DI VANDANA SHIVA
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Il mio viaggio nell’ecologia iniziò nelle foreste dell’Himalaya. Mio padre era sovrintendente alle foreste e mia madre, rifugiata in seguito alla sanguinosa guerra di partizione tra India e Pakistan, era diventata una contadina. E’ nelle foreste e negli ecosistemi himalayani che ho appreso tutto ciò che so sull’ecologia. Le canzoni e le poesie che scriveva mia madre parlavano di alberi, di foreste e di civiltà indiane che vivono nelle foreste.
Il mio attivismo nel movimento ecologico cominciò con “Chipko”, una risposta non violenta alla deforestazione su larga scala che stava avvenendo nella regione Himalayana.
Negli anni ’70, alcune donne contadine della mia regione nel Garhwal Himalaya si attivarono a difesa delle foreste. Il disboscamento stava causando frane e alluvioni, scarsità di acqua, foraggio e legna. Ed erano le donne a subirne le conseguenze, poiché sta a loro procurare acqua e legna per il riscaldamento e quando queste scarseggiano il loro compito diventa ancora più gravoso, dovendo spostarsi più lontano.
Le donne sapevano che il vero valore delle foreste non risiede nel legname dei singoli alberi abbattuti, ma nei suoi corsi d’acqua, nel foraggio per il bestiame e nella legna per il fuoco. Le donne dichiararono che i tagliatori avrebbero dovuto ucciderle per abbattere gli alberi.
Una canzone popolare di quel periodo recitava:
Queste querce e rododendri stupendi
Ci danno acqua fresca
Non tagliate questi alberi
Teniamoli in vita
Nel 1973, prima di partire per il Canada per il mio Ph.D , volli far visita ai miei boschi e nuotare nel mio fiume preferito prima. Ma le foreste erano scomparse ed il fiume ridotto ad un rivolo d’acqua.
Fu allora decisi di diventare volontaria del movimento Chipko e trascorsi tutti i miei periodi di vacanza a fare “pad Yatras” (pellegrinaggi a piedi), documentando la deforestazione ed il lavoro degli attivisti e diffondendo il messaggio di Chipko.
Un episodio molto importante in cui fu coinvolto il movimento Chipko ebbe luogo nel villaggio himalaiano di Adwani, nel 1977, quando una donna del villaggio Bachni Devi si oppose al marito, il quale aveva concluso un contratto per l’abbattimento di alberi. Quando alcuni ufficiali forestali arrivarono nella foresta trovarono le donne reggevano in mano delle lanterne accese nonostante fosse pieno giorno. Una guardia forestale chiese loro una spiegazione. Le donne risposero “Siamo qui per insegnarvi la silvicultura.” La guardia replicò: ”Stolte donne, come potete voi, che impedite il taglio degli alberi, conoscere il valore della foresta? Le foreste producono profitti, resina e legno".
E le donne risposero in coro:
Suolo, acqua e aria pura.
Il suolo, l'acqua e l'aria pura
Sostentano la terra e tutti i suoi esseri".
Oltre le monoculture
Grazie a Chipko, ho imparato cosa sono le biodiversità e le economie basate sulla biodiversità. La tutela di entrambe è diventata la mia missione. Come ho descritto nel mio libro Monoculture della mente, il fallimento nel comprendere la biodiversità e le sue tante funzioni è alla base dell’impoverimento della natura e della cultura.
La lezione che ho imparato sulla diversità nelle foreste himalayane l’ho trasmessa nelle nostre fattorie cercando di proteggere la biodiversità. Ho iniziato conservando i semi raccolti nei campi dei contadini ed in seguito mi sono resa conto che necessitavamo di una fattoria nostra per fare dimostrazioni e pratica. Fu così che nel 1994 nacque la fattoria Navdanya nella Don Valley, situata sulla cima meno elevata della regione himalayana della provincia di Uttarakhand. Oggi conserviamo e seminiamo 630 varietà di riso, 150 varietà di grano e centinaia di altre specie. Pratichiamo e promoviamo una forma di coltivazione basata sulla biodiversità che produce quantità maggiori di cibo e nutrimento per ogni acro di terra. La conservazione della biodiversità è pertanto la risposta alla crisi di cibo e di nutrienti.
