I dati sono quelli del catalogo di questi eventi in Italia,  realizzato dall'Istituto di ricerca per la protezione idrogeologica del  consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Irpi). All'appello non manca  alcuna regione, da Nord a Sud, visto che nel periodo considerato, tutte  le regioni italiane hanno subito vittime per frana o per inondazione. Le  risorse per la prevenzione dei disastri idrogeologici sono allocate  male e insufficienti. Le alluvioni che stanno flagellando oggi il Veneto  sono solo la punta di un iceberg. Eppure, fatti quattro conti, le  risorse vi sarebbero. Eccome. Diamo i numeri, 1 – 15 – 4,1:
Vicenza è un territorio verde – ci ricorda Ilvo Diamanti–  urbanizzato senza limiti e senza regole. Ma Vicenza è una provincia  minore; e anche la sua alluvione è una tragedia minore. Nonostante le  9000 persone alluvionate, 4000 famiglie colpite dal maltempo, e 2000 tra  case e capannoni danneggiati. Ma qualcosa s’è salvato: la base militare  Dal Molin. Solo lungo la base, infatti, secondo l’ing. Guglielmo Vernau  «sono stati innalzati gli argini e ciò ha impedito che l’acqua trovasse  sfogo nell’area del Dal Molin; essa, quindi, ha proseguito la sua corsa  devastante verso sud aggravando la situazione delle aree urbane di  Viale Diaz, Viale Trento e Villaggio Produttività.
In poche parole, la  nuova base ha impedito che l’area del Dal Molin costituisse una sorta di  camera di compensazione che ritardasse e attenuasse le conseguenze  dell’alluvione nella parte abitata della città». E così, Vicenza s’è  trovata con l’acqua alla gola, mentre gli statunitensi se ne sono  restati all’asciutto, grazie all’innalzamento dell’argine costato più di  un milione di euro e pagato dai contribuenti italiani. Tanto che,  mentre le ruspe sgomberavano le strade dal fango a Caldogno e Vicenza,  dentro al perimetro del cantiere statunitense si era già ricominciato a  lavorare, per cementificare e impermealizzare ulteriormente il  territorio.
Una prima coincidenza. Quanto costa rimettere in sesto  Vicenza come chiedono al governo gli industriali vicentini attraverso  il loro vicepresidente Luciano Vescovi? Un miliardo di euro. Tanto quanto la base militare Dal Molin.
Aquila. Quanto costa rifare la città delle carriole? La sola ricostruzione che riguarda i soli danni dell’Aquila città, escluse frazioni e Comuni del cratere si aggira sui  10 miliardi e 530 milioni di euro. La parte più rilevante, pari a 3,5  miliardi, è destinata a essere assorbita dalla riparazione degli edifici  classificati E (distrutti oppure con gravi danni alle strutture) che si  trovano fuori dal centro storico della città. A seguire, per una somma  pari a 2,2 miliardi, per le abitazioni del centro storico. Terzo posto  (1,9 miliardi) per il ripristino dei palazzi nella zona rossa. Alla  ricostruzione delle chiese e degli edifici di culto saranno destinati,  invece, 1,3 miliardi. Per le opere di urbanizzazione, invece, la  previsione parla di 800 milioni di euro.
Di soldi in cassa, veri,  toccabili, da destinare alla ricostruzione dell’Aquila, al momento  attuale, ce ne sono appena tre. Ma l’architetto Gaetano Fontana ipotizza  una cifra per la ricostruzione ben più ampia di quella recepita dal  governo: quasi 20 miliardi di euro. Insomma, il compromesso si bilancia  sui 15 miliardi.
Un seconda coincidenza. Quanto ci guadagna  l’Italia, al pari di molte nazioni europee a rinunciare all’ambizioso  quanto inutile acquisto di 131 bombardieri F35? Giusti 15 miliardi.  Tanto quanto la ristrutturazione de l’Aquila.
Italia.Frane e inondazioni. Secondo un recente rapporto del Consiglio Nazionale dei Geologi realizzato in collaborazione con il Cresme, le aree ad elevata criticità idrogeologica rappresentano il 10% della superficie italiana  e riguardano l’89% dei Comuni, per un totale di 6 milioni di italiani  ad “elevato rischio idrogeologico”. E sono ben 1.260.000 gli edifici “a  rischio di frane e alluvioni”: di questi, oltre 6 mila sono scuole e 531  sono gli ospedali (fonte: elaborazione su dati Istat 2010 e Ministero  dell'Ambiente 2008). Quanto costa prevenire? Basterebbero 4,1 miliardi  di euro per mettere in sicurezza l’Italia, riducendo il dissesto  idrogeologico: frane, alluvioni, smottamenti. Altro che i 6,3 milioni  previsti per il ponte di Messina. I calcoli sono nel piano presentato  venerdì dall’Anbi (Associazione nazionale bonifiche, Irrigazioni e miglioramenti fondiari).  Dal 1994 al 2004 si sono spesi 20,946 miliardi di euro – più di cinque  volte tanto – per cercare di rimediare alle catastrofi idrogeologiche.
Autorità  di distretto, finanziamenti per la difesa del suolo,  interdisciplinarietà degli interventi, rinaturazione dei territorio, con  il riferimento al bacino idrografico e non ai confini amministrativi,  sarebbero queste le cinque azioni urgenti su cui, secondo il WWF  , bisognerebbe allocare le risorse per la difesa dalle alluvioni. «Il  problema principale – per l’organizzazione del Panda – è la mala  gestione dei fiumi e dei versanti. Le intense piogge di questi giorni  non bastano a giustificare il continuo stato di calamità naturale in cui  si trova il nostro territorio».
Una terza coincidenza.  Nell’ultima Relazione della Presidenza del Consiglio secondo la legge  185 (le banche che appoggiano il business d’armi) sono state autorizzate  1.628 transazioni bancarie, il cui valore complessivo è stato di circa  4.095 milioni di euro. Le banche sembran generose quando si parla di  armamenti. Meno, anche se per molte dovrebbe esser la loro mission, quando si parla di salvaguardia dei territori.
Se  includiamo anche gli interessi dal 31 marzo (giornata in cui viene  presentata la relazione del premier al parlamento) ad oggi arriviamo  giusti giusti ai 4,1 miliardi di euro sollecitati dal Consiglio  Nazionale dei Geologi. Ogni ondata di maltempo, ormai, si  trasforma dunque in tragedia, umana ed economica ed il Ministro  all’ambiente Prestigiacomo sembra essersi stancata della politica del “fare finta” viste le tensioni con Tremonti per i tagli al dicastero dell'Ambiente e in particolare per il mancato trasferimento delle risorse già approvate dal Cipe per la difesa del suolo. Tensioni che La Russa, in quanto ministro della Difesa, sembra non avere. Lui dorme tranquillo.
Fabio Pipinato

 
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