venerdì 3 agosto 2012

Nè religione nè ritorno alle origini


Stabilire cosa sia l’antispecismo in termini positivi, cioè dare una definizione che chiarisca una volta per tutte cosa sia questo movimento è impossibile.

Da decenni molti studiosi stanno dibattendo al riguardo ma la definizione risulta a tutt’ora assai fluida con talune caratteristiche del movimento messe in risalto dagli uni e in secondo piano da altri e viceversa.

Non è detto che ciò sia un fatto negativo; anzi: l’impossibilità di chiudere entro un recinto un’idea ne attesta la vitalità e la buona salute e la necessità di avere in mano una carta di identità risponde più ad esigenze di controllo che a quelle di un sano sviluppo.

È però possibile già da tempo determinare cosa il movimento antispecista non sia. Insistere su questo aspetto non deriva dalla necessità di fare inutili distinguo o di esaltare le proprie posizioni autoincensandosi come i duri e puri della lotta; è invece qualcosa di necessario per respingere pericolosissimi attacchi, proveniente da più parti, che vogliono assimilare la lotta specista a lotte e pulsioni che nulla invece hanno in comune con quello e, in quella confusione, annichilire la specificità della lotta antispecista.


Da una parte assistiamo alla sempre crescente volontà di assimilare l’antispecismo a movimenti religiosi che vedono nella crescita interiore l’apice della formazione dell’individuo (anche se forse sarebbe meglio parlare di “deindividuazione” vista l’ambizione a rinunciare ad un io, sentito come egoista); dall’altra si sente parlare di antispecismo come ritorno ad un equilibrio originario, ad una riaquisizione dei valori che furono portanti all’origine dell’umanità e che andarono perduti con lo svilupparsi della nostra civiltà: le due tendenze non sono necessariamente disgiunte e qui le distinguiamo solo per chiarezza; spesso anzi chi sostiene un punto sostiene anche l’altro.

Ora, come è facile rendersi conto, parlare di crescita interiore, di sviluppo etc non è che un rifarsi al mantra della società occidentale che proprio su quei valori si fonda. La società deve crescere (finalismo stretto), deve giungere all’apice del suo sviluppo, uno sviluppo aperiodico.

L’individuo, nato imperfetto ( e lasciamo perdere se tale imperfezione sia data da una tara originaria chiamata peccato originale, trsna o immaturità), passando per un cammino di perfezionamento, dovrebbe giungere a un grado di eccellenza che lo porrebbe finalmente sull’olimpo alla destra del padre: il piombo che diventa oro degli alchimisti. Shakepseare direbbe “too much ado about nothing”.

Sono almeno due mila anni che questi sono i valori dell’occidente, e proprio questi valori, che sviliscono l’individuo contingente e ne fanno una forma perfettibile, anzi, necessariamente da perfezionare, hanno creato quegli strumenti con cui l’uomo moderno tenta di migliorare l’esistente: evangelizzazione, scienza; biotecnologie. Finché si riterrà che esista un cammino iniziatico, un percorso che porti da un punto di origine imperfetto a una meta perfetta, il progressismo scientifico e tutto il presente non patiranno gravi minacce e potranno anzi continuare la loro esistenza indisturbati. Solo facendo appello all’individuo quale è, e non a quale dovrebbe essere, potrà cambiare qualcosa.

Stabilire invece che l’antispecismo è un movimento che riporta gli uomini ai valori originari è, in una parola, falso. Nei fatti, per apprezzabili che ci possano sembrare le società originarie di sapiens, tranne che in pochissimi esempi sparsi per il pianeta, esse hanno sempre, in qualche modo, praticato delle forme di sfruttamento che noi chiamiamo speciste.

Se per esempio si guarda agli indios d’America, risulta piuttosto evidente che anche questi, mai venuti in contatto con l’occidente, vedono negli animali non umani una fonte possibile di approvvigionamento alimentare e, vista la scarsa incidenza del cannibalismo nelle loro società, pongono il non umano su un piano differente rispetto all’umano.

E qui non ci sono distinguo nati da relativismo culturale: anche la caccia dell’aborigeno australiano, o dell’indio è una pratica che non si può che vedere in contrasto con i principi dell’antispecismo: in una società in cui non si ponga l’appartenenza ad una specie come garante si sopraffazione sistematica e si ponga l’individuo, umano o d’altra specie, su un piano di parità, nessuno può infatti subire la caccia.

Ciò però non pone il nascente antispecismo su un binario morto facendone un capriccio di individui appagati dal benessere conseguito. Una simile riflessione è invece un’occasione per rendersi conto del fatto, basilare, che l’antispecismo maturo e consapevole di sé è un movimento culturale del presente che ha solide radici in una determinata cultura, l’occidentale di matrice giudaico-cristiana, e come primo obiettivo quello di combattere la cultura da cui è esso stesso nato.

Ciò lo pone per certi versi in linea di filiazione diretta con tutti gli altri -ismi che si sono succeduti nel tempo almeno dall’illuminismo ad oggi.

Quei movimenti però si ponevano come obiettivo la crescita dell’individuo umano e la sua esaltazione come apice del creato; questo di cui noi siamo motori si ripropone di spezzare questo slancio sterile e alienante verso il metafisico, di decostruire la cultura e l’uomo presente saldamente affondato nel suo antropocentrismo, nel suo specismo, e di restituirlo alla sua dimensione, tornare a fare dell’Uomo, semplicemente, l’animale umano.

È inevitabilmente un discorso dell’uomo sull’uomo; è inevitabilmente un discorso antropocentrico e, dunque, specista.

E tuttavia questo specismo non è che uno specismo strumentale; un cavallo di troia per avere accesso al sancta sactorum dell’ideologia del potere occidentale.

Messo in qualche modo lo specismo allo specchio l’effetto non potrà essere, si spera, quello che ottenne Perseo facendo guardare allo specchio la Gorgone.

Ma questo non sarebbe un progresso; solo una riappropriazione di sé, la fine di un inganno, di una favola con cui una certa umanità si culla da millenni. In qualche modo, un risveglio da un incubo di cui siamo gli autori.

4 commenti:

  1. Interessante dissertazione, utile per portare chiarezza. Buona giornata

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    1. Sì, un punto di vista onesto e molto franco, utile per iniziare a comprendere cosa sia l'antispecismo. Anche se conocordo pienamente con l'autore dell'articolo quando dice che non sia cosa semplice anzi impossibile. Le motivazioni, infatti sono di ordine spesso diverso e confluiscono a formare un nuovo punto di vista....
      che ha scarsissimi parametri, indubbiamente un "nuovo modo di vedere le questioni" e come tale "senza riferimenti fissi"
      Buona giornata Massimo :)
      Namastè

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  2. Interessante sul piano culturale di un confronto laico.

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    1. Anche su questo concordo, sebbene una componente spirituale, in premessa, sia innegabile e viene riconosciuta anche da chi scrive ll'articolo.
      Il piano su cui si svolge l'azione...il comportamento, per capirci, è squisitamente laico e quindi condivisibile a prescindere da qualsivoglia retroterra che...per chi lo abbia, però, è certamente, utile.
      Buon pomeriggio Adriano :)
      Namastè

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