martedì 22 febbraio 2011

Rivolta, il riscatto degli ex schiavi: la profezia di Sankara

tratto da: Libre

Tra i preziosi servigi che nel corso della sua lunghissima e controversa carriera Muhammar Gheddafi avrebbe reso all’Occidente, c’è chi aggiunge un omicidio particolarmente eccellente: quello del capitano Thomas Sankara, presidente rivoluzionario del Burkina Faso, assassinato a freddo il 15 ottobre 1987 nel suo ufficio nella capitale Ouagadougu dopo che tre mesi prima aveva coraggiosamente ribadito, alla Conferenza panafricana di Addis Abeba, la volontà di guidare la lotta nonviolenta dell’Africa per la cancellazione del debito. «Non dobbiamo restituire proprio niente», disse Sankara: «Abbiamo già dato tutto, anche il sangue». Mancava, appunto, il suo. «Se resterò solo in questa richiesta – aggiunse, con una battuta tragicamente profetica  – l’anno prossimo non sarò più qui a questa conferenza».
Una commissione internazionale di inchiesta ha indicato la Libia di Gheddafi come  organizzatrice degli esecutori dell’omicidio, miliziani africani probabilmente agli ordini del signore della guerra Charles Taylor. Primo beneficiario dell’assassinio, l’attuale presidente del Burkina Faso, Blaise Compaoré, già braccio destro di Sankara e ora uomo di fiducia di Sarkozy nel continente nero. L’operazione sarebbe stata commissionata direttamente dalla Francia d’intesa con gli Stati Uniti, e affidata – per i dettagli logistici della macelleria – all’intelligence del Colonnello.
Nel profeta ribelle dell’ex Alto Volta, Gheddafi vedeva un temibile rivale: un rivoluzionario autentico e capace, disinteressato e generoso, in grado di entusiasmare la gioventù africana post-coloniale. Toglierlo di mezzo poteva rappresentare per il dittatore libico un’ottima opportunità per avviare la lunga marcia di riavvicinamento all’Occidente, dopo la crisi della Sirte che nel 1986 aveva portato l’America di Reagan a bombardare Tripoli e Bengasi nel brutale tentativo di decapitarne il regime.

Nicolas Sarkozy con Blaise CompaoréLa tragica fine di Thomas Sankara, che precipitò nel lutto il Burkina Faso ma anche le giovani generazioni di tutta l’Africa, a cominciare da paesi-chiave come il Senegal e il Cameroun, passò praticamente sotto silenzio nel resto del mondo. Di recente, le Nazioni Unite hanno formalmente “invitato” il Burkina Faso a fare piena luce sull’omicidio, ma il dossier è rimasto in un cassetto senza che il presidente Compaoré – secondo alcune fonti, direttamente implicato nell’assassinio – abbia fatto il benché minimo sforzo per avviare una parvenza di indagine. Compaoré sa di non correre rischi: dopo la liquidazione di Sankara si è affrettato a “normalizzare” il suo paese, restituendolo al ruolo di docile vassallo dell’Occidente e ottenendo in cambio la riconoscenza degli Usa e della Francia: Parigi infatti presenta Compaoré come un campione della pace e della stabilità nella regione centrafricana.
Il dramma di Sankara, l’ultima grande speranza per l’Africa, si è consumato al tramonto di un’epoca, quella della Guerra Fredda: in anticipo sui tempi, il giovane rivoluzionario burkinabé, comunista e cattolico, si era presentato come straordinario “sindacalista” del continente nero sulla scena mondiale, dopo aver miracolato il suo povero paese – uno dei più miseri sulla faccia della terra – in appena quattro anni di buon governo. Scomparsa la corruzione, la nuova amministrazione del Burkina Faso aveva esaudito le richieste primarie della popolazione: debellata la fame grazie alla ripresa dell’agricoltura e all’annullamento della spesa militare, Sankara puntava sull’informazione e sulla cultura come strumenti strategici di autodifesa. Straordinario comunicatore, ebbe la sfortuna di vivere isolato in un pianeta ancora sprovvisto dei mezzi telematici che oggi raccontano in tempo reale eventi, idee e rivoluzioni.

Berlusconi e GheddafiSankara non aveva paura di sfidare il potere mondiale, che considerava iniquo perché basato sullo sfruttamento post-coloniale delle risorse del terzo mondo: così fu l’unico capo di Stato a chiedere la liberazione di Nelson Mandela, allora detenuto; l’unico a chiedere l’espulsione del Sudafrica razzista dall’assemblea dell’Onu. Denunciò i crimini di Israele contro i palestinesi, ma soprattutto i crimini dell’economia occidentale contro l’umanità africana, condotti con l’indispensabile complicità di dittatori insediati nelle ex colonie con il compito di commissariare popoli e nazioni, garantendo così all’Occidente il libero accesso – a prezzi stracciati – alle grandi risorse di una terra come l’Africa, il continente di gran lunga più ricco del mondo, i cui abitanti sono però da sempre i più poveri.
Un sottile filo rosso, attraverso la storia, finisce oggi per legare la predicazione civile di Thomas Sankara al destino dell’uomo sospettato di aver diretto il suo assassinio, Muhammar Gheddafi, il dittatore che oggi non esita a far bombardare il suo popolo direttamente dagli aerei da guerra, mentre l’Occidente resta a guardare così come ha fatto in Tunisia e poi in Egitto. Più di vent’anni dopo, sembrano crollare uno dopo l’altro i simboli viventi dell’ingiustizia, i rozzi vassalli dell’economia occidentale, la razzia a mano armata contro cui il presidente-ribelle aveva levato in dito. Pace, diritti, democrazia, pari dignità e pari opportunità: quello che oggi chiedono le piazze di Tripoli e Bengasi, di Tunisi e del Cairo, è esattamente quello che negli anni ’80 Thomas Sankara invocava per tutta l’Africa.

Nessuno sa esattamente come potrà evolvere la situazione lungo la sponda meridionale del Mediterraneo, sconvolta dalle insurrezioni contro le dittature e sostenuta dalla solidarietà della presidenza Obama. L’anziano storico egiziano Gamal El Banna, intervistato da “RaiNews”, dice che gli eventi del 2011 danno torto a Lenin, che prescriveva leader e partiti-guida, e danno ragione a Rosa Luxemburg, che sosteneva come il popolo fosse in grado di condurre da solo una rivoluzione, anche senza una leadership carismatica. Guardiamo ai fatti, dicono i giovani tunisini che hanno rovesciato Ben Alì: ci dividono i governi e gli interessi economici, ma l’umanità è straordinariamente unita, basta vedere come si collabora via Internet in modo aperto e spontaneo. Lo diceva anche Sankara: sorridiamo al mondo, perché siamo tutti uguali e un giorno disarmeremo il potere codardo dei servi che sparano sulla folla  






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