lunedì 30 gennaio 2012

Tav Torino-Lione in formato ridotto. La fregatura (scritta in piccolo) c’è sempre

Maria Ferdinanda Piva

Oggi Italia e Francia hanno firmato l’accordo, i politici annunciano che la Tav Torino-Lione si farà parapà parapà. In realtà le loro parole sono come una di quelle polizze assicurative contenenti la fregatura scritta in caratteri piccolissimi.
Primo elemento che normalmente è in sordina: Italia e Francia si sono accordate per la versione mignon della Tav (sostanzialmente, il tunnel sotto le Alpi), che verrà raccordata alla linea attuale e che avrà il modico prezzo di 8,2 miliardi.
In base all’accordo, il resto dell’opera verrà iniziato dopo il 2023 (notare: dopo il 2023, ma non si dice quando) rottamando contemporaneamente il raccordo (che ora si va a realizzare) con la linea ferroviaria attuale.
Il progetto originario e completo avrebbe consentito di risparmiare un’ora nel viaggio da Torino a Parigi. Non riesco ad immaginare quanto tempo sarà risparmiato con la Tav mignon, un quarto d’ora? E cosa me ne frega di quel quarto d’ora, quando aspetto mesi per effettuare visite ed esami medici. Non solo.

Se il nuovo tratto viene raccordato alla linea attuale, da Torino a Parigi potranno andare solo i treni che la linea attuale è in grado di sopportare.
Significa che, fino a data da destinarsi, Italia e Francia non hanno tutto quel gran volume di ulteriori uomini e merci (ma quando mai…) da scambiarsi urgentemente in tutta rapidità.
Però ora si spendono subito 8,2 miliardi (più eventuali e prevedibilmente consistenti rincari) per bucare le Alpi. A carico dell’Italia è il 57,9% della spesa, pari a 4,75 miliardi.
Attenzione, perchè comunemente si parla di 2,7 miliardi a carico dell’Italia. E’ un mero auspicio contabile elevato al rango di quadro economico.
I 2,7 miliardi vengono calcolati postulando che non ci siano rincari e che l’Unione Europea contribuisca per il 40% alle spese. Mentre ciò che risulta nero su bianco è: l’Unione Europea potrebbe contribuire alle spese fino a un massimo del 40%. E c’è una bella differenza.
Si tratta ovviamente di denaro pubblico. Ovvero: quei soldi li cacceremo fuori noi. Riporto un brano della relazione scritta dalla Corte dei Conti nel 2008, a proposito dei debiti accollati al bilancio italiano per l’intera rete italiana dell’alta velocità ferroviaria. Ci sono arrivata tramite la prima puntata di un’inchiesta sull’alta velocità di Stampa Toscana (link in fondo come sempre) che raccomando caldamente di leggere.
Quella relazione della Corte dei Conti parla di 12,95 miliardi di euro allora già spesi per l’alta velocità ferroviaria italiana, e dice:
il pagamento “a piè di lista” da parte dello Stato sottrae una rilevante fetta di risorse agli investimenti sociali. In buona sostanza l’uso del debito pubblico (…) viene trasmesso a generazioni future, senza che sia data alcuna prova che le stesse possano in qualche in modo avvantaggiarsene.
Notare: in quel momento non si parlava ancora di crisi economica conclamata, spread, Europa che ci chiede di ridurre il deficit, tagli ai servizi sociali.
Adesso invece se ne parla eccome. E dunque sappiatelo: i 4,75 miliardi (o quanti saranno) per bucare le Alpi e andare a Parigi risparmiando un quarto d’ora contribuiranno a formare debito pubblico e a sottrarre ulteriori risorse ai servizi sociali.
Però quei 4,75 miliardi faranno contenti gli appaltatori e tutti coloro che ungono le ruote legate ai meccanismi degli appalti pubblici sperando che un po’ di grasso resti nelle loro mani.
Dev’essere per questo che la Tav viene definita “obiettivo strategico nazionale”.


Su Stampa Toscana inchiesta sulla Tav, prima puntata, e la relazione della Corte dei Conti

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