martedì 19 ottobre 2010

La crisi che non si ferma


Luca Bonaccorsi

Mentre il paese è distratto dalle rivelazioni sull’orrore familiare del caso di Avetrana (c’è addirittura il rischio che qualche intellettuale di Sinistra che era corso a scrivere degli “Uomini che uccidono le donne” debba ricredersi), quella che si dispiega è la promessa di un 2011 affatto facile. Negli Usa, dove a gestire l’economia ci sono gli economisti e non i commercialisti, e alla Banca centrale c’è un signore che contribuisce attivamente alla ripresa (piuttosto che alla retorica) si è tornati a parlare del problema non di ieri, ma di oggi e di domani: la recessione.
 
Inutile cercarla nelle parole di Tremonti. Così come è inutile aspettarsi un intervento concreto dal Governatore Draghi, che è l’unico a non essersi accorto della drammatica riduzione del credito in Italia, destinata a peggiorare con le nuove regole bancarie.

 
Il problema è che la ripresa in occidente non è fragile e incerta: semplicemente non c’è. A livello globale questo vuol dire che la guerra delle svalutazioni continuerà, soprattutto perchè i due colossi più spietati del mercato globale (Usa e Cina) non hanno nessuna intenzione di “collaborare” con chicchessia. Le autorità cinesi, in particolare, recentemente in Italia e in Europa per comprare con pochi spiccioli il consenso delle inette cancellerie del vecchio continente, continueranno a tenere lo yuan artificialmente basso, causando chiusure e crisi industriali in ogni angolo del pianeta.
 
Con cinesi e americani uniti a dar spallate all’Euro e all’economia europea, sarà difficile che i fiori della ripresa sboccino in maniera duratura. In Italia Tremonti dovrà presto prendere atto che i conti  non tornano, e dovrà proporre nuovi tagli. Ma siccome il Paese non li può sostenere, economicamente e socialmente, la crisi esploderà, con la triste cadenza degli ammortizzatori sociali in deroga che si esauriscono.
 
La destra, dilaniata da contraddizioni di ogni genere, mentre è indaffarata a risolvere i guai immobiliar-giudiziari dei propri leaders sarà travolta da una crisi sociale devastante. Quando a Palazzo Chigi si accorgeranno del portato di rabbia che la crescente povertà e la disoccupazione scatenano, sarà troppo tardi. Quando insegnanti, studenti, operai (e presto anche i giornalisti ancora)  grideranno il loro disagio in strada. Allora, a questi governanti inetti e impresentabili rimarrà solo la nostalgia dei tempi delle uova.   

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