sabato 14 gennaio 2012

Proposta per una nuova categoria diagnostica: sindrome del “Cuore di Pollo” – di Silvia Salese e Luca Bertolotti

fonte: Spaziomente blog  
 
Da psicologi, ma soprattutto come abitanti di questo pianeta che condividono spazi, lavoro e relazioni con altri terrestri, ci siamo resi conto che nei manuali diagnostici (così come nella consapevolezza popolare riguardo alle più particolari condizioni umane) manca il riferimento ad un aspetto mentale e comportamentale ben preciso e molto presente nel nostro ecosistema, al punto tale che sarebbe un peccato non prenderlo nella dovuta considerazione.
Si tratta di una caratteristica facilmente rintracciabile dentro se stessi (già, perché è molto, molto difficile non esserne affetti) e che può essere sinteticamente ed efficacemente definita con la seguente espressione: “Cuore di Pollo”. Ora vi elenchiamo le peculiarità, e vedrete che la metafora risulterà subito molto chiara.
Gli individui marcatamente affetti dalla sindrome del “Cuore di Pollo” – ai quali ci riferiremo nel testo con CdP – sono persone che, tutto sommato, appaiono “buone”. Si, buone, proprio buone, spesso affabili, con un pizzico di atteggiamento preoccupato sullo sfondo, ma tutto sommato fiduciose, tanto che quando chiedono a qualcuno “come stai?” sperano che la risposta sia “eh… potrebbe andare meglio”.
I CdP rivelano la loro intenzione a condividere le sofferenze altrui, in maniera ovviamente temporanea e relativa solo ai brevi attimi di comunicazione con gli altri, grazie ad una particolare espressione del volto: tendenzialmente pia ed empatica, accompagnata da un leggero velo di sofferenza di fondo. Se non state bene, loro lo capiscono all’istante e proveranno per voi una simpatia quasi immediata, specie se per le vostre sfortune non si vede una via di uscita. L’aiuto del CdP è però teorico e non sostanziale. Di fronte alle difficoltà del loro prossimo, si daranno davvero un gran da fare: sperare (“dai, confidiamo in bene”), riflettere (“caspita, questo proprio non ci voleva!”), simpatizzare (“ti capisco benissimo…”), pregare (“mi ricorderò di te Domenica” – o un altro giorno, quello dedicato alle meditazioni o alle invocazioni). Naturalmente, il loro sostegno è totalmente eterico e impalpabile… il riscontro pratico fa parte del mondo grossolano, non li riguarda. La filosofia di vita rispecchia una ferrea legge matematica: minimo dispendio energetico personale per massimo ottenimento di considerazione altrui.
Spesso il CdP manifesta una superficialità davvero grandiosa. Nei discorsi seri sono quelli che possono irrompere fulmineamente con una battuta fuori luogo oppure cominciare a parlare di se stessi nel tentativo di catturare l’attenzione, salvo poi commuoversi quando si parla di bambini denutriti e di micini maltrattati.
Campioni di sentimentalismo, i CdP non conoscono tregua nella ricerca di situazioni in cui possano manifestare un’emotività stucchevole e – agli occhi di quelli che definirebbero cinici – ridicola. Disgrazie ambientali, stragi terroristiche, stupri, abbandoni, delitti, suicidi, povertà sono solo alcuni degli argomenti privilegiati che li vedranno protagonisti (sempre teorici) nella lotta contro il male-del-mondo: “non si può più andare avanti così”, “dove andremo a finire…”, “non riesco a crederci!” sono modalità piuttosto consuete per annunciare una sequela straziante ed inutile di considerazioni sull’impotenza dell’essere umano e sulla sua fragilità.
I CdP non possono tollerare le ingiustizie, proprio no! salvo dimenticarsi che il male non risiede affatto nelle notizie plateali annunciate dai media televisivi (sovente parziali o gonfiate appositamente per l’audience dei CdP), ma in ogni loro gesto e scelta quotidiana. Nonostante i buoni propositi verso l’umanità, il CdP doc non perderà tempo nemmeno un attimo se avrà l’occasione di maltrattare la commessa della latteria, per far sentire i propri figli degli imbecilli, per parlare male della vicina di casa A con il vicino di casa B (e del vicino di casa B con la vicina di casa A), per tirarsi indietro di fronte alla richiesta di un aiuto pratico e concreto (adducendo a motivazioni educative tipo: “se non se la caverà da solo, non imparerà mai niente dalla vita” o “se si trova in quella situazione se lo sarà meritato” o  ancora “domani sera proprio non posso, c’è la 3896° puntata di romantiful”).
