venerdì 12 agosto 2011

“Desperados” a Londra, “Indignados” a Madrid e Santiago del Cile. L’Europa in tormento, l’Italia affoga

articolo tratto da: Articolo21
di Gianni Rossi

Il caos giovanile, che irrompe dai media mondiali verso le coscienze dell’opinione pubblica intorpidita dal caldo, non è un fenomeno di ordine pubblico né solo generazionale né tantomeno un “luddismo” del sottoproletariato delle periferie verso i beni effimeri della società consumistica. E’ un sintomo apicale della crisi generale che stanno vivendo le società capitalistiche avanzate. Per il neo-consevatore leader britannico, David Cameron (sponsorizzato dallo “Squalo” Murdoch e in crisi di consensi proprio per gli scandali delle intercettazioni illegali), il problema è la mancanza di responsabilità delle famiglie, di scarsa educazione da parte delle scuole. Insomma, i Desperados che hanno messo a ferro e fuoco le zone periferiche di Londra e di altre città inglesi, sarebbero l’espressione delle colpe dei genitori e delle scuole pubbliche. Unico rimedio del “Neocon” Cameron l’aumento della repressione e tagli allo stato sociale, ai sussidi, alle sovvenzioni dell’epoca laburista.

Se, da una parte, i Desperados, così come in altra maniera, chi con la non-violenza, come gli Indignados spagnoli, e chi con la violenza, come quelli cileni, si battono contro lo “scintillio” della società consumistica in piena crisi di identità; dall’altra, i loro “padri”, i “timonieri” dei governi, delle aziende, della politica, dei media annaspano nei giudizi e nelle misure correttive. E spesso tentano di correre ai ripari, con una “strambata”, voltando il percorso della storia, navigando controvento, a vista.
Il cortocircuito non è generazionale, come avvenne nel ’68 e nei primi anni Settanta, bensì di classe, di culture, di assenza delle tanto deprecate ideologie. Quelle stesse ideologie messe così in fretta nei cassetti della politica e chiuse a doppia mandata nel 1989, quando crollò il vergognoso Muro di Berlino e il “Socialismo reale” morì per sempre, giustamente. Ma da allora in poi è prevalsa un’ideologia su tutte, quella dell’iperliberismo: “mani libere” per la speculazione mondiale, arricchimento “mordi e fuggi”. Un “Tutto e subito”, senza rispetto dell’etica sociale, eppure tanto cara ai padri del liberismo, con la politica amorale che si consuma sui media e l’incultura che annebbia le coscienze.
Certo, per contrastare le violenze e gli atti di teppismo ci vogliono le forze dell’ordine. Ma a lungo andare la “risposta militare” da sola è controproducente. Basta vedere le tante “risposte militari” in giro per il mondo: dalle guerre antiterrorismo in Iraq, Afghanistan, alle repressioni antidemocratiche in Siria, Egitto, Yemen, Tunisia, Libia. Se “il sonno della ragione genera mostri”, la faccia feroce della repressione genera solo altro sangue!
Ai malesseri della società, variamente esternati, non si può rispondere con la forza e senza ascoltarne le ragioni, senza affrontarne le cause.
Ma affrontare le cause di questi “rumors”, di questi clamori di guerriglia urbana, significa fare i conti con il declino della società capitalistica, con l’enorme disoccupazione giovanile, con l’assenza di prospettive future, con le ingiustizie sociali, con l’appiattimento culturale, che premono strati di popolazione originale o immigrata all’esterno delle grandi città, in “terre di nessuno”, in quelle periferie realizzate dai grandi gruppi immobiliari, che hanno speculato sulle aree edificabili, elargito “mazzette” agli amministratori e che da tempo hanno reinvestito i loro utili nei media e nella speculazione finanziaria. Ù
Abbiamo scritto che Berlusconi è un “epifenomeno” di questo sistema, di questa società in declino: palazzinaro, spalleggiato dalla politica del centrosinistra meneghino, poi “imprenditore” dei media, sostenuto dalla classe politica socialista e democristiana nell’era Tangentopoli, leader di governo grazie ai “poteri” forti ed occulti. Come lui, impelagati nei “bassifondi del clientelismo politico”, lo sono tanti imprenditori italiani, europei, americani, che oggi vorrebbero fornire lezioni di rigore e di sacrifici, attraverso le loro “lunghe mani” (una sorta di “mano morta” del capitalismo imperante), inzuppate di conflitti di interessi, come le loro società di rating, i loro fondi di investimento, gli hedge fund, le catene mediatiche con tanto di opinionisti bipartisan, che fanno e disfano governi. Le “sante regole” del capitalismo liberale sono stati proprio loro a mettersele sotto i piedi, ad aggirare con una classe politica alle loro dipendenze le leggi antitrust, antiscalate, antispeculative.
L’Europa unita, disegnata dai grandi padri fondatori del dopoguerra, un po’ visionari, divisi dalle rispettive ideologie, eppure mossi da intenti comuni, sta vivendo il tormento più aspro da 50 anni in qua. E i paesi di Eurolandia rischiano di affogare, con la zattera Italia capitanata da un’allegra combriccola di vecchi tromboni (Berlusconi, Bossi, Tremonti al timone). Il “commissariamento” del governo del Sultano è solo un’amara medicina per ripristinare quella “sovranità limitata”, che il nostro paese ha conosciuto negli anni aspri della Guerra fredda. Non servirà a portarci fuori dalla “tempesta perfetta” della speculazione dei mercati e a salvarci dall’impatto con il Titanic della crisi economica.
I giovani Desperados oggi presentano violentemente e irresponsabilmente il conto!
Tocca a una nuova classe politica e di intellettuali, all’opinione pubblica impegnata, quella che ha costruito attraverso la Rete percorsi di “Indignazione” ed è riuscita ad organizzare manifestazioni strapiene di gente, gettare i semi della speranza. Non sarà facile trovare una lingua comune, un programma condiviso, dei leader “spendibili”, ma è la sfida di queste settimane, dei prossimi mesi, mentre intorno a noi “i palazzi del potere bruciano” e i loro occupanti non vogliono lasciare gli scranni insanguinati. Una nuova etica della politica, insomma.
“Siamo realisti, esigiamo l’impossibile”!
L’utopia è a portata mano, specie nei periodi di crisi: questo l’insegnamento dei grandi filosofi e politici rivoluzionari e riformisti dalla fine dell’Ottocento in poi. Riprendiamoci il testimone delle loro idee migliori e adeguiamole al mondo globalizzato in cui viviamo. Desperados, Indignados, Precari di tutto il mondo unitevi: il futuro è nelle vostre mani!

