giovedì 21 ottobre 2010

Ospedali psichiatrici giudiziari, l’ergastolo bianco

tratto da: www.caffenews.it
“La follia è una condizione umana. In noi la follia esiste ed è presente come lo è la ragione. Il problema è che la società, per dirsi civile, dovrebbe accettare tanto la ragione quanto la follia, invece incarica una scienza, la psichiatria, di tradurre la follia in malattia allo scopo di eliminarla. Il manicomio ha qui la sua ragion d’essere “.
Così affermava Franco Basaglia circa 30 anni fa quando intraprese la sua lotta per l’abolizione dei manicomi (O.P. Ospedali Psichiatrici) che culminò con le legge 180 del 13 maggio 1978. Tale provvedimento passò alla storia come “Legge Basaglia” quasi a significare che era la concretizzazione delle idee di Franco Basaglia sebbene egli stesso ribadisse che quella legge andava rivista, modificata e che non era stato lui a proporla nei termini un cui fu approvata.

Ora, lo spirito promotore di tale iniziativa appare chiaro: restituire dignità a chi, fin dalla nascita o per disavventura, è stato privato delle possibilità di vita e realizzazione che ogni persona cosiddetta normale possiede.
Basaglia proseguiva: “Dal momento in cui oltrepassa il muro dell’internamento, il malato entra in una nuova dimensione di vuoto emozionale (…); viene immesso, cioè, in uno spazio che, originariamente nato per renderlo inoffensivo ed insieme curarlo, appare in pratica come un luogo paradossalmente costruito per il completo annientamento della sua individualità, come luogo della sua totale oggettivazione.
Se la malattia mentale è, alla sua stessa origine, perdita dell’individualità, della libertà, nel manicomio il malato non trova altro che il luogo dove sarà definitivamente perduto, reso oggetto della malattia e del ritmo dell’internamento. L’assenza di ogni progetto, la perdita del futuro, l’essere costantemente in balia degli altri senza la minima spinta personale, l’aver scandita e organizzata la propria giornata su tempi dettati solo da esigenze organizzative che – proprio in quanto tali – non possono tenere conto del singolo individuo e delle particolari circostanze di ognuno: questo è lo schema istituzionalizzante su cui si articola la vita dell’asilo “.

Da queste parole si evince chiaramente come Basaglia abbia cercato si sconvolgere radicalmente la prospettiva dalla quale affrontare il disagio mentale: il miglior mezzo per contenere coloro che manifestano tale disagio è proprio cercare di “non contenerli”, evitando (per quanto possibile) forzature e divisioni con il mondo esterno ma prestando loro assistenza, lasciandoli allo stesso tempo liberi e di muoversi e di esprimersi.
Ma come spesso accade, le riforme avvengono solamente in parte e la storia racconta che la legge 180 del 13 maggio 1978 si dimenticò degli O.P.G.: gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari (storicamente la denominazione Opg venne coniata nel 1975 ma tale tipologia di struttura era nota fin dall’800 come Manicomio Criminale). Questo avvenne  perché al fine del loro superamento doveva essere rivisto il codice penale nella materia dell’imputabilità e del vizio di mente ed alla fine degli anni settanta pareva che a ciò si sarebbe giunti in breve.

