martedì 7 dicembre 2010

La violenza sulle donne? Nasce dal "modello unico femminile"

di Paolo Borrello

La violenza sulle donne? Nasce dal “modello unico femminile”. Sono 119 le donne uccise nel 2009 in Italia, 115 già solo fino a ottobre 2010. Una violenza in crescita, il cui record spetta al Nord con il 57% delle vittime. Accanto alla violenza psicologica, fisica, sessuale, esiste però una violenza culturale. Su questa ultima forma di violenza Federica Grandis ha intervistato Lorella Zanardo, autrice del documentario “Il corpo delle donne”. L’intervista è stata pubblicata sul sito del gruppo Abele (www.gruppoabele.it). Particolarmente interessanti mi sono sembrate le risposte ad alcune domande:

“Quando si parla di violenza sulle donne ci si riferisce soprattutto a una violenza di tipo fisico o psicologico, mentre quasi mai ci si sofferma su quella culturale. Nel suo documentario, invece, questa violenza, che viene esercitata in modo sottile e perverso, emerge con chiarezza. Che cosa l’ha resa possibile?

La distrazione: è questa una delle nostre più grandi colpe. Per trent’anni non siamo stati attenti rispetto all’orientamento dei media. In particolare la televisione, privata ma soprattutto pubblica, che avrebbe doveri maggiori nei confronti dei cittadini, ha potuto agire indisturbata. Col nostro consenso silenzioso. Troppo spesso chi aveva i mezzi per poter fare una critica e fermare questa deriva non lo ha fatto, e quindi da trent’anni abbiamo cinque reti, due Rai e tre Mediaset, che mandano in onda il ‘modello unico femminile’, cioè un modello di donna oggettivato. E con un oggetto, si sa, si può fare quel che si vuole. Ovviamente questo silenzio-assenso ha avuto conseguenze pesantissime sulla società e sulla cultura…


Finché alle donne non verrà garantita la possibilità di un lavoro decente, il diritto alla maternità, una via alternativa al precariato che non sia quella di sposarsi un uomo ricco, come ha detto con umorismo inopportuno il nostro premier, le cosiddette ‘scorciatoie’ saranno sempre più appetibili. Non crede che la questione del femminile debba saldarsi a quella dei diritti sociali? E in cosa, rispetto a questo, la politica è in ritardo?
La nostra deve essere essenzialmente una battaglia per i diritti. Anche, e soprattutto, quelli sociali e politici. La partecipazione delle donne alla vita politica oggi viene relegata ai ministeri delle Pari opportunità, o al massimo a quelli senza portafoglio. Credo invece che sia urgente chiedere diritto di parola su tutta la gestione della società. Oggi più che mai serve che lo sguardo del femminile tocchi l’amministrazione della cosa pubblica, da quella comunale a quella del governo centrale, dai temi della sanità, della viabilità, dell’economia, fino alla cultura. ‘Essere due’, come dice Luce Irigaray, passare a un soggetto doppio, avere un duplice sguardo, maschile e femminile, su tutto quello che riguarda la gestione della cosa pubblica: questo è il vero cambiamento cui siamo chiamate.

C’è stato un periodo, alla fine degli anni Settanta, in cui nella cultura giovanile il tema del desiderio veniva espresso in una forma liberante, a suo modo sovversiva. Poi il desiderio è diventato merce, oggetto di mercato. È possibile, e in che modo, riguadagnare una relazione che riesca a recuperare l’autenticità dei rapporti, anche dal punto di vista del desiderio? Si può ancora provare meraviglia per qualcosa che è stato così ampiamente codificato e programmato?
Certo che si può fare, si deve. Ma bisogna avere la forza e la voglia di lottare, di fare fatica. Quello su cui ‘Il corpo delle donne’ sta lavorando è l’innalzamento del livello di consapevolezza: credo sia fondamentale riprendere a fare militanza, portare in giro nelle scuole, nelle associazioni questi temi. Negli ultimi trent’anni l’avvento dell’economia neoliberista ha portato a vederci tutti come consumatori, più che come persone. E come consumatori adempiamo meglio al nostro ruolo se veniamo resi fragili: anche il desiderio, in quest’ottica, è stato imbrigliato, impoverito. Come ripetiamo sempre nelle scuole, le immagini delle ragazze in tv non hanno nulla di liberato, anzi. La soubrette messa sotto al tavolo in una gabbia di plexiglas è emblematica di dove sia andata a finire la nostra liberazione. In mutande, tacchi a spillo o a quattro zampe sotto a un tavolo non andiamo tanto lontano. Ecco cosa è successo: impossessandosi del nostro desiderio ci hanno reso consumatrici più ‘conformi’. A questo stato di cose, naturalmente, siamo chiamati a dire basta, per riprendere possesso anche di una nuova dimensione di desiderio e relazione affettiva. Troppo spesso però io vedo un Paese impigrito, che ha perso la fiducia in se stesso. 
Eppure, attraverso una protesta civile ma forte, insieme alle altre donne della rete siamo riuscite a fare molte cose buone, tra cui il blocco di molte campagne pubblicitarie offensive o lesive della nostra dignità. Bisogna soltanto riacquistare fiducia nelle nostre capacità. Una bella frase degli anni 70 diceva: ‘Volevano cambiare il mondo, facevano politica’. Ecco, dobbiamo tornare a fare politica in questo senso, una politica lontana dai partiti ma vicina alla vita, alle vicende e alle storie delle persone”.

Io credo che alcune parti di queste risposte siano particolarmente importanti perché lo sono non solo per  la lotta contro la violenza sulle donne, per il tentativo di aumentare i  loro diritti, ma anche per il fatto che riguardano tutti, uomini e donne. Quando Lorella Zanardo rileva: “ Per trent’anni non siamo stati attenti rispetto all’orientamento dei media. In particolare la televisione, privata ma soprattutto pubblica, che avrebbe doveri maggiori nei confronti dei cittadini, ha potuto agire indisturbata…”, questa considerazione vale  per tutti nel senso che è stato trascurato il ruolo negativo che un certo tipo di televisione ha esercitato sulla cultura, sullo stesso modo di pensare  di gran parte degli italiani. E ciò ha determinato dei danni che potranno essere eliminati con grande difficoltà e con grande impegno. Ritengo possibile formulare valutazioni analoghe relativamente ad  un’altra affermazione della Zanardo: “Negli ultimi trent’anni l’avvento dell’economia neoliberista ha portato a vederci tutti come consumatori, più che come persone…”. Questa situazione, giustamente evidenziata dalla Zanarrdo, ha contribuito a modificare in senso negativo l’intera società italiana.

2 commenti:

  1. Muoversi, diffondere, occupare spazi, organizzarsi, lottare.
    E molto altro.
    Queste le ricette per cambiare il mondo.

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  2. Sissì Paolo, tutti quanti, ognuno come può.

    Namastè

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