mercoledì 24 novembre 2010

L’Ilva dà i suoi numeri

fonte: Terra
Diego Carmignani
 
TARANTO- Ieri, alla presenza della Marcegaglia, il Rapporto ambiente e sicurezza curato dall’azienda. PeaceLink: «I malati di cancro non sanno che farsene». L’eloquente striscione di Greenpeace: «Ci siamo rotti i polmoni!».
 
Una delle tante sfide italiche di Davide contro Golia è quella che attanaglia la città di Taranto. Da una parte il gigante siderurgico e velenoso dell’Ilva, dall’altro cittadini avvelenati e operai precari. Ieri, un nuovo momento di questa saga malata. La venuta della Marcegaglia in città ha avuto tra i suoi appuntamenti clou la tappa allo stabilimento Ilva, dove il patron del gruppo, Emilio Riva, ha presentato il Rapporto ambiente e sicurezza 2010 che descrive un’azienda alle prese con una crisi mondiale dell’acciaio che ha significato perdite per 550 milioni nel bilancio 2009. Note positive: la riduzione - piuttosto consequenziale al precedente dato - dei tassi di inquinamento prodotti dai suoi impianti, con emissioni diminuite del 90 per cento e la maggiore sicurezza sul lavoro, con un numero degli infortuni dimezzato rispetto al precedente triennio.


«C’è un’industria importante, l’Ilva è il sito più grande d’Italia», ha dichiarato il leader di Confindustria, sottolineando come non bisogna assolutamente «sottrarsi alla sfida ambientale». Discorsi che sarebbero risultati stonanti al più estraneo a tali tematiche, osservando quello che accadeva fuori dallo stabilimento: esponenti di Legambiente con maschera antigas, tuta gialla e lo striscione eloquente: «Ci siamo rotti i polmoni!» La richiesta degli ambientalisti è che l’Ilva si attivi immediatamente per «abbattere le proprie emissioni di benzo(a)pirene - pericolosissimo inquinante “graziato” dal Decreto Legislativo del 13 agosto scorso che posticipa al 31 dicembre 2012, dal 1999, il raggiungimento dell’obiettivo di 1 nanogrammo per metro cubo - alla luce della media in atmosfera superiore ai 3 nanogrammi rilevata nei primi 5 mesi del 2010».

Il decreto in questione ha esautorato le Regioni dei loro poteri in materia e ha stabilito che le spese per l’adeguamento degli impianti industriali per rispettare l’ambiente non debbano essere eccessivamente gravose. Oltre alla cosiddetta operazione “salva Ilva”, l’associazione PeaceLink, per bocca del suo presidente Alessandro Marescotti, ha voluto ieri ribadire l’atteggiamento dell’industria. In particolare, il fatto che l’azienda non collabori con l’Arpa per il monitoraggio diagnostico degli idrocarburi policiclici aromatici, negandosi ai controlli interni con tecnologie ad alta risoluzione che potrebbero verificare in tempo reale le emissioni di questi pericolosi cancerogeni. Senza dimenticare, poi, l’avvio dell’incidente probatorio nell’ambito del procedimento penale della Procura di Taranto nei confronti di dirigenti e uomini Ilva, indagati in relazione alle ipotesi di reato di disastro doloso e omissione dolosa di cautele. A questi, si aggiunge l’ipotesi dei reati di “danneggiamento aggravato di beni pubblici”, “getto e sversamento di sostanze pericolose” e “inquinamento atmosferico”.

Evidenziando come il Rapporto ambiente e sicurezza 2010 costi quanto il campionatore continuo della diossina che l’azienda non vuole installare (venendo così meno a un obbligo di legge), Marescotti chiede «un sistema di controllo 24 ore su 24 di tutte le emissioni cancerogene al posto di una costosa campagna pubblicitaria di cui i cittadini di Taranto e provincia che sono in chemioterapia non sanno che farsene». Non esente da responsabilità su questo fronte è, secondo Angelo Bonelli, la regione Puglia. «Abbiamo chiesto a più riprese a Nichi Vendola di aprire un’indagine epidemiologica – fa sapere il presidente della Federazione dei Verdi -. è l’unico strumento con cui i cittadini possono farsi valere in sede giudiziaria.

Dal governatore non abbiamo ricevuto nessuna risposta e nessuna indagine è stata mai fatta. Fa effetto vedere la Marcegaglia parlare con Vendola di sicurezza sul lavoro ed ecologia, quando la stessa Confindustria ha chiesto una riduzione dei criteri di sicurezza. Le vere primarie da fare, quelle più urgenti, sono sull’abbattimento delle sostanze inquinanti a Taranto». Ultima nota dall’inferno Taranto è la drammatica situazione dei 750 lavoratori messi fuori dall’azienda: oggi è il settimo giorno di sciopero della fame e di presidio sul ponte della Statale Appia. E per alcuni sono i iniziati i primi malori.

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