venerdì 26 novembre 2010

Honduras, è caccia ai gay

Il racconto di un uomo in fuga dopo minacce e attentati. La sua colpa? Essere omosessuale e lottare per far rispettare i suoi diritti.
 di Stella Spinelli

Ricardo Figueroa ha 42 anni e viene dall'Honduras. Il 13 aprile del 2010, giorno del suo compleanno, è dovuto fuggire, lasciando tutto e tutti, per rifugiarsi in Spagna. Nel suo bel paese, dal 28 giugno 2009 un golpe ha cambiato tutte le carte in tavola e il terrore regna sovrano. Chiunque dissenta, in qualsiasi modo, è un nemico dello Stato e va eliminato. E lui, con la sua omosessualità e il suo coraggio di schierarsi per veder riconosciuti diritto e rispetto, è fra i primi della lista nera. Da un mese ha ottenuto asilo politico in Spagna ed è da qui che racconta la sua storia a Periodismo Humano, un media alternativo improntato sulla difesa dei diritti umani e senza scopo di lucro.
I peggiori quattro mesi della sua vita, per Figueroa iniziano il 3 gennaio 2010.
"Ero a Tegucigalpa e me ne stavo andando a lavoro tranquillo - racconta -. Nulla fino a quel momento mi aveva fatto nemmeno sospettare che il mio nome fosse in una lista nera", e questo nonostante da tempo fosse un attivista per i diritti degli omosessuali. "Cominciai con la sensibilizzazione sull'Aids e poi passammo a reclamare visibilità sociale e a difendere la partecipazione dei gay alla vita pubblica", spiega. Quindi arrivò il colpo di stato militare che portò dopo quattro mesi a elezioni regolate dal medesimo esercito e dalle medesime forze golpiste e "l'Honduras si è convertito in un paese diretto da omofobi". Così, fu naturale per il Lgtb, il gruppo di omosessuali a cui apparteneva Figueroa, mettersi dalla parte dell'opposizione e lottare.
Quel 3 gennaio stava andando in ufficio quando si fermò in un mercato nell'attesa che aprissero le porte. "Mi si avvicinò un uomo con abiti civili, ma movenze militari - spiega -. Iniziò a farmi mille domande. Dalle partite di calcio ad alcuni aneddoti sulla piazza dov'eravamo. Poi mi menzionò il golpe: voleva sapere cosa ne pensassi". A quel punto Ricardo cercò di non rispondere e cambia discorso. "Ma tornava sempre sul medesimo argomento e sulla resistenza. Capii che si trattava di un interrogatorio". E quando tenta di allontanarsi viene afferrato per un braccio e minacciato: "Sappiamo dove vivi, conosciamo il tuo quartiere, sappiamo tutto di te, Ricardo". L'arrivo di alcune ragazze lo distraggono e Figueroa colglie l'occasione al balzo: "Lo abbracciai e lo baciai. Mi spintonò e se ne andò via correndo". Poche ore più tardi, la Ong in difesa dei diritti umani Cofadeh inserisce il suo nome nell'elenco dei minacciati di morti.
Sono tante le organizzazioni internazionali che hanno denunciato l'ondata di omicidi contro omosessuali e transessuali nell'Honduras del golpe. "La differenza fra il nostro caso e quello di altri collettivi d'opposizione è che nei nostri confronti c'è l'aggravante dell'odio per la nostra omosessualità. Sono crimini molto più sadici. Di noi si predano. Un mio collega dell'associazione, Walter Trochas, lo hanno sequestrato tre volte, lo hanno torturato e gli hanno tagliato la lingua. Ad altri hanno tagliato i genitali".
Da quell'incidente al mercato Figueroa entrò in paranoia. Ma il secondo episodio accadde quando meno se l'aspettava. Fingendosi poliziotti, due uomini scesi da un'auto dai vetri oscurati gli chiesero i documenti e con una scusa volevano portarselo via. Rinunciarono perché Ricardo dimostrò di essersene accorto e disse di voler chiamare Cofadeh. Davanti al nome di quell'organizzazione, sparirono nel nulla. Poi arrivò il terzo tentativo, sempre per mano di uomini a bordo della medesima autovettura, che franò per l'aiuto di alcuni amici che riuscirono a metterli in fuga. E finalmente giunse l'ultimo tentativo, quello che lo convinse a darsela a gambe. Convinto a nascondersi per un po', i sicari lo raggiunsero anche nel suo ritiro in uno sperduto paesino di montagna. Gli spararono addosso, mancandolo. Il giorno dopo era imbarcato per la Spagna. "Quel giorno mi hanno portato via tutto, i miei cari, i miei affetti, la mia vita. Ho lasciato anche il mio compagno, con cui convivevo da cinque anni. Scappare è una mezza sconfitta. Mi hanno lasciato senza niente. Una parte di me è morta. Ci sono riusciti".

4 commenti:

  1. Per alcuni, e sono tanti (più della metà) la vita è un incubo.
    La tristezza mi attanaglia, in alternativa potrei diventare un terrorista, ma la storia mi dice che è una strada senza sbocco.
    Mi sento impotente e questo a volte mi fa disperare.

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  2. Caro Paolo, comprendo e condivido la tua frustrazione, mi sento esattamente come te.
    Molto spesso mi è necessario un grande sforzo per ritrovare la centratura ed il giusto equilibrio.

    Un grande abbraccio solidale.
    Namastè

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