giovedì 24 novembre 2011

PERCHÉ UN SOLDATO ISRAELIANO VALE PIÙ DI UN BAMBINO PALESTINESE?

DI DANA HALAWA
The Electronic Intifada

Durante lo scambio di prigionieri dello scorso mese, non un bambino palestinese è stato rilasciato dalle prigioni israeliane, dove ne sono rimasti più di 160 dietro le sbarre.
Ho letto un'infinità di articoli e visto un sacco di video sul ricongiungimento di Gilad Shalit con la famiglia a cinque anni dal suo rapimento. Il commento usuale riporta che “aveva solo 19 anni quando nel 2006 è stato crudelmente ed illegalmente portato via per mano di Hamas”. Ho sentito parlare di lui negli ultimi cinque anni. Conosco il suo nome meglio di quelli dei miei compagni di classe.

Tuttavia, quello che ho già dimenticato sono i nomi dei 477 palestinesi che sono stati liberati. Quello che non saprò mai sono le storie delle migliaia di palestinesi che passano la vita intera dietro le sbarre, lontano dalle loro famiglie e dai loro amici. Delle migliaia di bambini, donne e uomini tuttora detenuti nelle carceri israeliane. Dei bambini che sono cresciuti in cella. Dei genitori che hanno visto strappare i loro figli dalle mani, portati via senza il loro consenso, costretti a guardare da lontano aspettando di sapere dove fossero i loro bambini e pregando che non venissero torturati, almeno non troppo.
Questi sono gli eroi senza volto e senza nome che sono stati liberati in questo scambio, mentre altri migliaia continuano a languire nelle prigioni.
Ashraf Baluji, Imad Abu Rayyan, Imad al-Masri e Yusuf al-Khalis avevano solo 18 e 19 anni nel 1991 quando furono arrestati. Facevano parte dei primi 477 prigionieri della guerra a essere stati rilasciati in cambio di Gilad Shalit, dopo aver passato più di venti anni in carcere. Assurdo, il 1991 è il mio anno di nascita. Per ogni respiro che ho fatto, per ogni momento che ho vissuto, loro erano rinchiusi e torturati.
In ogni articolo che ho letto che si riferisce a Shalit e ai 1027 palestinesi liberati nello scambio come numero o come “militanti”, il giornalista dimentica sempre di menzionare che Shalit era un soldato addestrato e armato che era stato “rapito” da un veicolo dell'occupazione militare; che la maggior parte dei prigionieri palestinesi non sono mai ricorsi ad atti criminali o militari contro Israele e che sono stati solo accusati di resistenza contro l'occupazione israeliana. Per opportunismo hanno dimenticato i tanti bambini palestinesi presi e portati via dalle proprie case, di solito negandogli le visite dei genitori o degli avvocati.
Nel 2009 la rivista Time ha pubblicato una storia su Walid Abu Obeida, un giovane agricoltore palestinese che a soli tredici anni fu fermato mentre tornava a casa da due soldati israeliani con i fucili puntati. Lo hanno picchiato e arrestato mentre i suoi genitori si chiedevano dove fosse e perché non era ancora a casa. (cfr. “Does Israel mistreat Palestinian child prisoners?,” 30 giugno 2009).
Purtroppo, il modo in cui hanno trattato Abu Obeida non è un caso isolato. Secondo le ultime stime dell'ottobre 2011 stilate dalla sezione palestinese della Defence for Children International, 164 bambini palestinesi tra i 12 e i 17 anni sono in carcere, di cui 35 che hanno un età tra i 12 e 15 anni. (Bambini detenuti, dati al 7 novembre del 2011).
Molti sono confinati senza processo o sentenza, mentre altri sono condannati – spesso in modo falso – per aver lanciato pietre ai carri armati israeliani che occupavano le loro terre e che demolivano le loro case.
Elementi chiave dimenticati
Israele ha arrestato più di 650.000 palestinesi, ovvero il 20% della popolazione, dall'inizio dell'occupazione della Cisgiordania nel 1967. Quando ne parliamo, di solito si dimentica il fatto che Israele occupa la Palestina. I palestinesi vengono uccisi e rapiti nelle loro case e processati nei tribunali israeliani, dove i testimoni palestinesi non hanno il diritto di intervenire, mentre altri sono incarcerati, senza processo o accusa, sotto “detenzione amministrativa”.
Dando un'occhiata alla lista dei prigionieri rilasciati, ho trovato il nome di Akram Mansour, arrestato a 18 anni. Ha passato più di 30 anni a soffrire e a languire nelle carceri israeliane per essersi opposto all'occupazione israeliana del Libano. A 51 anni finalmente è riuscito ad assaporare un po' di libertà - anche se senza sua madre, suo padre e sua sorella che sono morti mentre era sotto la custodia di Israele – prima che il tumore al cervello sviluppato nelle prigioni israeliane abbia iniziato a portargli via la vita. In un'intervista online in arabo rilasciata a Mansour, dice di soffrire di paralisi alle dita, per i denti che gli mancano e la perdita di memoria a causa delle torture a cui è stato sottoposto, che andavano dalle martellate sulle dita, agli aghi nella fronte per farlo urinare e, in caso di lamentele, a farlo spogliare al freddo e al colpirlo con secchiate di acqua ghiacciata (“The suffering of the liberated prisoner Akram Mansour,” 24 ottobre 2011 [arabo]).
Derubati dell'infanzia
Ragazzini palestinesi di dodici anni vengono derubati della loro innocenza e dell’infanzia dietro le sbarre. I ragazzi di sedici anni vengono processati da Israele come fossero adulti, anche se secondo la legge internazionale e anche quella israeliana (per gli israeliani) la maggiore età arriva con i diciotto anni. Madri e sorelle vengono arrestate e accusate di terrorismo per essersi opposte all'occupazione. I bambini vengono costretti a crescere senza genitori. Gli uomini vengono accusati e condannati all'equivalente di 36 ergastoli per essersi opposti al genocidio. In totale, 1027 persone sono state liberate, mentre 5000 rimangono prigioniere.
Gilad Shalit verrà ricordato come un eroe sopravvissuto a cinque anni di rapimento, durante i quali ha avuto controlli medici regolari e ha vissuto nelle migliori condizioni che Gaza potesse fornire sotto l’assedio israeliano. Questo è più di quanto si possa dire dei prigionieri palestinesi, che spesso vengono privati dei servizi di base, inclusa l'assistenza medica quando necessaria.
Oggi Shalit è un uomo che gode di una libertà senza limiti. Invece, ai 477 palestinesi liberati nella prima parte di questo scambio è stato permesso di tornare a casa solo a condizione che facciano rapporto a Israele ogni mese e che non viaggino in altre città palestinesi; oppure, sono stati confinati dove non hanno la possibilità di vedere le loro famiglie in Cisgiordania (alle quali non è permesso entrare a Gaza); oppure sono stati esiliati addirittura fuori dall'intero paese, vietando qualsiasi tipo di ritorno a casa. Adottando queste misure per impedire il ricongiungimento con i familiari per i prigionieri rilasciati, Israele viola il più basilare dei diritti umani. L'Articolo 12 della Convenzione Internazionale sui Diritti Civili e Politici dichiara: “Nessuno dovrà essere arbitrariamente privato del diritto di entrare nel proprio paese.”
Una vita è una vita, e un essere umano è un essere umano. Quindi, molti ora chiedono perché la vita di Gilad Shalit vale quanto quella di 1027 palestinesi. Farsi questa domanda significa non comprendere Israele. La vita di un israeliano ha un valore incommensurabile, mentre la vita di un palestinese pesa poco o niente. Penso di parlare a nome di molti palestinesi quando dico che sono contenta che Gilad Shalit sia a casa, al sicuro con la sua famiglia, che i palestinesi più di chiunque altri capiscono cosa voglia dire perdere un padre, una madre, un fratello, una sorella, una figlia e così via. Più di chiunque altro, i palestinesi comprendono la gioia che lui e la sua famiglia possono provare ora che è tornato.
Personalmente, credo che uno scambio equo sarebbe stato rilasciare tutti i prigionieri palestinesi in cambio di tutti i prigionieri israeliani, cioè il solo Gilad Shalit, piuttosto che far valere una sola vita per 1207. Tuttavia, sapendo che Israele non sarebbe mai stato d'accordo, mi congratulo con Hamas e il popolo palestinese per la loro vittoria. E prego per i restanti 5000 palestinesi che sono sotto la custodia di Israele, e per gli altri che vengono arrestati per riempire le celle che sono state da poco svuotate.
Dana Halawa è un'americana-palestinese di 20 anni che studia medicina alla Jordan University of Science and Technology in Giordania.
 
