giovedì 17 febbraio 2011

Mubarak se ne va, ma l'assedio di Gaza c'è ancora

di Claudia Milani* - Megachip.

La Rivoluzione egiziana è destinata a produrre effetti a breve termine sulla sopravvivenza della popolazione civile della Striscia di Gaza.
La Striscia di Gaza è una piccola fetta di terra affacciata sul Mediterraneo, sotto occupazione israeliana. Israele, in particolare, controlla sia il confine terrestre Gaza-Israele, sia il mare antistante la Striscia, che lo spazio aereo sovrastante. L’assedio e il blocco imposti da Israele sulla Striscia hanno forti ripercussioni sulla popolazione civile, come denunciato dalle maggiori organizzazioni internazionali per i diritti umani. In particolare, la privazione del diritto alla libertà di movimento impedisce o rende estremamente difficoltoso l’ingresso e l’uscita dalla Striscia, il che causa a cascata ulteriori violazioni dei diritti della popolazione civile.

Famiglie smembrate che non riescono a ricongiungersi, ragazzi che non possono accedere all’istruzione, malati terminali ai quali, spesso, viene negato da Israele il permesso di uscire per ricevere adeguate cure mediche, e che talvolta muoiono nell’attesa.[1]
Il blocco rende difficoltosa anche la sopravvivenza all’interno della Striscia, giacché l’accesso dei beni di prima necessità è controllato e razionato. Due anni fa è stato lanciato un allarme che avrebbe dovuto scuotere ogni coscienza civile: dal momento che la farina era terminata, le donne di Gaza facevano il pane con le farine per animali.
La grande maggioranza dei bambini soffre di carenze alimentari e patologie ad esse correlate. A seguito dell’assedio israeliano Piombo Fuso, che in tre settimane causò la morte di 1.400 palestinesi e di 13 israeliani, l’ingresso dei materiali da ricostruzione è ancora in gran parte inibito. In particolare, non è consentito l’ingresso del cemento e del vetro. Le strutture distrutte dall’aviazione israeliana non possono essere ricostruite. Tra queste, scuole e reparti di ospedali, dove ancora le finestre hanno coperte al posto di vetri. Di recente, è stato lanciato un allarme relativo alla carenza di medicinali, che all’interno della Striscia sono esauriti. Il blocco che stringe Gaza in una morsa ha causato un tracollo della già precaria economia: Gaza, un tempo florida serra, produttrice di frutta di ottima qualità, di verdure, di olio d’oliva, di fiori, oggi vede dipendere la propria sopravvivenza dagli aiuti umanitari, che attraverso i valichi con Israele entrano col contagocce. E’ urgente che la comunità civile internazionale faccia pressione affinché il blocco israeliano cessi immediatamente.
Al confine sud-occidentale, Gaza confina con l’Egitto, attraverso il cosiddetto Corridoio di Philadelphia, una stretta fascia di deserto lunga una decina di chilometri e larga poche centinaia di metri nel quale è situato il Valico di Rafah, l’unica finestra di comunicazione tra Gaza e l’Egitto, presa d’aria necessaria per una popolazione assediata dal blocco israeliano più serrato sugli altri lati.
Dopo il ritiro unilaterale da parte di Israele degli 8.000 coloni che vivevano all’interno della Striscia, nel 2005, il valico di Rafah è stato chiuso ermeticamente per tre mesi, fino alla firma di due accordi: l’Accordo sull’accesso e il movimento e l’Accordo sul valico di Rafah, siglati da Israele e Autorità Palestinese grazie alla mediazione, tra gli altri, dell’allora segretario di stato statunitense, Condoleeza Rice. Accordi destinati a regolamentare l’accesso a quella che già diveniva, in prospettiva, una vera e propria prigione.
Il 25 giugno del 2006, sostenendo una relazione tra la prigionia del soldato Shalit e la necessità di sicurezza di Israele, Israele sigillò il valico di confine tra Egitto e Gaza, affermando che il valico sarebbe stato aperto solo in casi isolati.
Fino a giugno del 2007, il valico restò chiuso per 265 giorni. A seguito della vittoria elettorale di Hamas a Gaza del 2007, Israele impose un blocco militare sulla Striscia e congelò i due accordi siglati con l’Autorità Palestinese, giacché questa non avrebbe più avuto il controllo politico su Gaza, ma non ne siglò di nuovi con Hamas, il quale venne, al contrario, ostracizzato da buona parte della comunità internazionale. In primis, l’Unione Europea, che rinunciò ad avere un ruolo da leader all’ingresso di una zona sensibile per gli interi equilibri geopolitici mediorientali asserendo di non voler trattare con Hamas. L’unico oblò di comunicazione tra la Striscia di Gaza e il mondo venne di fatto lasciato nelle mani di Mubarak, presidente di quell’Egitto che era già partner storico, economico e politico di Israele a partire dagli Accordi di Pace del 1979 siglati dal predecessore Sadat (che verosimilmente pagò con la vita una simile svendita). Un Egitto che, per timore di perdere i privilegi derivanti dall’essere il più grande Paese arabo amico di USA e Israele, chinò il capo al volere israeliano e quel valico lo sigillò. A doppia mandata. Mubarak aprì le porte della prigione di Gaza di tanto in tanto, decidendo chi potesse entrare e chi potesse uscire, obbedendo con osservanza ai diktat degli elenchi israeliani contenenti i beni il cui ingresso era consentito e quelli il cui ingresso era vietato. Tra questi ultimi, ad esempio, restano per anni le scarpe e la cioccolata. Ma anche la frutta secca, le matite e la carta.
Con la caduta del regime di Mubarak in Egitto, ha ripreso vigore la speranza mai sopita della popolazione civile di Gaza di vedere un Paese storicamente amico, quale l’Egitto, aprire le porte della prigione. E invece sta accadendo il contrario: una delle prime dichiarazioni dell’insediato governo post-rivoluzionario al Cairo, è stata proprio la conferma degli accordi internazionali dei quali l’Egitto è parte. Quegli accordi, si sono affrettati a specificare i vertici militari, non saranno disattesi ma continueranno a essere onorati.[2]
Di fatto, il valico è di nuovo chiuso ermeticamente: aiuti e osservatori internazionali, che fino alla rivoluzione, magari attendendo per settimane nel deserto la giornata fortunata, riuscivano, talvolta, a violare l’assedio entrando nella martoriata Striscia, ora sono bloccati fuori; malati terminali, volontari internazionali e studenti sono rinchiusi dentro. La precarietà di tale inaccettabile situazione sta per stabilizzarsi, giacché Israele è pronto a riprendere il controllo del corridoio di Philadelphia.
Così, mentre il mondo festeggiava la rivoluzione egiziana e la diplomazia statunitense muoveva le pedine sulla scacchiera mediorientale per fare in modo che gli equilibri restassero immutati, un milione e mezzo di persone sono rimaste imprigionate dentro la Striscia di Gaza nel silenzio complice della stampa internazionale.