Il CdP non ha mai nulla da imparare – tutto l’amore possibile lo riempie già pienamente – e manifesta una sorta di terrore misto ad aggressività difensiva ogni volta che si mette in discussione la sua buona fede, un suo tratto caratteriale o la bontà di una sua azione. In tal caso potrete osservare due differenti reazioni: o un attacco violento contro la vostra persona (il CdP potrà allora accusarvi apertamente di insensibilità o rinfacciarvi un fatto accaduto 26 anni prima, quando facevate le terza elementare e avete rubato la merendina dalla sua cartella), o un arroccamento silenzioso e rigido verso l’argomento in questione. In quest’ultimo caso il CdP potrà manifestare attacchi di tosse, sonnolenza, sbadigli leonini, mal di schiena, ricordi di impegni improvvisi. State certi che non tornerà mai più sull’argomento e che per un po’ di giorni vi terrà alla larga (i CdP cronici non vi vorranno mai più rivedere, nemmeno nell’aldilà).
Ma i CdP – comunque – riscuotono una certa simpatia, specie tra altri CdP o tra gli ingenui. Per rendere l’idea, sono coloro che si scaraventano su ogni donna incinta di loro conoscenza per chiederle tutto: quando ha concepito, come, a cosa stava pensando durante il concepimento (solo nel caso di CdP new age), a quanti mesi è, per quando è prevista la scadenza, a che ora, in quale ospedale, quanti centimetri misura il femore secondo l’ultima ecografia (il tutto condito con saltuari “woh” o “favoloso”). Naturalmente si dimenticheranno tutto in pochi minuti, per poi magari stupirsi di fronte alla notizia della nascita della creatura come un evento quasi inaspettato.
Oppure, sempre per fare un altro esempio, sono quelli che di fronte ad un cucciolo di cane o un uccellino indifeso (o un cavallo o persino di fronte ad una capra) riescono a commuoversi fino alle lacrime, scattare fotografie, scatenarsi con considerazioni innocenti e candide riguardo alla bellezza e alla perfezione della natura, accarezzare, baciare o abbracciare la creatura in questione (anche contro la sua volontà), cercando in tutto questo di evidenziare marcatamente la loro sensibilità di fronte agli occhi altrui (“proprio non riesco a capire come si possa non trattare con amore questi animali”). In questi casi, per essere certi che si tratti di CdP, è possibile sperimentare un test molto interessante chiedendo alla persona se è vegetariana, indubbio simbolo di poco amore verso l’essere vivente macellato per il solo gusto del palato. Se non lo è, siatene certi: di voi, della capra e dell’umanità intera, non può interessarle di meno.
Bisogna però riconoscere che il loro spirito per gli affari è molto spiccato, dato che la loro modalità di approccio alla vita è prettamente commerciale, investendo un piccolo capitale iniziale (le superficiali e ipocrite ma apparentemente sentite attenzioni verso di altri) per poi attendersi in cambio un vostro reale e sincero interesse nei loro confronti.
Già, perché è proprio l’attenzione altrui che colma provvisoriamente il loro profondo vuoto e la perenne insoddisfazione, dovuti non tanto all’amara verità di non sentirsi amati quanto meriterebbero, quanto al fatto di non essere loro per primi in grado di amare gli altri.
Come dei veri polli, i loro cuori starnazzano e schiamazzano ma non prendono mai il volo, accontentandosi di elemosinare sotto il tavolo della vita le briciole di fugaci – e spesso illusori – sentimenti. Tenendo sempre rivolto lo sguardo verso il basso, non riescono, anzi non provano nemmeno, a slanciarsi oltre il loro piccolo mondo personale, non potendosi così realmente accorgere dell’esistenza di altre forme di vita intorno a loro, di altri mondi, di altre storie, limitandosi a beccarsi reciprocamente.
Volgendo al termine di questo post, avendo forse sollecitato il CdP che è in noi, la nostra mente ha evocato i versi di una canzone di Dado, che oltre a farci sorridere ci spinge a riflettere davanti allo specchio:
Dici che ami il pollo e l’hai mangiato, dici che ami il fiore e l’hai tagliato, dici che ami il gatto e l’hai castrato. Dici che mi ami: sono preoccupato.
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http://spaziomente.wordpress.com/2012/01/09/proposta-per-una-nuova-categoria-diagnostica-sindrome-del-cuore-di-pollo/#more-1279
 

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