Navdanya, il movimento per la conservazione della biodiversità e per le coltivazioni organiche che è nato nel 1987, si sta diffondendo sempre più. A tutt’oggi abbiamo realizzato, con l’aiuto dei contadini, ben 100 banche di sementi sparse in tutta l’India. Abbiamo salvato più di 3000 varietà di riso. Abbiamo anche aiutato i contadini a passare da sistemi di monocolture basati sulla chimica e su combustibili fossili a sistemi ecologici biodiversi alimentati dal sole e dal suolo. La biodiversità mi ha insegnato la strada per l’abbondanza e per la libertà, per la cooperazione e per lo scambio.
I diritti della natura a livello globale
Quando la natura è maestra, noi creiamo con lei, le riconosciamo la sua azione ed i suoi diritti. A questo proposito è di particolare rilevanza che l’Ecuador abbia riconosciuto nella sua costituzione i “diritti della natura”. Nell’aprile 2011 l’Assemblea generale delle Nazioni Unite, ispirata dalla costituzione dell’Ecuador e dalla Dichiarazione dei diritti della Madre Terra da parte della Bolivia, ha organizzato una conferenza sull’armonia con la natura come parte delle celebrazioni del giorno della Terra. Molti dibattiti erano incentrati sui metodi di trasformazione dei sistemi basati sulla dominazione dell’uomo sulla natura, degli uomini sulle donne e dei ricchi sui poveri in nuovi sistemi basati sulla collaborazione.
Il rapporto del Segretario delle Nazioni Unite, “Armonia con la natura”, pubblicato a seguito della conferenza, argomenta sull’importanza di ricongiungersi con la natura: “In definitiva, l’atteggiamento distruttivo nei confronti dell’ambiente è il risultato del fallimento nel riconoscere che gli esseri umani sono una parte inseparabile della natura; non possiamo danneggiarla senza danneggiare noi stessi”.
Il separatismo è alla radice della disarmonia con la natura e della violenza contro di essa e contro l’essere umano. Come sottolinea il famoso ambientalista sudafricano Cormac Cullinan, apartheid significa separazione. Il mondo si è unito al movimento anti-apartheid per metter fine alla violenta separazione delle persone sulla base del colore della pelle. L’apartheid in Sudafrica è ormai alle spalle. Oggi è necessario superare quell’apartheid più ampia e profonda – una eco-apartheid basata sull’illusione della separazione degli umani dalla natura nella mente e nella vita.
La visione mondiale di una Terra senza vita
La guerra contro la Terra è iniziata con questa idea di separazione. Le basi furono gettate nel momento in cui la Terra Vivente diventò materia inerte per facilitare l’avvento della rivoluzione industriale. Le monoculture sostituirono la diversità. “Materiali grezzi” e “materia morta” sostituirono la Terra vibrante. Una “Terra Nullius” (terreni vuoti, pronti per l’occupazione senza alcun riguardo per le popolazioni indigene) prese il posto della “Terra Madre”.
Questa filosofia risale a Francis Bacon, considerato il padre della scienza moderna, il quale affermò che la scienza e le invenzioni che da essa derivano “non devono essere soltanto una guida per il corso della natura; esse hanno invece il potere di conquistarla e sottometterla per scuoterla dalle sue fondamenta”.
Robert Boyle, il famoso chimico del 17° secolo e governatore della Corporazione per la Propagazione del Gospel tra gli Indiani del New England, esigeva esplicitamente che le popolazioni indigene si sbarazzassero delle loro idee sulla natura. Attaccò la loro percezione della natura come “una sorta di divinità” e sostenne che “la venerazione di cui sono imbevuti gli uomini per ciò che essi chiamano natura, ha scoraggiato ed impedito il dominio dell’uomo sulle creature inferiori a Dio” L’idea di una natura senza vita legittimizza la guerra contro la Terra. Dopo tutto, se la Terra è semplicemente materia morta, allora niente verrà ucciso.
