mercoledì 24 novembre 2010

Un popolo di invisibili, poco più che schiavi


E’ stato il caso di  Lahanda Purage Ariyawathie, 49 anni rientrata in Sri Lanka a fine agosto, dopo mesi passati come cameriera alle dipendendenze di una ricca famiglia di Rihyad, a riaccendere l’attenzione sulle condizioni delle centinaia di migliaia di collaboratori domestici che affollano le case dei ricchi in Medio Oriente. I medici hanno dovuto rimuovere dal suo corpo almeno 24, tra chiodi e aghi, che il suo datore di lavoro, un saudita, dal quale lavorava dallo scorso marzo, gli aveva conficcato nel corpo, come punizione alle continue lamentele della colf, che chiedeva di essere alleggerita dalle innumerevoli mansioni domestiche.  I raggi X hanno evidenziato chiodi dai 2 ai 5 centimetri nelle mani e nelle gambe della donna.

Un caso di efferata brutalità e di barbarie domestica,  “ma non un caso isolato”, ha dichiarato Christoph Wilckie, ricercatore senior per l’area Medio Orente del gruppo Human Rights Watch, che da anni monitora le violazioni ai danni di colf, camerieri e badanti, provenienti soprattutto da paesi asiatici e africani, nelle ricche famiglie arabe in Medio Oriente e nei paesi del Golfo.
Sarebbero 1,5 milioni in Arabia Saudita, 660.000 in Kuwait e 200.000 in Libano. Provengono principalmente da Sri Lanka, Filippine, Nepal, ma anche India e Etiopia. Lavorano con orari impossibili, ricevendo poco cibo nelle famiglie che li ospitano, zero ferie, né giorni di riposo. E con salari mensili da fame. Secondo i dati forniti da HRW, tra gennaio 2007 e agosto 2008, solo in Libano, almeno un domestico alla settimana sarebbe morto: nella metà dei casi si tratta di suicidi, e molte delle vittime sarebbero cadute da edifici e balconi, mentre tentavano di fuggire dai loro datori di lavoro.
Il lungo percorso dello sfruttamento inizia già nei paesi di origine, da parte delle agenzie di collocamento; molti domestici arrivano nei paesi del Medio Oriente attraverso un “sistema di sponsorizzazione” (accordi tra i datori di lavoro nei paesi di destinazione e le agenzie di collocamento) così che il loro essere migranti risulta inesorabilmente legato al loro datore di lavoro: non possono cioè tornare nei loro paesi contro la volontà dei loro “padroni”, che in alcuni casi “sequestrano” loro il passaporto, né cambiare lavoro e almeno per l’Arabia Saudita e il Kuwait non possono nemmeno lasciare il paese.
L’Arabia Saudita presenta sicuramente il caso più allarmante. Nel rapporto del 2008, dal titolo “Come se non fossi umano”, HRW ha analizzato oltre 20 casi di collaboratori domestici che avevano subito situazioni di sfruttamento, abusi verbali, fisici, fino ad arrivare a violenze sessuali.
Lo stesso avviene in Kuwait, dove sempre secondo HRW, i lavoratori migranti rimangono intrappolati in sistemi di vero e proprio sfruttamento che non consentono loro di lasciare l’impiego, senza il permesso del datore di lavoro e anzi possono essere soggetti a procedimenti penali e a un’immediata deportazone dal paese, se tentano di sfuggire alla ricca famglia che li tiene in “ostaggio”. Il Kuwait ha la più alta percentuale di collaboratori domestici di tutto il Medio Oriente: un terzo della forza lavoro  di tutto il paese, che ha solo 1,5 milioni di abitanti, è rappresentato da filippini, indonesiani, cingalesi. Solo nel 2009, colf, cameriere e badanti di Sri Lanka, Indonesia, Filippine e Etiopia, hanno presentato alle loro ambasciate in Kuwait oltre 10.000 lettere di proteste per le condizioni lavorative subite.
La maggior parte dei paesi del Medio Oriente  non include i collaboratori domestici nella normativa che regola altre categorie di lavoratori, costringendo così gli immigrati a non godere di alcuna tutela giuridica. Per esempio l’Arabia Saudita nel 2005 ha presentato una bozza di disegno di legge sul lavoro domestico, che includesse diritti e doveri dei dipendenti, con una regolamentazione maggiore delle ferie e degli orari di lavoro; ma la bozza non è mai stata approvata dal Consiglio dei Ministri. Sui paesi del Medio Oriente che ospitano grandi percentuali di immigrati asiatici (Libano, Giordania, Arabia Saudita, Kuwait, Emirati Arabi, Barhein), solo la Giordania ha incluso i lavoratori domestici, nel 2008, nella legislazione riguardante il diritto al lavoro, i rapporti lavorativi, e la stipula dei contratti.

link: http://www.gliitaliani.it/2010/11/un-popolo-di-invisibili-poco-piu-che-schiavi/

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