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08.11.2011
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di ROBERTA PAPALEO

4 commenti:

  1. La forza di queste parole è straordinaria, e scritte da una ragazzina acquistano la voglia irrinunciabile di risposte.
    Diffondo questi interrogativi di Dana, sperando arrivino al cuore dei sordi.
    Namastè

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  2. (Dayton)la libertà che io che noi stiamo vivendo,qualcuno la pagò cara:e mi ricordo leggendo codesti articoli,di quanto io sia fortunato e noi ci lamentiamo !!!
    Ciao Rosa, sempre molto puntuale con i messaggi
    a presto.

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  3. E' vero Paolo, colpisce la forza di queste parole, vi è anche un senso di giustizia e di equità ed una irrefrenabile esigenza di dignità che pur essendo in parte americana, e qundi privilegiata, Dana coglie pienamente, realizzando un racconto che ha le caratteristiche della verità e della lucida razionalità, ma che riesce a commuovere senza cercare alcun pretesto letterario.
    Buon tutto amico mio ;)
    Namastè

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  4. @Dayton
    Il contesto in cui avviene tutto questo è sempre più globale non dimentichiamolo e la globalizzazione tende ad uniformare al peggio.
    Se sino ad oggi non ce ne siamo resi conto (o abbiamo finto) presto potrebbe avvenire che ci venga ricordato che il problema Israelo-palestinese riguarda anche noi.
    Un abbraccio ;)
    Namastè

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