mercoledì 22 dicembre 2010

La riforma, la Gelmini e le tre P

 
Dalle "tre i" di Berlusconi alle "tre p" della Gelmini. Un breve bilancio, a mente 'non' fredda, su questa inattesa stagione di lotte universitarie.
 

scritto da Massimo Zucchetti,
professore del Politecnico di Torino,
ordinario di "Protezione dalle radiazioni",
eterno studente (perche' di studiare mai si finisce).

Lo si sentiva nell'aria. Che dopo gli ospedali trasformati in aziende ospedaliere, sarebbe toccato alle università trasformarsi in "aziende universitarie". Abolite come luogo di pensiero e formazione di esseri culturali e pensanti, sterilizzate e trasformate in esamifici pre-aziendali o muti orti solinghi baronali, in Cepu del Cepu. Finalmente il covo dei cattivi maestri e degli studenti protestatari sarebbe stato castrato: un bel tassello nel disegno generale che mira a "ignorantizzare" l'Italia per mantenerla per sempre elettrice dei Berlusconi e ammiratrice dei Marchionne.
Ma qualcosa e' andato storto, i moscerini  drosophila melanogaster oggetto dell'esperimento si sono inopinatamente ribellati, coinvolgendo e travolgendo, e diventando esattamente quello che si voleva evitare diventassero: una nuova generazione di giovani adulti pensanti, critici e ribelli, responsabili e informati.
E non solo studenti, come erroneamente si è scritto. Certo, la maggior parte di coloro che "sono scesi in piazza" sono studenti, preoccupati del loro futuro, studenti privi di mezzi o fuori sede, vittime future dei tagli alle borse di studio, studenti coscienti con gli occhi ben aperti, che si oppongono allo smantellamento dell'Università pubblica.
Poi però ci sono i Precari della Ricerca: sessantamila persone che da anni lavorano nelle università, che vivono con contratti rinnovati di anno in anno, per dieci, quindici anni, e che spesso si trovano a quarant'anni a dover cercare un lavoro fuori dall'università, senza nessuna valorizzazione del lavoro svolto in precedenza. E poi si sono mobilitati anche i Ricercatori universitari, quelli che hanno già "il posto fisso". Loro sono circa venticinquemila e svolgono nelle università il quaranta per cento del carico didattico complessivamente erogato. Non hanno nessun obbligo di farlo, sarebbero pagati per fare solo ricerca, ma lo fanno ugualmente, con uno stipendio iniziale di 1.300 Euro mensili.
Hanno protestato attivamente - anche se in minor numero di quanto ci si poteva aspettare - anche alcuni Professori Associati e Ordinari. E quando si dice "attivamente" si esclude il porre una firma in fondo ad una petizione scritta da altri: questo ha poco più valore del televoto per il Grande Fratello. Ci sono infatti professori di ruolo di questa Università che non si sentono "baroni". Quelli ormai all'apice o a buon punto della loro carriera, ma che non mirano ad ottenere micro- o macro-posizioni di potere con imbarazzanti e tardivi atti di meretricio verso l'attuale casta baronale. Forse proprio da loro, nel novero dei quali il sottoscritto immodestamente si pone, occorreva aspettarsi una vera e propria INSORGENZA contro questa controriforma, forse proprio una classe docente responsabile e sostanzialmente garantita doveva porsi alla testa della protesta contro lo smantellamento di una Università che certamente ha bisogno di riforme, ma non di questo genere degenere. Forse il fatto che ciò non sia successo è la principale nota stonata degli eventi di questi mesi. Perché quanto questa controriforma cerca di mettere in atto è davvero così grave da non poter che farci insorgere.
Tempo fa il Presidente del Consiglio aveva ridicolmente detto di voler riformare la Scuola media sulla base delle "tre i": inglese, internet, impresa. Ora, scimmiottandolo penosamente, per l'Università si sarebbe architettata una controriforma basata su una sola "i": imprenditorializzazione. Bisogna cioè implementare i principi dell' "Impresa" con la i maiuscola in questo covo di inefficienti fannulloni di sinistra. Il modo col quale si cerca di applicare questo scellerato principio all'Università si basa in realtà sulle "tre p":
