sabato 2 ottobre 2010

Messina contro il Ponte

 
Antonio Mazzeo
 
MANIFESTAZIONE. Nella città siciliana migliaia di persone chiederanno al governo di «usare i fondi pubblici dell’opera sullo Stretto per mettere in sicurezza il territorio», un anno dopo la tragica alluvione di Giampilieri.

Un anno fa l’alluvione che ha spazzato via il villaggio di Giampilieri e la cittadina di Scaletta (Messina). Una delle tragedie più gravi della storia d’Italia con 37 morti. Per ricordare l’alluvione e le gravi responsabilità di politici ed amministratori, al Corteo nazionale contro il Ponte sullo Stretto, sono attesi oggi a Messina migliaia di partecipanti per «spostare i fondi pubblici destinati a quest’opera inutile e dannosa, alla messa in sicurezza del territorio», spiega la Rete No Ponte che organizza l’iniziativa.

Al Ponte sullo Stretto ha dedicato un lungo passaggio del suo intervento al Senato anche il Presidente del Consiglio Silvio Berlusoni. Un vero e proprio elogio auto celebrativo con tanto d’immancabile “apologia dell’illegalità”. «Entro dicembre sarà pronto il progetto esecutivo, già molto avanzato, del Ponte di Messina», ha dichiarato Berlusconi. 

Era stato dato anche l’appalto ad una cooperativa di imprese italiane - ha spiegato Berlusconi in Parlamento - dopo che eravamo riusciti, prodigando molti sforzi, ad evitare la partecipazione all’appalto di grandi imprese straniere, perché volevamo che quest’opera fosse un orgoglio tutto italiano. Con l’intervento del governo della sinistra il piano è stato accantonato. Avevo personalmente, con il sottosegretario Letta, partecipato a 32 riunioni per il varo di questo piano, sino a giungere all’appalto, che è stato dato». Un’esternazione shock che ha spinto due senatori dei Radicali, Donatella Poretti e Marco Perduca, a presentare un’interpellanza urgente alla presidenza del Consiglio dei ministri.
 
«Berlusconi si è autodenunciato per avere diretto la gara d’appalto per il Ponte di Messina - scrivono i parlamentari - e ha candidamente ammesso di avere fatto di tutto per evitare che alcune imprese partecipassero solo perché straniere, ma anche che vincesse una italiana. Berlusconi dovrà spiegare in aula in cosa sono consistiti i suoi “molti sforzi” e se le 32 riunioni citate erano state fatte per arrivare ad un appalto realizzato su misura per la cooperativa di imprese». In verità, non scorre nulla di nuovo sotto il Ponte. Berlusconi, infatti, ha ripetuto in Parlamento quanto aveva dichiarato nel novembre 2008 a L’Aquila, durante la campagna elettorale per le regionali in Abruzzo.
 
Già allora il premier spiegò: «Avevamo impiegato cinque anni a metter d’accordo le imprese italiane perché non si presentassero separate alla gara d’appalto ma in consorzio. Eravamo andati dai nostri colleghi chiedendo che le imprese non si presentassero in modo molto aggressivo, proprio perché volevamo una realizzazione di mano italiana, e poi avremmo saputo ricompensarli con altre opere pubbliche». L’ammissione di aver blindato (o turbato?) la gara del Ponte giungeva dopo che parlamentari, ambientalisti e ricercatori avevano denunciato anomalie ed evidenti conflitti d’interesse nell’espletamento dei bandi.
 
Tra le carte dell’inchiesta della procura di Monza su presunti reati societari in ambito Impregilo (che guida il general contractor del Ponte), che a portato al rinvio a giudizio degli ex amministratori Paolo Savona e Pier Giorgio Romiti, c’è un’intercettazione telefonica nella quale l’economista Carlo Pelanda, rivolgendosi a Savona, si dichiarava sicuro che «la gara per il Ponte sullo Stretto la vincerà Impregilo». Nella telefonata, avvenuta alla vigilia dell’apertura delle offerte, Pelanda sosteneva di avere avuto assicurazioni del probabile esito della gara «dal senatore di Forza Italia Marcello Dell’Utri».
 
I magistrati interrogarono così l’ex presidente di Impregilo: «Una legittima previsione - rispose Savona - il professor Pelanda mi stava spiegando che noi eravamo obiettivamente il concorrente più forte». Carlo Pelanda, editorialista de Il Foglio e de Il Giornale, era intimo amico di Marcello Dell’Utri, al punto di aver ricoperto l’incarico di presidente dell’associazione “Il Buongoverno” fondata dal senatore su cui pesa una condanna in appello a 7 anni per concorso esterno in associazione mafiosa.

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