4 commenti:

  1. Penso anche a quelli che si sono trovati le loro attività distrutte...queste cose mi fanno paura...pensa se succede anche qui...e se andiamo avanti così...la vedo male...spero di sbagliarmi..

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  2. I grandi moti sono nati da grosse proteste in tutto il mondo. Si è cominciato col medio oriente, ora tocca all'Europa.

    Io però contesto come siano avvenute le proteste in Gran Bretagna: troppa violenza, negozi distrutti. Chi protesta non deve usare questa violenza gratuita e non deve mettere paura nella popolazione, altrimenti passi dalla parte del torto. Continuo a ripetere: l'Islanda dev'essere il nostro modello, scene come quella inglese non vorrei più vederle.

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  3. Ciao Giglio, la violenza ed il saccheggio non sono mai giustificabili, ma quello che sta avvenendo in Inghilterra, al di là degli effetti immediati, non potrà essere sottovalutato o liquidato alla voce "vandalismo".
    Stanno ricacciando gli ultimi nell'indigenza e la classe media nella povertà ed è una scelta globale non solo di un paese.
    Difficile succeda in Italia, non è nel nostro spirito, noi vediamo succedere le cose più terribili nell'assoluta indifferenza. Però se si vogliono evitare avvenimenti come quelli inglesi non si deve gettare un popolo nella disperazione.

    Un abbraccio^^
    Namastè

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  4. Ciao Paòlo, sono d'accordo, la violenza non ha giustificazioni mai!
    Penso anche io che l'Islanda sia un modello da seguire, anche se la situazione islandese è oggettivamente diversa.

    Un abbraccio^^
    Namastè

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