1.      Privatizzazione dell'Università. Estinzione progressiva dei finanziamenti pubblici, sopravvivenza di quei soli settori del sapere interessanti e contigui ai confindustriali, strozzamento degli altri retrocedendoli a superscuole medie, quiete e mediocri. Grande spazio all'università privata, compresa quella su internet dei propri amici e sodali. Immancabile risultato: trasformare l'università italiana nell'Istituto Parificato "tre anni in uno, basta che paghi".
2.      Precarizzazione, come nell'industria, dei ricercatori. Abolita ogni garanzia per il giovane che nonostante tutto affronta la carriera universitaria, che si trova davanti periodi lunghissimi di precariato privo di diritti e la prospettiva di essere ostaggio, per riuscire a entrare, di un sistema baronale degno di periodi bui e sepolti dalla storia.
3.      'Prostitutizzazione' degli Organi di Governo dell'Università, mettendoli in mano e balia di membri esterni ad essa ed abolendo ogni democrazia interna agli Atenei. Potere al Rettore e al Consiglio di Amministrazione, Nomina Regia, individui esterni nominati grazie a non si sa quali entrature che si baloccano con l'università in attesa di posti e prebende più interessanti. L'Università come girone di consolazione dei boiardi e industrialotti delusi, che almeno potranno magari nominare "docente" i più intromboniti e impresentabili fra di loro.
Ora, se l'Università deve conservare un ruolo non soltanto di luogo di trasferimento di nozioni, ma anche di CULTURA e FORMAZIONE, ognuno sa e capisce che deve restare Pubblica. E che la legge darwiniana della giungla basata sul "mors tua vita mea" del libero mercato non va applicata sperabilmente a nessun aspetto dei rapporti umani e sociali, meno che mai alla Cultura, alla Ricerca, all'Insegnamento ai nostri giovani. Non vogliamo l'industria privata al governo dell'Università, nelle persone dei nipotini sciocchi e frustrati del signor Marchionne.
E - nel frattempo, davanti a tutto ciò - che dicono i veri baroni universitari? I "mandanti" di questa mobilitazione, secondo il ministro Gelmini, coloro che sarebbero veramente interessati al mantenimento dello status quo? Nessuno li ha visti, nessuno ne ha sentito la voce. Se non la stentorea voce della Crui (Conferenza dei Rettori delle Università Italiane), che si e' appiattita recentemente su posizioni di sostanziale appoggio alla controriforma Gelmini.
Le prospettive, cercando di astrarci un poco dalla contingenza del momento, potrebbero non essere così deprimenti. La frittata è ormai fatta: una nuova stagione di pensieri ed azioni è stata innescata e nessuno la potrà fermare. I ragazzi e i precari che manifestano oggi costituiranno l'ossatura della nuova Università di domani, sperabilmente senza seguire la misera deriva di alcuni sessantottini, ieri contestatori e oggi architravi del sistema. Avrai forse il tuo decretino approvato, ministro Maria Stella, ma ti chiederebbe Bob Dylan: "How does it feel, to be on your own"? Ti ho pensato, qualche volta, quasi con empatia: quanto auto-inganno e rimozione psicologica occorre avere per propugnare una legge fra l'esecrazione quasi generale di tutti coloro che ne verrebbero normati? Ancora il 21 dicembre, alla vigilia del piccolo golpe prenatalizio dove avrà il disegno approvato, dice Gelmini in un intervista a "La Stampa" che "il tempo sarà galantuomo e la riforma verrà apprezzata". Forse proprio perché il concetto di "galantuomo" della signora Gelmini è notoriamente così peculiare, esprimiamo invece la certezza che questa controriforma, che probabilmente mai verrà messa in pratica, sarà sepolta nel tempo come un curioso accidente della storia, esempio di perniciosa coniugazione di naiveté e supponenza, al di la' dei vizi evidenti che abbiamo elencato prima, e che la fanno inapprovabile e inemendabile. La pattumiera, nella storia dei tentativi di riforma dell'Universita' italiana, e' molto ampia: avanti c'e' posto.

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