali ogni anno. (Anche la stampa ha frainteso questo problema – l’inflazione di per sé è troppo alta ma il principale danno che essa arreca all’economia non è legato all’aumento dei prezzi in quanto tali ma al suo essere causa di una crescente sopravvalutazione del tasso di cambio reale).
Ma il Venezuela non è nella stessa situazione della Grecia – o del Portogallo, dell’Irlanda o della Spagna. O di Lettonia o Estonia. I primi sono bloccati da una moneta rivalutata – per loro, l’euro- e stanno implementando politiche fiscali pro-cicliche (ad esempio, la riduzione del deficit) che stanno aggravando la loro recessione e/o rallentando la ripresa. Essi non hanno alcun controllo sulla politica monetaria, controllo che è detenuto dalla Banca Centrale Europea. Gli altri due stati si trovano in una situazione similare nella misura in cui mantengono le loro monete attaccate all’euro e hanno diminuito la loro produttività da 6 a 8 volte rispetto a quella del Venezuela nel corso degli ultimi due anni.
Di contro, il Venezuela ha il controllo delle proprie politiche in materia di tasso di cambio estero, in materia monetaria e fiscale. Può fare ricorso a una politica fiscale e monetaria espansionistica per stimolare l’economia, e anche a una politica legata al tasso di cambio (lasciando oscillare la valuta). Una fluttuazione controllata, o “sporca” – nella quale il governo non fissa un tasso di cambio ma interviene quando necessario per preservare la stabilità del tasso stesso – si adatterebbe meglio all’economia venezuelana rispetto all’attuale tasso fisso. Il governo potrebbe gestire il tasso di cambio a un livello competitivo e non dovrebbe sprecare così tanti dollari, come fa ora, cercando di restringere il gap esistente tra il tasso ufficiale e quello parallelo. Nonostante ci siano state delle previsioni (come sempre esagerate) sul fatto che l’inflazione sarebbe salita alle stelle con la più recente svalutazione, questo pronostico non si è verificato – forse perché gran parte delle transazioni di cambio estero sono avvenute nell’ambito del mercato parallelo. Il Venezuela si trova in una buona posizione per risolvere i suoi attuali problemi macroeconomici e per perseguire una forte espansione economica, come negli anni dal 2003 al 2008. Il paese non si trova di fronte a una crisi, ma piuttosto a una scelta politica.
Mark Weisbrot è un economista ed è co-direttore del “Center for Economic and Policy Research”. Assieme a with Dean Baker, è co-autore del libro Social Security: the Phony Crisis.
Titolo originale: "Venezuela and Greece"
Fonte: http://www.guardian.co.uk/
Link
07.05.2010
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di RACHELE MATERASS I
Con la contrattura economica dell’ultimo anno (che ha del resto interessato la gran parte dei sistemi economici dell’emisfero occidentale), con i problemi legati a blackout elettrici e con il valore della moneta precipitato pesantemente nel mercato parallelo, le vicende della rovina economica del Venezuela stanno di nuovo facendo notizia. Il Washington Post, in un articolo di taglio editoriale, dice che il Venezuela è “avvolto in una crisi economica” e che “anni di interventi statali nell’economia stanno facendo pagare un tributo pesante agli affari privati”.
C’è un fatto importante che non viene quasi mai menzionato dai giornali negli articoli che parlano del Venezuela. E ciò perché esso ha poco a che fare con la descrizione di un paese che ha affrontato spese selvagge negli anni del boom economico e presto, come la Grecia, dovrà affrontare il momento del resoconto. Questo fatto è il livello di debito del governo: attualmente circa il 20% del PIL. In altre parole, nonostante stesse triplicando la spesa sociale effettiva per persona, allargando l’accesso al sistema sanitario e all’educazione, e concedendo prestiti per miliardi di dollari agli altri paesi dell’America Latina, il Venezuela stava riducendo il peso del suo debito durante la corsa al rialzo del prezzo del greggio.
Il debito pubblico venezuelano è crollato dal 47,5% del PIL nel 2003 al 13,8% nel 2008. Nel 2009, a fronte della crisi economica, esso è risalito al 19,9%. Anche a voler includere il debito della compagnia petrolifera statale, la PDVSA, il debito pubblico del Venezuela è pari al 26% del PIL. La parte straniera di questo debito è meno della metà del totale. Compariamo questo alla Grecia, dove il debito pubblico è il 115% del PIL e programma di salire al 149% nel 2013 (la media dell’Unione Europea è di circa il 79%).
