domenica 7 novembre 2010

Argentina: dal fallimento all'autogestione


Elvira Corona inviata di Unimondo

Il fenomeno argentino delle imprese recuperate dai propri lavoratori per molti sembra essere solo un ricordo del 2001. Allora erano in tanti a sostenere che l'esperimento sarebbe durato poco. E si sbagliavano. A ormai quasi 10 anni dalla grande crisi del paese sudamericano che spinse molti lavoratori a prendere in mano la gestione delle fabbriche che i loro padroni avevano abbandonato sommersi da debiti, l'autogestione in Argentina si rivela un fenomeno stabile, anzi in aumento. In realtà, queste esperienze - alcune delle quali iniziate già prima della crisi - non solo sono sopravvissute ma si sono estese ed evolute a forme di autogestione partecipata, e sempre più spesso varcano i confini del lavoro in fabbrica.
A confermarlo è uno studio (in.pdf) condotto dal programma Facoltà Aperta di Lettere e Filosofia e Scienze Sociali dell'Università di Buenos Aires (UBA). L'obiettivo di questo lavoro è stato quello di fornire una panoramica sulla situazione delle imprese recuperate (Empresas Recuperadas por sus Trabajadores - ERT), cercando di chiarire la portata del fenomeno, delinearne il numero, le dimensioni e le caratteristiche.

Nel documento prima di tutto si spiega esattamente cosa si intende con ERT: un'impresa recuperata è una impresa gestita collettivamente dai lavoratori che ne fanno parte e che originariamente apparteneva a un proprietario che la gestiva privatamente. Partendo da questo presupposto l'indagine ha contato 205 ERT che impiegano 9.362 lavoratori. Dati che è possibile confrontare con quelli raccolti dalla stessa UBA del 2002 e del 2004. In quest'ultimo anno le imprese totali erano 161, mentre 6.900 erano i lavoratori impiegati.
Un aumento significativo quindi, ma tra i dati più interessanti oltre a quelli quantitativi si registra anche un ampliamento geografico del fenomeno. Mentre nella prima indagine del 2002 l'80% delle aziende si concentrava nell'area metropolitana di Buenos Aires, oggi questa percentuale è scesa al 50%. La distribuzione delle ERT all'interno del paese appare irregolare e non direttamente legata al grado di sviluppo industriale per esempio la provincia di Santa Fe ha numeri 4 volte superiori rispetto a quella di Cordoba, pur avendo un livello di sviluppo industriale molto simile.
Per quanto riguarda la situazione economica lo studio indica che delle 161 aziende intervistate nel 2004, 22 sono scomparse o sono passate a una qualche altra forma di gestione, o non è stato possibile contattarle. Il tasso di sopravvivenza è dunque molto elevato: quasi il 90% o più, se si includono quelle che hanno trovato altre forme di sopravvivenza rispetto all'autogestione. Secondo Andrés Ruggeri, direttore del programma dell'UBA, le aziende recuperate non solo non sono scomparse ma sono diventate una opzione che i lavoratori riconoscono come valida nonostante le difficoltà, piuttosto che rassegnarsi alla chiusura dell'azienda.
Se poi si considera che il 10% del totale ha iniziato tra il 2005 e il 2007 e un altro 10 % dopo il 2007 si capisce che non si tratta di un fenomeno estemporaneo dovuto a un momento di crisi. Nonostante l'eterogeneità rispetto alla tipologia e l'aumento di quelle che si dedicano ai servizi è stato mantenuto il primato delle metallurgiche, è importante sottolineare anche che il 33% delle recuperate lavora in esclusiva per i clienti che forniscono materie prime e pagano solo per il lavoro. “Questo approccio - si legge nel rapporto - è positivo in un primo momento o per garantire una produttività, ma rappresenta livelli molto bassi di redditività per l'azienda autogestita”.
Una caratteristica molto comune delle ERT è il modo in cui vengono prese le decisioni, caratteristica che le distingue rispetto alle imprese tradizionali: l'88% assicura che tiene assemblee regolarmente, 44% hanno un'assemblea a settimana e un altro 35% almeno una volta al mese. Questa orizzontalità si riflette anche nel pagamento degli stipendi: tra quelle in cui lavorano tutti con lo stesso orario, il 73% ha lo stesso stipendio. Nei casi in cui gli stipendi sono differenti viene giustificato da un 33% per le differenze nel tipo di lavoro e da un 30% per il numero di ore di lavoro.
Ma quello che forse più di altri fattori rende l'esperienza delle ERT un'esperienza unica è il rapporto e le relazioni che queste hanno intessuto con il resto della comunità. Oltre ad aver usufruito di un rapporto di fiducia da parte dei fornitori nei momenti più difficili del recupero, hanno potuto contare con la solidarietà di moltissime fasce della società. Ora che i momenti più critici sono passati il l 35% delle aziende autogestite ospita eventi culturali e un'altra percentuale simile attività educative. Un 30% fa delle donazioni e un 24% collabora con le organizzazioni di quartiere.
Una questione ancora aperta rimane l'aspetto legale, rispetto al totale delle ERT, il 63% ha avuto una legge di esproprio a suo favore e un altro 8% è ancora in attesa di averla. Queste leggi sono state emanate case per caso, e finora sono servite come riferimento giuridico, ma nella maggior parte dei casi i lavoratori hanno dovuto lottare perché i giudici non disponessero che i beni dell'impresa venissero usati per pagare i creditori del fallimento precedente. Una battaglia legale ancora in atto, e una soluzione proposta è che venga adottato un emendamento alla legge sui fallimenti che preveda la possibilità di acquisto delle imprese da parte dei lavoratori con propri crediti da lavoro.
Questo studio dà conto della complessità del fenomeno, delle sue tante difficoltà, ma anche del suo impatto sulla vita dei lavoratori e della comunità. E' necessario, chiarisce Ruggeri, mettere le cose in prospettiva e valutare il potenziale di questa nuova esperienza: “E' la prima volta nella storia dei lavoratori che un numero così alto di aziende - sotto un sistema capitalista - sta sviluppando forme eterogenee di auto-gestione e che riescono a funzionare per un periodo così lungo”.
Un fenomeno che si sta estendendo anche ad altri paesi dell'America Latina come Urugauy, Paraguay, Venezuela, ma che merita una riflessione attenta anche in Italia, soprattutto in tempi in cui anche il nostro paese è alle prese con la chiusura di moltissime aziende, e con le sempre meno velate minacce di alcuni amministratori delegati.

Elvira Corona inviata di Unimondo

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