giovedì 27 maggio 2010

L’Istat esamina l’Italia: crescita zero e disoccupazione altissima

di Alessio Noè

ROMA – Il rapporto Istat di quest’anno si concentra principalmente sulla crisi economica e sulle sue conseguenze, il tema più caldo dell’economia mondiale. L’Italia, specchiandosi in questo rapporto, deve fare i conti con una realtà disarmante: siamo un paese estremamente vecchio, con poco ricambio generazionale, con una crescita definita “asfittica e stentata” e con un tasso di disoccupazione elevatissimo.

La crisi che investito il “villaggio globale” è durata relativamente poco, ma i segni sono destinati a perdurare per molto tempo, con strascichi poco incoraggianti per economie poco dinamiche come quella nostrana. L’Istat rileva che tra le economie emergenti, Cina e India sono state toccate solo marginalmente dalla crisi, mentre in Russia il Pil è caduto del 9%, per il calo delle entrate dai prodotti energetici. Recessione abbastanza contenuta invece negli Usa (-2,4% nel 2009 e +2,8% previsto dalla Commissione Ue per il 2010); assai più profonda nell'Uem (-4,1 e +0,9%). Tra le maggiori economie europee, l'Italia ha registrato, tra 2008 e 2009, la flessione del Pil più accentuata, pari al 6,3% (3,8% Germania, 3,5 media Uem; 1,7% Francia). Sommando questo risultato all'espansione modesta degli anni precedenti, per l'intero periodo 2001-2009 l'Italia è, in assoluto, il paese Ue la cui economia è cresciuta meno: appena l'1,4% (10% Uem; 12,1% Ue). Dato su cui riflettere e, in momenti delicati come quello dell’approvazione di una “dolorosa” finanziaria, da cui cercare di ripartire senza ignorare quello che i dati effettivi affermano impietosamente.

In Italia, secondo l’analisi Istat, nel 2009 circa due milioni di giovani (il 21,2 per cento dei 15-29enni) risultavano inoltre fuori dal circuito formazione-lavoro, cioè non lavoravano e non frequentavano alcun corso di studi (Not in education, employment or training, Neet). Nel confronto internazionale l'Italia presenta un numero di Neet molto elevato che è riconducibile più all'area dell'inattività (65,8 per cento) che a quella della disoccupazione. Della fascia di età che comprende uomini tra i 30 e i 34 anni quasi il 30 per cento vive ancora in famiglia, triplicata quindi dal 1983.

La prolungata convivenza dei figli con i genitori oggi dipende soprattutto da problemi economici (40,2 per cento) e dalla necessità di proseguire gli studi (34,0 per cento), mentre la permanenza in famiglia è indicata come una scelta solo in terza battuta (31,4). Ad influire c’è senza dubbio la difficoltà di trovare un'abitazione adeguata (26,5 per cento) e quella di trovare un lavoro stabile che permetta l’indipendenza (21,0 per cento). Dal Rapporto Istat si evince inoltre che l'Italia è il secondo paese più anziano d'Europa, dopo la Germania, con un forte squilibrio generazionale. Questo significa che il rapporto di dipendenza tra le persone in età inattiva, ovvero da 0 a 14 anni e 65 anni e più, e la popolazione che teoricamente si fa carico di sostenerle economicamente (15-64 anni) è passato dal 48 al 52 per cento in dieci anni, a causa del peso crescente delle persone anziane (da 27 ogni 100 in età attiva nel 2000 a 31 nel 2009). E’ ipotizzabile una previsione, sempre stando alle stime Istat, ovvero che il numero medio di figli per donna possa crescere fino a 1,58 nel 2050; che la speranza di vita possa aumentare fino a raggiungere gli 84,5 anni per gli uomini e gli 89,5 per le donne; che il numero dei giovani fino a 14 anni possa ridursi a 7,9 milioni (il 12,9 per cento della popolazione); che la popolazione attiva possa contrarsi a 33,4 milioni (54,2 per cento) e quella degli over 64 salire a 20,3 milioni (da uno su cinque a uno su tre residenti nel 2050). Con questo andazzo sarà accentuato lo squilibrio generazionale: l'indice di dipendenza degli anziani (ultra 64enni sulla popolazione in età attiva) potrebbe raddoppiare (61 per cento) e l'indice di vecchiaia salire a 256 anziani ogni cento giovani.

Piuttosto laconica l’analisi dell’Ocse riguardo la disoccupazione globale. Dallo studio dei dati emersi si deduce che "in altri Paesi, inclusi Francia, Germania e Italia la gran parte della crescita della disoccupazione deve ancora arrivare". Parlando più strettamente dell’Italia i numeri parlano da soli: nel 2007 si parlava di un tasso di disoccupazione al 5,6%, il più basso da 25 anni a questa parte, mentre oggi siamo giunti all’8,3%, con un aumento di disoccupati di circa 15 milioni di individui. E ad un paese così in difficoltà, al quale era stato promesso che non sarebbero state messe “le mani in tasca”, viene presentata una finanziaria che sostanzialmente ridurrà ulteriormente la crescita economica, prima che globale del paese, soprattutto individuale.

fonte:www.dazebao.org


Nessun commento:

Posta un commento

La moderazione dei commenti è stata attivata. Tutti i commenti devono essere approvati dall'autore del blog.
Non verranno presi in considerazione gli interventi non attinenti agli argomenti trattati nel post o di auto-promozione.

Grazie.