domenica 17 ottobre 2010

Cittadino metalmeccanico

 Tratto da: PeaceReporter
 di Christian Elia
 
Centinaia di migliaia in piazza con la Fiom, in difesa di tutti i diritti.

Una bandiera rossa può avere tanti vantaggi. Anche degli svantaggi, ma di certo è utile per trovare la strada nella bruma che, alle cinque del mattino, avvolge Gessate. Hinterland milanese che ti entra nelle ossa, parcheggio della metropolitana.
L'appuntamento con uno dei settecento pullman organizzati dalla Fiom che, in quel momento, si preparano a partire da tutta Italia verso la capitale. C'è una manifestazione da fare.

Li individui subito, anche perchè è difficile immaginare un posto più desolato di questo, nell'ora dove la notte annuncia il giorno. Tutti indaffarati, aste e bandiere. Fotocopie per il percorso, informazioni pratiche, liste di nomi. Quello che ti colpisce è la naturalezza con la quale la maggior parte dei membri del gruppo si muove nella bruma. Un'ora che per molti è fluida, per gli operai della Federazione Impiegati Operai Metallurgici è un momento come un altro di una vita scandita dai turni in fabbrica. Ci sono anche le mogli e i mariti, o giovani che nella vita fanno altro.
E anche loro distingui subito, tra l'assonnato e lo smarrito. "Ci siamo tutti, dai che si parte", dice Marcello, il responsabile del gruppo. L'autista accende il motore, ci si muove, ma qualcuno urla all'improvviso: "C'è Angela in macchina, con il marito! Ci sta seguendo, accosta subito". Angela, tra risate e rimbrotti tra chi doveva ricordarsene, sale a bordo. Adesso ci siamo tutti. "Io, con tre figli, riesco a fare solo un part-time", dice una signora, a Inzago da venti anni, ma con tutta la sua Puglia ancora addosso. "Vado a Roma con mio marito, ma lo faccio per mia figlia. Da due anni in cassa integrazione. Non si può andare avanti così".

