martedì 6 marzo 2012

Quale presente vogliamo?

tratto da: Megachip
di Paolo Bartolini

Contro la violenza del potere e le menzogne del sistema. L'aspirazione ad un mondo di pace da costruire nel presente. Un'acuta riflessione sul senso della vita e sull'agire dell'uomo per il cambiamento.

Riprendiamoci la sovranità monetaria! Non resta più tempo! Ora o mai più! Chiunque osservi la “civiltà del denaro in crisi” - sottotitolo, fra l’altro, del bellissimo Finanzcapitalismo di Luciano Gallino - e intenda superarne il dominio liberando gli esseri umani dalle catene del principio quantitativo dell’accumulazione economica (la società della crescita di questo si nutre), vive immancabilmente i suoi drammi bipolari, passando dallo sconforto della depressione all’esaltazione incontrollata per progetti di cambiamento che dovrebbero cambiare lo stato delle cose, da un giorno all’altro, solo mediante la forza di un’intuizione.
La violenza del potere finanziario e di quello politico che lo sostiene/diffonde con la forza delle armi e delle azioni di governo, è talmente distruttiva da farci reclamare una svolta, una rivoluzione, possibilmente rapida e risolutiva. Ecco gli inviti, sopra ricordati, ad agire, a cambiare rotta, a modificare l’esistente senza perderci in vuote chiacchiere sui massimi sistemi.
Una comprensibile fretta agita cittadini e cittadine che, giustamente, non possono più sopportare le menzogne dei politicanti, gli attacchi alle condizioni di vita del popolo operati in nome di debiti mai contratti da esso, le vuote ciance di intellettuali sempre più lontani dalle esigenze quotidiane (il pane, la retta dell’asilo da pagare, la difesa del proprio territorio, ecc.).
Eccoci, dunque, tutti indignati e desiderosi di capovolgere il sistema. Qui si genera, sovente, quel paradosso insidioso che avvelena le buone intenzioni di attivisti e militanti uniti nella lotta contro il Vero Potere.
Il desiderio di un mondo vivibile (dunque percepito, abbracciato ed esperito nel “qui ed ora” di un tempo liberato dalle false promesse del consumo) rimanda sempre ad una sua futura realizzazione. Finché quel mondo non ci sarà, non avremo pace. Da questo deriva che ciò che potremmo vivere pienamente adesso, perde di significato, non è mai abbastanza. Anche il presente della lotta rischia, quindi, di smarrire il suo valore in attesa che si compia l’escatologia annunciata. E così ci lasciamo travolgere dalla febbre di cambiare il mondo, di guidare il naufragio dell’umanità verso più sicuri approdi, quando nella nostra semplice quotidianità non riusciamo nemmeno a coltivare la piantina della cortesia reciproca.
Di recente, mosso da questi pensieri, ho cominciato ad approfondire le intuizioni e le pratiche di un monaco zen vietnamita, Thich Nhat Hanh, che ha dedicato la sua vita all’attivismo pacifista e alla diffusione del dharma buddhista. Dinnanzi alla vastità dei problemi che ci avvolgono, tale interesse può facilmente sembrare una deriva borghese che conduce al disimpegno rispetto a quel che si “dovrebbe” fare per costruire un futuro migliore. Ma forse c’è dell’altro. Uno dei libri più noti di Nhat Hanh si intitola “La pace è ogni passo”. Questa brevissima frase sintetizza, a mio parere, l’essenza di ogni cambiamento possibile. In altre parole, ogni cammino intrapreso ha una sua meta, ma la verità riposa in ogni singolo passo, la cui orma testimonia il punto di incontro, sempre unico e irripetibile, tra la dimensione storica e quella assoluta della nostra esistenza. Ricordarcene è fondamentale per dare il giusto valore (immenso) a quel che si sta già facendo, senza misurare gli sforzi compiuti sul metro di un Ideale irraggiungibile, perché comunque “di là da venire”.
Che i “rivoluzionari” debbano essere felici, anche nella sconfitta, non è una provocazione ma la premessa perché un tale rinnovamento si dia, piccolo o grande, comunque fecondo di ulteriori sviluppi.
Credo infatti che coloro che intendono dare un contributo utile per attraversare insieme la Grande Transizione in corso, possano finalmente chiedersi: “Quale presente vogliamo?”. Questa mi sembra, ogni giorno di più, la domanda decisiva, l’unica che può avere una risposta reale, perché rimanda al presente come tempo vissuto dell’azione. Insomma: cominciamo a stare nei nostri passi.


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