Come ha sottolineato il filosofo e storico Carolyn Merchant , questo passaggio di prospettiva, dalla natura come madre che nutre a materia inerte, morta, manipolabile, si adattava perfettamente a quelle attività che avrebbero portato al capitalismo. Le immagini di dominazione create da Bacon e da altri esponenti della rivoluzione scientifica sostituirono quelle della terra che nutre, annullando così quella restrizione culturale sullo sfruttamento della natura. “Non si può tranquillamente uccidere una madre, sventrarla per trovare l’oro nelle sue viscere e farla a pezzi” scrisse Merchant.
Cosa ci insegna la Natura
Oggi, in un momento di innumerevoli crisi intensificate dalla globalizzazione, è necessario che ci liberiamo dal paradigma della natura come materia morta. E’ necessario che ci spostiamo verso un paradigma ecologico e per far questo la natura stessa è la migliore maestra.
Questa è la ragione per cui ho fondato l’Università della Terra.
L’università della terra insegna la Democrazia della Terra, che significa libertà per tutte le specie di evolvere nella rete della vita, nonché libertà e responsabilità degli esseri umani, in quanto membri della famiglia Terra, di riconoscere, proteggere e rispettare i diritti delle altre specie. La Democrazia della Terra è il passaggio dall’antropocentrismo all’ecocentrismo. E poiché noi tutti dipendiamo dalla Terra, la Democrazia della Terra traduce il diritto umano al cibo e all’acqua in libertà dalla fame e dalla sete.
L’Università si trova a Navdanya, una fattoria basata sulla biodiversità, dove i partecipanti imparano a lavorare con sementi vive, con un suolo vivo e con la rete della vita. I partecipanti sono contadini, bambini in età scolare e persone da tutto il mondo. Due dei nostri corsi più seguiti sono “L’Agroecologia e l’agricoltura biologica dall’A alla Zeta” e “Gandhi e la globalizzazione.”
La Poesia della foresta
L’Università della Terra è ispirata da Rabindranath Tagore, il poeta nazionale dell’India, premio Nobel. Tagore fondò un centro studi a Shantiniketan nel Bengala dell’ovest: una scuola della foresta che prendesse ispirazione dalla natura per dare inizio ad un rinascimento culturale dell’India. La scuola divenne università nel 1921, diventando così uno dei più famosi centri di studio in India.
Oggi, proprio come ai tempi di Tagore, abbiamo bisogno di rivolgerci alla natura ed alla foresta perché ci diano lezioni di libertà.
Nella “Religione della Foresta” Tagore descrisse come gli abitanti della foresta nell’antica India influenzarono la letteratura classica Indiana. Le foreste sono le matrici di sorgenti di acqua e riserva di una biodiversità che può darci una lezione di democrazia: come lasciare spazio ad altri mentre si trae sostentamento dalla rete comune di vita. Tagore considerava l’unione con la natura come il più alto grado dell’evoluzione umana.
Nel suo saggio “Tapovan” (La foresta della Purezza), Tagore scrive: “La civiltà indiana si è caratterizzata per il fatto di aver attribuito alla foresta e non alla città la sua fonte di rigenerazione, materiale e intellettuale...».
Le migliori idee dell’India sono nate laddove l’uomo era in comunione con le piante, i fiumi ed i laghi, lontano dalle folle. La pace delle foreste ha aiutato lo sviluppo intellettuale dell’uomo. La cultura scaturita dalla foresta ha alimentato la cultura della società indiana. La cultura scaturita dalla foresta è stata influenzata dai diversi processi di rinnovamento della vita, processi che sono sempre in atto nella foresta e variano da specie a specie, da stagione a stagione, per aspetto, suono e odore. Il principio unificante della vita nella diversità del pluralismo democratico è diventato quindi il principio della civiltà indiana».
E’ proprio questa unità nella diversità che è alla base sia della sostenibilità ecologica che della democrazia. Diversità senza unità è causa del conflitto. Unità senza diversità è la base per il controllo esterno. Questo è vero sia per la natura che per la cultura. La foresta costituisce una unità nella sua diversità e noi siamo uniti con la natura attraverso la relazione che abbiamo con la foresta.