Il marito fa parte del gruppo più numeroso, quelli che si definiscono ''operai della vecchia Siemens, insomma''. Già, perché fai quasi fatica a capire per chi lavorano. "Adesso si chiama Jabil, dopo la fusione con la Nokia della Siemens. Ma abbiamo cambiato nome tante volte, magari non è finita'', dice Mauro, il maggior indiziato di aver dimenticato Angela. "Son sordo da un orecchio!", si difende, "facciamo manifestazioni da anni e ancora non avete capito che mi dovete urlare le cose???". Finisce nel mirino di Angelo, grande e grosso come un armadio. Orgoglio Operaio, recita la sua maglietta, con il simbolo Fiom. Per tutti è Rambo. Forse è uno di quelli che il ministro degli Interni Maroni teme possano provocare disordini. Invece no, è l'anima del gruppo.
Se qualcuno voleva dormire fino a Roma se lo scorda. Rambo, a stento contenuto dal sedile e dal tetto del pullman ("Progettato da Brunetta", a suo dire), è un fiume in piena di parole, battute e canzoni. Un gruppo Fiom che marcia su Roma te lo immagini come una colonna staliniana compatta, che recita Marx e intona Figli dell'Officina come un sol uomo.
La chiacchiera, invece, è altrove. Dal gratta e vinci all'omicidio della piccola Sarah, dalla scorta di panini alla scatola magica di mp3 che Rambo ha munito di casse assordanti. Si passa dai classici rock anni Ottanta a Waka Waka di Shakira, inno tormentone degli ultimi mondiali di calcio. Spalla ideale, un pò vittima un pò istigatore di Rambo, è Gino, un'altra macchinetta di parole. Se uno si distrae, sembrano sereni. La realtà arriva, invece, senza retorica. E fa più male. "Quando hai cassa tu?", chiede Rambo a Gino. "Lunedì e martedì...visto che mi hanno voluto far riposare per la manifestazione?".
Una normalità fatta di primo turno, secondo turno e notte, di cassa integrazione ordinaria e straordinaria. "Sai cos'è la cosa più brutta?", chiede Rambo, "che prima facevi la stessa 'fatiga dell'ostia', ma pensavi che il tuo lavoro era prezioso. Oggi ti senti uno che se svanisse nel nulla, in fabbrica, non se ne accorgerebbe nessuno. Tranne i tuoi compagni di linea". Che sarebbe la vecchia catena di montaggio. Quella delle schiene spezzate, ma anche delle partite del Milan ascolate con le colleghe, come racconta Angela, che spera ancora che torni Kakà.
Una sosta, nei pressi di Firenze. Tanti altri pullman: Treviso, Trento, Mantova. Marcello è sempre incollato al telefonino, tiene le fila. Anche con i pullman che marciano dal sud. "Il corteo lo apriamo noi e i compagni di Pomigliano d'Arco", recita senza riuscire a celare un po' di orgoglio che gonfia il petto stretto nella felpa rossa con la scritta Fiom. "Bella eh? L'idea è nata quando il Lapo si è inventato le felpe Fiat. Cavolo, la nostra è una storia più lunga. Se uno deve andar fiero di avere un marchio su una felpa, lo dobbiamo essere ancor più noi, eredi di più un'identità operaia vecchia di cento anni. Un'identità che a Pomigliano e a Melfi hanno tentato di uccidere. Se siamo senza diritti, siamo solo schiavi". Persone che parlano tra di loro in milanese e in pugliese, compreso la lingua africana dei nuovi operai. O schiavi?
Ormai ci siamo, il Raccordo è un incubo. Rambo tormenta Gino, rifiutando le sue brioches confezionate e chiedendo salame e vino. Angela è preoccupata. "Lunedì mi tocca stare alla linea con Gino davanti e Fabia al fianco! Mamma mia...non smettono mai di parlare!". E ti colpisce pensare, per una volta nella vita, le relazioni sociali in forma di posizioni alla catena. Ma non c'è tempo di riflettere: tutti per terra, bandiere e caschetti rossi al vento. "Occhio ai provocatori compagni", recita Marcello, facendosi serio. "La pressione che c'è la conoscete tutti: il primo che nota un pirla si rivolge ai compagni del servizio d'ordine, che hanno la pettorina rossa, e li segnalano". Perché la realtà è anche questa.
I pullman sono tanti, altri arrivano in auto (come quelle incrociate lungo l'autostrada e salutate da colpi di clacson e bandiere al vento) e in treno.
"Trenitalia ci ha negato tanti pullman, ma oggi si veniva pure a piedi", bofonchia Rambo. "Lavoro da quando ho quindici anni, ma questo è uno dei momenti più difficili. E non ti parlo della vita con mille euro al mese o della pensione, ti parlo della dignità stessa di un operaio. Divisi, non siamo niente".
I due cortei confluiscono su Piazza San Giovanni. Sono in tanti, "centinaia di migliaia", urlano dal palco. Difficile non pensare a un altro momento duro, la battaglia per l'articolo 18, ai tre milioni di manifestanti quel 23 marzo 2002 a Roma, per sentire l'allora segretario generale Cgil, Sergio Cofferati, urlare il suo no. Oggi son di meno, oggi son divisi. La Uil e la Cisl vanno per i fatti loro, anche gli stedenti paiono meno compatti. C'è Vendola, c'è Di Pietro, ma il Partito Democratico manda sagome per non decidere e la Federazione dei Comunisti Italiani non trova più la strada del parlamento, anche perché di partiti e movimenti comunisti ne conti troppi. Le faccie, quelle, son sempre le stesse. Sorridenti e preoccupate, in un solo sguardo.
Sul palco si alternano gli ospiti. Ai politici e agli studenti seguono le associazioni della società civile: Anpi, Associazione Articolo 21, Popolo Viola, Micromega ed Emergency. Un legame forte, quando ti dicono che non ci sono i soldi per i lavoratori, ma Cecilia Strada presidente di Emergency ricorda a tutti che "Nel secondo semestre di quest'anno il governo ha stanziato 65 milioni di euro al mese, mentre nei primi sei mesi dell'anno erano 51 milioni di euro al mese, per la guerra in Afghanistan". Prende la parola Maurizio Landini, segretario Fiom, che chiede il ritiro delle truppe italiane, perché è di diritti che si parla oggi. Tutti i diritti, vittima di un processo di erosione. Quello alla vita s'intreccia con quello alle cure mediche e alla tutela dei lavoratori. Questo il messaggio di Landini: "A Melfi e a Pomigliano, in dieci righe, hanno fatto un ricatto: lavoro se rinunciate ai diritti. Non possiamo accettarlo, lotteremo fino allo sciopero generale".
La parola magica, che scatena la piazza. Di tanta energia ne fa le spese Guglielmo Epifani. Parla, ma il pubblico lo pressa, vuole l'impegno concreto. Lui risponde, in difficoltà, emozionato (oggi ha chiuso il suo mandato Cgil, lasciando il posto a Susanna Camusso). "Arriveremo allo sciopero generale se sarà necessario, ma in modo intelligente", riuscendo a soffocare i contestatori. "E non lasceremo sola la Fiom". Alle parole, il popolo della piazza, attende di vedere se seguiranno i fatti.
La piazza si svuota, lenta. Rambo, Gino, Angela e gli altri arrolotolano le loro bandiere, lanciandosi alla ricerca di un panino. Vuoi vedere che alla fine torna buona la brioche di Gino? La strada per Gessate è lunga, celata dalla bruma. Sul palco Landini, Epifani e gli altri lasciano il posto a Bianca Giovannini, che ''canta per chi non ha fortuna''. Una giovane coppia si avvinghia in un lento struggente, occhi negli occhi, persi in un altrove lontano. Dietro di loro, con passo stanco, uno con la faccia 'da bravo ragazzo', in camice bianco. Precario della sanità, recita il cartello che porta al collo. Come a ricordare a tutti che questo è il tempo di difendere i diritti, anche quello di sognare.

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