Gli Opg infatti scontano l’ambiguità – non solo semantica – di essere istituzioni deputate alla “ cura “ ed alla “ sorveglianza” delle persone che ospitano. Dunque sempre più gli Opg appaiono come scorie del passato, perché scontano le contraddizioni di un ordinamento penitenziario che, nato per evitare che persone sofferenti fossero recluse in carcere, pensò che gli Opg potessero rappresentare un luogo di cura e di riabilitazione. Queste contraddizioni permettono che una persona con disturbi mentali possa essere internato in Opg anche a causa di reati minori e restarvi per un tempo ben più lungo di un “normale” detenuto, perché troppo spesso gli Opg diventano il palcoscenico su cui si rappresenta l’abbandono dei Servizi psichiatrici delle Asl. (Ristretti Orizzonti, 7 settembre 2010). Impossibilitate a divenire sempre più realtà ospedaliere per pazienti psichiatrici, in quanto modello ormai obsoleto e superato, attirate invece dalla galassia carceraria, ciclicamente irrigidita dalle emergenze di lotta alla criminalità, sovraccaricate da richieste di soddisfare ambigue e pericolose richieste provenienti dall’interno (perizie ed osservazione dei detenuti per accertare le simulazioni di malattia, l’utilizzo da parte di componenti della criminalità organizzata), queste strutture hanno visto ridursi nel tempo le possibilità di intervento in una fase di “emergenza” sociale della malattia finendo così invece per funzionare da aspecifico serbatoio di controllo di problemi spesso eterogenei e marginali.
Gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari attualmente accolgono diverse tipologie di pazienti con diverse posizioni giuridiche:
1. prosciolti per vizio totale di mente (art. 222 CP), dichiarati socialmente pericolosi (68% della popolazione);
2. condannati (giudicati cioè in grado di intendere e di volere al momento del reato) che durante l’esecuzione della pena sono colpiti da infermità psichica (art. 148 CP) (8,5 % della popolazione);
3. condannati, ma con vizio parziale di mente (art. 219 CP) dichiarati socialmente pericolosi, che devono eseguire un periodo di Casa di Cura e Custodia, eventualmente in aggiunta alla pena detentiva (12,7 %);
4. imputati, detenuti in ogni grado del giudizio e condannati che vengono sottoposti ad osservazione psichiatrica a norma dell’art. 99 DPR 431/76 per un periodo non superiore a 30 giorni (2%);
5. imputati ai quali sia stata applicata una misura di sicurezza provvisoria (art. 206 CP, 312 CPP), in considerazione della loro presunta pericolosità sociale, ed in attesa di un giudizio definitivo (5,5 %);
6. imputati sottoposti a perizia Psichiatrica (raramente in quanto essa dovrebbe essere svolta in carcere);
7. imputati colpiti durante il giudizio da malattia mentale tale che essi non siano più in grado di attendere utilmente al procedimento (categoria peraltro virtualmente non più presente in quanto il ricovero e trattamento di tali soggetti compete al Servizio Psichiatrico Pubblico come previsto dall’art. 70 del Codice di Procedura Penale).
Fu proprio tale dimenticanza da parte del legislatore che segnò  l’inizio della parabola discendente di tali strutture.
“Vergogna” e “disumanità”: lenzuola sporche di urina, cinghie di contenzione, sporcizia, muffa, letti accatastati, uomini lasciati senza cure e ammassati, fino a 9 in una stanza, che bevono acqua rinfrescata nel wc o defecano dietro un muretto vicino al letto, dirigenti indifferenti come statue di marmo, vite dimenticate di internati che scontano un ergastolo bianco, come quella di un uomo che 25 anni fa si vestì da donna e andò davanti ad una scuola e da allora è rinchiuso, o il transessuale, solo, in una stanza cadente e sempre chiusa”.
Questa è descrizione fornita dalla Commissione parlamentare sul SSN nazionale che ha monitorato le condizioni di vita delle persone  recluse nei 6 Opg Italiani: per Barcellona Pozzo di Gotto, Aversa e Montelupo le condizioni di degrado sono tali che i senatori ne hanno chiesto la chiusura. Appena migliore, seppure sempre in condizioni inaccettabili Napoli e Reggio Emilia; unica eccezione positiva per struttura e qualità dell’assistenza, Castiglione delle Stiviere.

Gli internati in Opg sono circa 1500  in Italia, alcuni di loro rinchiusi da anni anche se non pericolosi, persi in una sorta di “limbo” per reati minori; la misura di sicurezza viene rinnovata semplicemente in automatico, scontando un “ergastolo bianco”, come lo chiamano gli stessi operatori senza ormai più sentirne l’atrocità. Un ergastolo spesso scontato in mezzo alla sporcizia, in strutture fatiscenti, nel degrado di persone lasciate sole a se stesse senza cura – anche meno di un’ora al mese di visita da parte di specialisti – legati con le cinghie di contenzione o immobilizzati dai farmaci”.
E questo – avvertono i senatori – è un orrore che turba e spaventa perché “può capitare davvero a chiunque”. (AP Com, 28 luglio 2010).

Antonio Piazza

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