Visto il livello molto basso di debito pubblico e straniero del governo venezuelano, l’idea che il paese stia attraversando una “crisi economica” è davvero errata. Con il petrolio a circa 80 dollari al barile, il Venezuela può attualmente vantare un considerevole surplus nei pagamenti e può contare su un robusto livello di riserve. Inoltre, il governo è in grado di chiedere prestiti internazionali in situazioni di necessità – lo scorso mese la Cina ha concesso al Venezuela un prestito di 20 miliardi di dollari a titolo di anticipo sul pagamento per le future consegne di petrolio. Nonostante ciò, il paese deve ancora far fronte a questioni economiche significative, alcune delle quali sono state aggravate da scelte politiche macroeconomiche errate. L’economia si è contratta del 3,3% lo scorso anno. La stampa internazionale ha delle difficoltà a capirlo, ma il problema risiedeva nella politica fiscale troppo conservativa messa in atto dal governo – con tagli alla spesa mentre l’economia scivolava nella recessione. Questo è stato un errore, ma con un po’ di fortuna il governo ribalterà la situazione velocemente con l’espansione pianificata dell’investimento pubblico quest’anno, comprensivo di 6 miliardi di dollari per la fornitura di energia elettrica. Il più grande errore economico a lungo termine compiuto dal governo è stato il mantenimento di un tasso di cambio fisso e rivalutato. Nonostante il governo abbia svalutato la moneta in gennaio, passando da 2,15 a 4,3 al dollaro per la maggior parte delle transazioni di cambio straniere, la moneta non si è ancora deprezzata. Il tasso di cambio praticato dal mercato nero o da quello parallelo è di più di sette [bolivar, NdT] per dollaro.
Rendendo le importazioni artificialmente economiche e le esportazioni più costose, una moneta rivalutata è dannosa per il Venezuela relativamente a quei settori di beni che non sono barattabili col petrolio, impedendo altresì all’economia di diversificarsi dal petrolio stesso. Quel che è ancora peggio, l’elevato tasso di inflazione del paese (28% lo scorso anno con una media del 21% annuo negli ultimi 7 anni) rende la moneta sempre più rivalutata in termini reali ogni anno. (Anche la stampa ha frainteso questo problema – l’inflazione di per sé è troppo alta ma il principale danno che essa arreca all’economia non è legato all’aumento dei prezzi in quanto tali ma al suo essere causa di una crescente sopravvalutazione del tasso di cambio reale).
Ma il Venezuela non è nella stessa situazione della Grecia – o del Portogallo, dell’Irlanda o della Spagna. O di Lettonia o Estonia. I primi sono bloccati da una moneta rivalutata – per loro, l’euro- e stanno implementando politiche fiscali pro-cicliche (ad esempio, la riduzione del deficit) che stanno aggravando la loro recessione e/o rallentando la ripresa. Essi non hanno alcun controllo sulla politica monetaria, controllo che è detenuto dalla Banca Centrale Europea. Gli altri due stati si trovano in una situazione similare nella misura in cui mantengono le loro monete attaccate all’euro e hanno diminuito la loro produttività da 6 a 8 volte rispetto a quella del Venezuela nel corso degli ultimi due anni.
Di contro, il Venezuela ha il controllo delle proprie politiche in materia di tasso di cambio estero, in materia monetaria e fiscale. Può fare ricorso a una politica fiscale e monetaria espansionistica per stimolare l’economia, e anche a una politica legata al tasso di cambio (lasciando oscillare la valuta). Una fluttuazione controllata, o “sporca” – nella quale il governo non fissa un tasso di cambio ma interviene quando necessario per preservare la stabilità del tasso stesso – si adatterebbe meglio all’economia venezuelana rispetto all’attuale tasso fisso. Il governo potrebbe gestire il tasso di cambio a un livello competitivo e non dovrebbe sprecare così tanti dollari, come fa ora, cercando di restringere il gap esistente tra il tasso ufficiale e quello parallelo. Nonostante ci siano state delle previsioni (come sempre esagerate) sul fatto che l’inflazione sarebbe salita alle stelle con la più recente svalutazione, questo pronostico non si è verificato – forse perché gran parte delle transazioni di cambio estero sono avvenute nell’ambito del mercato parallelo. Il Venezuela si trova in una buona posizione per risolvere i suoi attuali problemi macroeconomici e per perseguire una forte espansione economica, come negli anni dal 2003 al 2008. Il paese non si trova di fronte a una crisi, ma piuttosto a una scelta politica.
Mark Weisbrot è un economista ed è co-direttore del “Center for Economic and Policy Research”. Assieme a with Dean Baker, è co-autore del libro Social Security: the Phony Crisis.
Titolo originale: "Venezuela and Greece"
Fonte: http://www.guardian.co.uk/
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07.05.2010
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di RACHELE MATERASS I
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