giovedì 16 febbraio 2012

Le cause della scontentezza generale – Ramesh Balsekar

Nessuna confusione potrebbe sorgere nel ricercatore spirituale se i concetti fondamentali della manifestazione e del suo funzionamento che chiamiamo “vita e vivere” fossero profondamente incisi nella sua psiche. Questi concetti sono i seguenti:

1. La manifestazione fenomenica è l’attivazione del potenziale noumenico dell’Energia-Sorgente-Coscienza; quando l’energia scatenata dal Big Bang si esaurisce, la manifestazione attivata torna al potenziale, fino a che non si verifica di nuovo un evento simile.

2. La totalità della manifestazione fenomenica è la totalità di tutti gli oggetti di ogni specie immaginabile; una pietra, un albero, un animale, un essere umano ecc. fanno tutti parte della totalità della manifestazione.

3. Quel che succede in ogni momento per ogni oggetto manifestato può avvenire soltanto in accordo con la Legge Cosmica in vigore fin dal primo giorno della manifestazione e fino a che questa non ha termine. Nessuno può arrivare a conoscere le basi di questa Legge Cosmica impersonale.


4.Il Creatore ha infuso nell’oggetto chiamato essere umano:
a) un’anima-vita animale con i sensi, con una comprensione o consapevolezza attiva in quanto elemento funzionante attraverso i sensi;
b) una mente-intelligenza che crea l’identificazione dell’ego con un corpo particolare e un nome in quanto entità separata, munita di libero arbitrio e del senso di essere l’autore dell’azione.

5. La manifestazione, fondamentalmente, funziona sulla dualità, ossia sull’esistenza costante di opposti polari di ogni genere, come maschio e femmina, bellezza e bruttezza, bene e male, salute e malattia, conoscenza e ignoranza, luce e oscurità ecc.
Il saggio è tale perché ha accettato questo fatto; ha realizzato che la sua programmazione è una combinazione di elementi positivi e negativi, che non può essere un essere umano perfetto (e che nessuno può esserlo); in questo modo è capace di accettare gli eventi, senza giudicare mai niente e nessuno. In altre parole: egli è in grado di accettare, senza difficoltà alcuna, “Ciò che E”, ovvero quello che avviene nel momento presente. La persona non realizzata, generalmente, non è capace di accettare questa dualità come fondamento della vita e del vivere; osserva ogni cosa con occhio critico e, nelle varie situazioni di dualità che la vita le presenta, vive un’altalena di preferenze. Per questa ragione molti si sentono perennemente scontenti e frustrati.
In altre parole: il saggio, avendo accettato le dualità della vita, vive con un atteggiamento di grande tolleranza e quindi gode di una pace costante, sentendosi appagato e tranquillo; al contrario la persona non realizzata vive immersa nel dualismo, e passa da una preferenza all’altra il che la porta a giudicare e a fare dei continui paragoni, rifiutando ciò che il momento presente le offre. Questa situazione porta con sé profondo scontento, cattivo umore e confusione.

6. Un altro aspetto della vita che non viene afferrato chiaramente è quello della sua incertezza. Nessuno può sapere ciò che avverrà il momento seguente, dolore o piacere, e nessuno può evitare né l’uno né l’altro. La ricerca spirituale non ha niente a che vedere con tutto ciò. Ci sono ricercatori che non hanno afferrato questo concetto e si rivolgono a uno Swami nella speranza di ridurre la propria sofferenza fisica, psicologica o economica, ma in questi casi non si può parlare di ricerca spirituale. C’è bisogno di chiarezza. Anche i migliori tra i saggi hanno dovuto sopportare la sofferenza.
Se per ridurre la propria sofferenza una persona compie degli sforzi impegnandosi in pratiche spirituali di ogni genere, non potrà evitare enormi sensi di frustrazione e maggiore confusione. Cito il caso di un importante uomo politico che aveva annunciato pomposamente di aver perso la fede in Dio perché, prima di mettersi in viaggio, sua moglie si era recata in un certo tempio, e nonostante questo, durante il viaggio era morta in un incidente. Un altro devotissimo ricercatore spirituale si vantava di non avere mai omesso, neppure per un solo giorno, di compiere i suoi rituali devozionali (puja). Quando suo figlio morì, l’uomo accettò il fatto con coraggio e adottò un parente come figlio, ma anche questo figlio adottivo morì in un incidente. Questo fatto lo fece sentire così frustrato che entrò nella stanza dove aveva allestito un piccolo altare, raccolse tutte le statuette delle divinità in un sacchetto e le buttò nel pozzo (è accaduto in un villaggio molti anni fa); dopo di che egli non celebrò mai più alcun rito devozionale, né partecipò a cerimonie religiose. Ogni cosa è predeterminata; non esiste pratica spirituale con cui poter ridurre il dolore o aumentare il piacere assegnatoli dal Creatore secondo la Legge Cosmica. Se il ricercatore spirituale ignora questo aspetto rischia di prendere una grossa cantonata.

7. Il Buddha ha affermato: “L’illuminazione significa la fine della sofferenza”. Questo potrebbe creare confusione se non si comprende che la sofferenza è causata dall’individuo che crede di avere il libero arbitrio e d’essere colui che agisce. I sensi di colpa e i rancori sono le conseguenze ovvie di una erronea comprensione. Soltanto la piena accettazione del fatto che non esiste, in nessun caso, un individuo che agisce potrà rimuovere questo tipo di sofferenza e di ansie.


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