rafahMolte di quelle persone le conosco. C’è Majd, una ragazza bellissima che sogna di fare la giornalista in Europa, c’è Asma, giovane femminista che anni fa ha rifiutato di indossare il velo, c’è Soaid, un ragazzo paraplegico che vorrebbe fare riabilitazione in Italia, c’è Amal, una bambina di dodici anni con una pallottola piantata in testa, c’è Mahmoud, un ragazzo di quattordici anni che soffre di leucemia e attendeva di uscire per ricevere cure adeguate, c’è Halla, una giovane donna che parla cinque lingue, c’è Vittorio, scrittore e volontario italiano dell’International Solidarity Movement, c’è Uri, una bambina sordomuta che balla senza musica.
Un milione e mezzo di persone, delle quali oltre la metà minorenni, in prigione senza avere alcuna colpa. Se non quella di essere contesi come merce di scambio dai neo-colonizzatori, pronti a trattare i termini della loro sopravvivenza al suq della geopolitica mediorientale.
Ken o’Keefe, ex marine statunitense, oggi una delle voci più autorevoli nella denuncia delle violazioni dei diritti umani all’interno della Striscia di Gaza, ha lanciato un appello alla comunità internazionale. Prima che sia troppo tardi, prima che Israele richiuda ermeticamente il valico ora sigillato dall’Egitto, è necessaria una mobilitazione internazionale.

bimbadigaza011Facciamo appello a tutti i cittadini liberi del mondo, giornalisti, operatori umanitari, difensori dei diritti umani, persone che abbiano una coscienza civile, studenti, madri, popolo egiziano, cittadini europei e diamoci appuntamento al valico di Rafah, in Egitto, al confine con la Striscia di Gaza, il 26 febbraio, per provare a violare l’assedio ed entrare nella più grande prigione a cielo aperto del mondo. I diritti umani, apolidi per loro natura, si danno appuntamento in Egitto.
Come difensore e avvocato dei diritti umani e come libera cittadina, accolgo con gioia l’appello di Ken o’Keefe e lo rilancio al popolo italiano. Il 26 febbraio assediamo l’assedio.

Con preghiera di adesioni, massima diffusione e pubblicità.


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