giovedì 11 novembre 2010

La decrescita anticrisi

 
tratto da: www.terranews.it
Salvatore Romeo
 
INCONTRI. A Taranto, uno dei centri più inquinati d’Italia, Serge Latouche spiega la sua ricetta per strappare la città dalla morsa dell’inquinamento: chiudere i vecchi impianti e puntare sull’economia locale.

Sullo sfondo dominano le ciminiere dell’Ilva, dell’Eni, della Cementir, simbolo dello “sviluppo“ industriale. E Taranto, una delle città più inquinate d’Italia, ha accolto con una grande partecipazione la conferenza di Serge Latouche nel Salone degli specchi del Palazzo di città, dedicata alla decrescita come possibile via d’uscita dalla crisi. Il noto professore francese non ha esitato ad esprimersi sulla questione ambientale che attanaglia la città.

«Occorre riconvertire l’economia locale e, in prospettiva, puntare alla chiusura degli impianti inquinanti. Naturalmente non si dovranno favorire altri progetti faraonici, ma iniziative piccole e medie». Latouche ha forti perplessità anche di fronte a possibili alternative legate alla grande logistica.
«Lo stesso Keynes, uno che non si può certo accusare di anti-sviluppismo, sosteneva che “le idee devono muoversi il più possibile, le merci il meno possibile, i capitali per nulla”. L’idea di movimentare grandi flussi di beni da una parte all’altra del mondo esaspera l’impatto ambientale delle attività economiche».

Questo signore di origini bretoni, dai profondi silenzi e dai modi discreti, si accende improvvisamente quando espone la sua visione. Ma cos’è la “decrescita” e come la si può realizzare in concreto? «Decrescita è uno slogan – risponde – in realtà dovremmo parlare di a-crescita, come si parla di a-teismo. Perché il culto della crescita è una vera e propria religione o una dipendenza da cui dovremmo disintossicarci». La prospettiva da perseguire è quella della cosiddetta “abbondanza frugale”: un sistema di bisogni in cui al desiderio di beni materiali si imponga un senso del limite e si lasci il posto ad una vita affettiva e relazionale più intensa. «Non si deve pensare ad una forma di ascesi – aggiunge Latouche – anzi, la decrescita ha tratti edonistici. Ma è indubbio che non sarà un percorso facile».

L’utopia della “società conviviale richiede, insomma, una profonda trasformazione culturale. Il professore, del resto, è il degno erede di quel “socialismo utopistico” che ha in Robert Owen e Charles Fuorier i suoi principali iniziatori. La sua critica al capitalismo è implacabile, come la loro. Ma allora non ci si dovrà aspettare che anche questo progetto entri in collisione contro l’avanzata del turbocapitalismo? «E’ inevitabile che una reazione violenta ci sia. Si veda cosa è successo in Sud America, dove alcuni governi (Bolivia ed Ecuador) hanno inscritto nella costituzione dei rispettivi paesi il riconoscimento della natura come soggetto di diritto. Però la cosiddetta megamacchina tende ad autodistruggersi e questo può favorire l’affermazione dell’alternativa».

Serge Latouche è convinto che la catastrofe possa indurre l’umanità a rigenerarsi. Al punto che non sembra credere neanche alla prospettiva della green economy: «Attraverso questa operazione ci si limita a colorare di verde lo stesso sviluppo distruttivo di sempre. Un esempio chiaro lo abbiamo con l’auto elettrica, che tutto è meno che ecologica».

Nessun commento:

Posta un commento

La moderazione dei commenti è stata attivata. Tutti i commenti devono essere approvati dall'autore del blog.
Non verranno presi in considerazione gli interventi non attinenti agli argomenti trattati nel post o di auto-promozione.

Grazie.