Negli scritti di Tagore, la foresta non è solo fonte di conoscenza e di libertà; è anche fonte di bellezza e di gioia, di arte ed estetica, di armonia e perfezione. Simboleggia l’universo.
Nella “Religione della Foresta”, il poeta ci dice che il nostro schema mentale “guida i nostri tentativi di stabilire delle relazioni con l’universo attraverso la sua conquista o l’unione con esso, tramite l’affermazione del potere o dell’empatia.
La foresta ci insegna l’unione e la compassione.
La foresta ci insegna anche la logica della “sufficienza”: in quanto principio di equità, ci indica come gioire dei doni della natura senza sfruttamento né accumulo. Tagore riporta delle citazioni dai testi antichi scritti nella foresta: “Sappiate che tutto ciò che si muove in questo mondo in movimento è avvolto da Dio; cercate la felicità attraverso la rinuncia e non attraverso l’avidità del possesso. Nessuna specie nella foresta si appropria del territorio di un’altra specie. Ciascun essere di una specie trae il proprio sostentamento collaborando con gli altri.
”
La fine del consumismo e del desiderio di accumulare darà inizio alla gioia di vivere.
Il conflitto tra l’avidità e la compassione, tra la conquista e la collaborazione, tra la violenza e l’armonia, di cui scrisse Tagore, continua ancora oggi. Ed è la foresta che può indicarci la strada per superarlo.
Vandana Shiva ha scritto questo articolo per “Cosa farebbe la Natura”, pubblicazione della rivista YES! dell’Inverno 2012. Shiva è un’attivista rinomata per la biodiversità e contro la globalizzazione industriale a livello internazionale. Ha scritto anche Stolen Harvest: The Hijacking of the Global Food Supply; Earth Democracy: Justice, Sustainability, e Peace; Soil Not Oil; and Staying Alive. L’ultima parte di questo saggio è un adattamento da parte dell’autrice di “Forest and Freedom” scritto da Shiva e pubblicato nella rivista Resurgence del maggio/giugno 2011.
Fonte: www.yesmagazine.org
Link: http://www.yesmagazine.org/issues/what-would-nature-do/vandana-shiva-everything-i-need-to-know-i-learned-in-the-forest
5.01.2012
Traduzione per Comedonchisciotte.org a cura di NICOLETTA SECCACINI
Ciao Rosa, bellissimo post, come dicevano anche i nativi americani, noi dovremmo essere semplicemente amministratori della terra, la nostra più grande responsabilità sarebbe mantenere inalterato l'equilibrio della natura e invece vediamo tutt'altro... Lunga vita alla foresta!
RispondiEliminaNamastè
Ciao amico mio... concordo, un gran bel post ed una grandissima donna. Solo comprendendo di essere "parte" possiamo sperare di salvarci non so più quante volte l'ho ripetuto. Non che sia importante quel che dico io, per carità, ma poi trovo conferma nel pensiero "alto" di Vandana e nelle parole di Tagore ed allora comincio a pensare di non essere poi del tutto stolta. Solo comprendendo che "siamo avvolti da Dio" possiamo recuperare noi stessi ed il nostro diritto ad essere uno con tutto il creato.
EliminaNamastè
Complimenti, post interessantissimo!
RispondiEliminaNon conoscevo la storia di questa donna; ora che l'ho letta mi rendo conto che si tratta di un esempio per tutti noi, un monito a scuoterci dalla nostra indifferenza.
Vandana Shiva è donna in gamba, una sorta di impersonificazione di Madre Terra, ma sono molte le donne interessanti che ci vengono dall'India...un paese dove le cose dello spirito sono molto spesso connesse alle cose che riguardano anche la sfera della promozione umana, L'esperienza di Vandana, dici bene, è un esempio ed un monito, concordo pienamente. La salvezza della biodiversità è la salvezza del pianeta...
EliminaSono la medesima parola ed il medesimo pensiero.
Namastè