giovedì 4 agosto 2011

Nardò. Lo sciopero degli immigrati continua: " Non abbiamo paura"


di Bruna Iacopino

“Lo sciopero continua, non abbiamo paura, non lasciateci soli” esordisce così lo stringato comunicato pubblicato sul blog dei braccianti agricoli ( lavoratori in nero, tutti immigrati) che da 5 giorni hanno deciso di incrociare le braccia a Nardò, nel Salento. Una protesta pacifica composta, ma risoluta. Erano partiti in quaranta... mentre raccoglievano pomodori per 4 euro a cassone si presenta il caporale che pretende svolgano altre mansioni per la stessa identica paga, loro rifiutano e chiedono un aumento salariale, che ovviamente non viene concesso... da lì la decisione. Niente aumento, niente lavoro. La protesta cresce, il malcontento anche, si organizzano assemblee, si discute, si prende coscienza di quelli che continuano ad essere diritti negati, di quella che è una situazione di sfruttamento, già vista con Rosarno, già analizzata, rimasta identica a se stessa. Oggi a incrociare le braccia sono centinaia di stagionali ( 350 per l'esattezza), e le loro rivendicazioni, sostenute dalle Brigate di solidarietà attiva e da Finis Terrae ( promotrici della campagna “Ingaggiami contro il lavoro nero”) e dalla Flai Cgil, le hanno messe nero su bianco e lanciate in rete: http://bracciantiboncuri.wordpress.com/.
Le richieste? Presto detto: poter lavorare in maniera dignitosa e ad una giusta retribuzione.
I punti sono così enucleati sul sito: 1 ottenere regolari contratti; paga aumentata a 6€ a cassone per i pomodori grandi e a 10€ a cassone per i pomodori piccoli; avere un centro pubblico per l’impiego alla masseria Boncuri ( ndr. dove adesso sono alloggiati) ; il diritto a trattenere con se i documenti originali; controlli dei documenti nei campi da parte delle autorità; avere un rapporto di lavoro  direttamente con i proprietari dei campi; più strumenti per l’accoglienza degna (brandine, docce calde, ecc.)
Le stesse rivendicazioni che avevano fatto scoppiare la rivolta violenta di Rosarno tornano dunque di nuovo a pochi km di distanza, e c'è chi a Rosarno ripensa con un certo timore. Di “potenziale nuova Rosarno” parla la Cgil, così come l'On Bellanova che rivolge un'interrogazione al Ministro dell'Interno, sottolineando come, ancora una volta siano gli immigrati a fornire una lezione di legalità alle istituzioni italiane.

Al prefetto si rivolgono invece sia la regione Puglia che gli stessi immigrati: loro chiedono la convocazione di un tavolo al quale portare le richieste avanzate, chiedono che torni la legalità, anzi, specificano, la “giustizia”.
“Vogliamo essere trattati come normali lavoratori” scandisce Ivan, camerunense, tra i leader della protesta, durante l'assemblea tenutasi il primo di agosto alla masseria Boncuri, loro “quartier generale”. Ivan è stato anche minacciato di morte, per quello che sta facendo, ma non ha esitato ad impugnare il megafono e rivolgersi direttamente a chi vigliaccamente ha cercato di intimorirlo. La lotta va avanti, i lavoratori di Nardò sembrano determinati a non mollare. I caporali, loro, li avevano già denunciati alle forze dell'ordine, dicono, intervistati dalla tv locale Telerama. Eppure nulla è cambiato: per un cassone da 100 kg di pomodori percepiscono intorno ai 3,50 euro, il caporale ne vuole 3 a fine giornata più 5 per il trasporto, riferisce la Flai Cgil locale, che sta facendo pressione sul prefetto per la convocazione del tavolo. In più, raccontano i lavoratori, il panino per il pranzo costa 3 euro e a parte si paga anche l'acqua. Un lauto guadagno per il caporale di turno che a fine giornata si trova un bel gruzzolo tra le mani guadagnato sulla pelle e sul sudore di questi uomini sfruttati e umiliati, a volte “uccisi” da quello stesso sfruttamento.

Esattamente la sorte toccata a un ragazzo tunisino di 34 anni. Andato a dormire dopo una dura giornata di lavoro nei campi non si è più svegliato la mattina dopo. E' stata questa la spinta, la goccia che ha fatto traboccare il vaso e che adesso da forza a 350 uomini che hanno deciso di dire basta e, per farlo chiedono solidarietà non solo da parte delle istituzioni. Per continuare a resistere senza lavorare hanno bisogno quanto meno dei generi di prima necessità: ieri c'è stata una prima distribuzione di “buste di resistenza” ma vista la prospettiva di tempi lunghi ( in attesa che la prefettura faccia le sue mosse) la solidarietà diventa fondamentale.
Nei giorni in cui passa la nuova stretta sull'immigrazione, giorni di viaggi della speranza, morti sui barconi e rivolte dentro Cie e Cara, lo sciopero di Nardò, purtroppo passato in secondo piano,  rappresenta senza dubbio l'ennesimo segnale. Quello di un risveglio civile che pretende delle risposte.


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