martedì 26 ottobre 2010

Un triste ricordo: le classi differenziali

 fonte: Humanita uomo

 Racconto di Nadia Lazzaro

Leggendo la notizia che il Presidente della Provincia di Udine, il leghista Pietro Fontanini, ha riproposto percorsi scolastici separati per i disabili, mi è tornato in mente un brutto ricordo  legato alle scuole elementari, che fa ancora molto male quando si ripresenta, quello delle classi “ differenziali”.
 
Noi bambini cosiddetti “nomali”  le percepivamo come ghetti, come quei luoghi dove i grandi , con pietismo farisaico,  ci spigavano dovevano essere messi  “i poveretti che non ci arrivavano con la testa”, che non avrebbero mai potuto imparare quello che imparavamo noi e che, per giunta, avrebbero potuto anche essere pericolosi, con quel loro “comportamento anormale”.
Sentire queste cose suscitava in noi sentimenti di paura e di pietà, ma di quella pietà che disprezza, che vorrebbe non vedere, e che ti fa pensare “meno male non sono come loro!”.
Un giorno, in terza elementare, vengo chiamata per pochi minuti a mantenere il silenzio tra questi bambini "strani",  la loro maestra doveva parlare con la mia e, purtroppo, la bidella era impegnata in altro. Rimango terrorizzata da una prospettiva del genere, tuttavia l’insegnamento è  di obbedire sempre agli ordini di  una maestra, così mi decido ad affrontare quello che immaginavo come il recinto dei leoni.
Con mia sorpresa, una volta entrata in classe scopro che quei bambini non sono affatto pericolosi, certo mi colpiscono per quegli sguardi così aperti e allo stesso tempo sfuggenti, ma li trovo simpatici con quella loro curiosità nei miei confronti. Dopo qualche minuto di "ciuciuliare" tranquillo tra me e loro, un gruppo inizia a fare un allegro   baccano ed io, bambina come loro, vengo presa dal panico all’idea di non riuscire ad eseguire l’incarico di “tenere il silenzio”.
Le provo tutte, ma senza successo, e la mia disperazione cresce perché so bene che il chiasso attirerà la bidella, e lei informerà di tutto la  maestra. Proprio come temo la maestra  entra in classe indispettita e vuole che le indichi i responsabili del “disordine”. Sulle prime sono perplessa poi, pensando ai discorsi dei “grandi” (“poverini quei bambini non ci stanno con la testa”), mi convinco che  non succederà nulla se farò quanto  mi  viene chiesto, tutt’al più ai responsabili  verrà fatto un forte rimbrotto, come si fa con i bimbi di 3, 4 anni.
Contrariamente alle mie previsioni accade invece una cosa  terribile: la maestra afferra la bacchetta e comincia a sferrare bacchettate sul palmo delle mani , con determinazione, senza guardare i loro occhi e i loro volti pieni di terrore, di dolore e d’incomprensione per quello che gli stava succedendo. Avevo nove anni, ma ricordo come se il tempo non fosse passato, ricordo la sofferenza che ho provato, il senso di colpa, l’incapacità di capire e, soprattutto, i sobbalzi del mio corpo ad ogni bacchettata, come se fossero nella mia carne.
Tempo dopo fu la mia maestra a chiedermi di tenere il silenzio nella mia classe perché doveva allontanarsi per qualche minuto, io come al solito non mi sottrassi, ma non impiegai tante energie a far star buone le mie compagne (era una classe tutta al femminile). Al suo ritorno il baccano che trovò, unito al rifiuto di denunciare le “colpevoli”, mi valse una sonora bacchettata, così forte da costringermi a passare gran parte del   pomeriggio in bagno, con la mano immersa nella bacinella dell’acqua fredda.
 Dovevo essere grata ai cosiddetti “bambini disadattati”,  la loro sofferenza mi aveva insegnato una cosa molto importante: a volte gli adulti con le loro regole, le loro distinzioni, sono insensati ed insensibili, in questi casi,  è legittimo disobbedire, una disobbedienza senza capricci, non violenta, ma determinata, costi quello che costi.
Ora sento parlare nuovamente di classi differenziali e torno a tremare, soprattutto perché chi ne parla è un uomo di 58 anni che non può non aver visto quell’orrore!
Anch’io non sono più una giovinetta, ma come quel personaggio di Pippi Calzelunghe, il “Vecchio-Bambino”,   ho conservato in molte cose il modo di sentire  di allora, e se questa proposta pazza (non saprei come altro definirla!) dovesse prendere piede (ma non credo perché saremmo davvero alla frutta!) sarò in prima fila per contrastarla, e spero amici cari che tutti voi sarete in prima fila con me.

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