mercoledì 20 ottobre 2010

Franco Battiato: l'introduzione alla luce (di Leonardo Rossi e Graziella Balestrieri)

L'ala del turbine intelligente
Prima parte (di Leonardo Rossi)
per L'eminente dignità del provvisorio

Percepire la decadenza è un esercizio mentale molto semplice, raccontare e invece di come si possa vedere o leggere l’alba nell’imbrunire è una fatica che pochi hanno il coraggio di affrontare. La lettura di un testo di Franco Battiato ci pone nella difficile posizione di interpreti di un pensiero che va analizzato secondo schemi gravitazionali. Utilizzando quindi logiche più scientifiche che umane ci confrontiamo con un poeta che utilizza il sistema della gravitazione per interpretare la decadenza dell’anima come un grave che scivola dalla luce al buio. Il pensiero della Luce, in arabo nur al’a nur, gocciola nella Terra e si fa Oscurità, rappresentando un moto discensionale che identifica una rappresentazione creazionale logicamente collegata a ogni canzone del cantante di Milo.
Come Simone Weil riusciva a descrivere nelle sue antinomie metafisiche-fisiche l’importanza del paradosso dell’ala che contemporaneamente ci abbassa e ci eleva all’alto e potentissimo, non possiamo non accorgerci come lo stesso Battiato ci chiami alla ricerca della veritas in mundo.
Un mondo nel quale tutti gli ascoltatori del cantante insulare sanno andare alla deriva con un moto ondulatorio che non frena le passioni dell’animale che ci portiamo dentro, e che non chiede niente se non il tutto. Un universo che intona requiem alla Vita e che ci obbliga a sacrificare la ricerca della pace con un invito alla sottomissione al sistema sociale che va alla produzione e alla riproduzione. Ingranaggi orgogliosi che smettono i panni delle macchine dopo il lavoro per indossare i panni di coloro che invece si ingegnano modi astuti per rincorrere il piacere di una vita che invece diventa sempre più triste. Il pensiero siculo di una fatalità, tipicamente meridionale, abbaglia dai testi del cantante tanto ascoltato e letto, che però ci invita a non smettere mai di sperare di tornare nella consapevolezza di quei giardini preesistenti alla natura umana decaduta.
Una natura umana dedicata alla lotta tra il Bene e il male, a una natura dedicata religiosamente allo gnosticismo esistenziale. Innamorata di se stessa e della propria immagine rarefatta. Siamo assunti in cielo, ma un cielo dedicato solo alla terra. Battiato ci ricorda e ci fa vedere come non sia stato il cielo a essere portato in terra, ma come la terra sia scambiata per il cielo. Ma abbiamo ancora una speranza di vedere il nostro destino dopo le nebbie serali di un Occidente che ansima in agonia. Abbiamo la coscienza di verità eterne, fenomenlogie di essenze eterne che si trasmettono nelle percezioni e diventano canti eterei di assoluti che non smettono mai di ammaliare le anime che non hanno paura. La Luce perpetua che racchiude la verità esistenziale e che riluce su tutti coloro che non hanno ancora smesso di cercare la pace nel silenzio riflessivo e nella lettura senza travisamenti di una realtà che ampollosa chiede solo di essere osservata e non capita.
Il viaggio del maestro porta verso ascensioni motorie e spirituali che conducono alla piena purificazione di un mondo che deve essere vissuto col sovrano distacco di chi sa di essere solo di passaggio. Di un invito alla totale dimenticanza del giorno trascorso per ricominciare nuovamente un’alba nuova. Per raccogliere una nuova messe di pensieri da offrire, senza remore.
Leonardo Rossi
Seconda parte (di Graziella Balestrieri)
per L'eminente dignità del provvisorio

Introduzione alle luce, la scoperta della fede, della morte: un invito al viaggio per la vita.
Questa mia parte oltre a voler essere un ringraziamento alla musica di Franco Battiato, che si è preso cura della mia anima, è un modo per chiedere scusa ad un uomo (che non è Battiato) che mi ha dato il silenzio e la sua pazienza, che mi ha protetto a sua insaputa dalle mie paure e dai miei turbamenti, dalle ingiustizie e dagli inganni del mio tempo. Senza saperlo mi ha sollevato dai miei dolori e dai miei sbalzi di umore e dalle mie manie. Come se mi conoscesse da sempre , insomma un essere speciale. Per la mia mente la sua presenza la miglior cura. Solo così posso chiedergli scusa , perché come dice il maestro per farlo “ci vorrebbe un’altra vita”. 
All’incirca due anni fa tutta la mia presunzione, la mia arroganza e la mia prepotenza morivano al filo di un telefono. "Tua madre ha un tumore - diceva mio padre - è grave". Tutta la mia famiglia iniziò a chiamarmi. Per me non era possibile, quel medico si era sbagliato. Impugnai il telefono e digitando il numero del dottore dissi qualsiasi cosa: “ Lei è un incapace, non è possibile, non sa quello che sta dicendo, è un’idiota”. Dall’altra parte il dottore stava in silenzio perché credo che capisse che in quel momento non avevo modo di ragionare. Finché mi disse: “La capisco ma io non posso fare altro”. E io per conto mio, testuali parole, “che cazzo capisce, mica è sua madre”.
Ho avuto sempre le spalle larghe così presi il primo autobus e scesi giù in Calabria. Non volevo che mia mamma fosse curata altrove. Non lo so ma cercavo conforto nella mia terra. Lei mi seguì e disse: “Facciamo quello che dici tu” e da allora non ho permesso a nessuno di staccare quella mano che lei mi aveva teso, non l’ho permesso nemmeno alla malattia. Il viaggio non fu dei migliori. Io, atea e materialista, non sapevo a cosa attaccarmi. Battiato era sempre stato il sottofondo dell’oltre, dell’andare al di là di quello che vedi, di sentire il mondo intorno. Era l’aria che non ho mai toccato, ma con la sua musica riuscivo a sentirla. Era i tramonti della mia terra, il mare, l’alba , la pioggia. Era tutto quello che non sono mai riuscita a spiegarmi, la bellezza nelle cose anche del buio. Ma non lo ascoltai in quel momento, non potevo permettermi deliri esistenziali, dovevo rimanere legata alla terra. Qui forse sbagliavo, cercavo conforto nelle cose quando avrei dovuto subito capire che quello di cui avevo bisogno non era né a destra né a sinistra dei miei occhi ma era in alto e più ancora nel profondo. Il medico non si sbagliava. Il tumore c’era, anzi erano due piccole “palline” che invadevano il seno di mia madre. Attendemmo sei ore in una stanza gelida il risultato dell’esame. Allora per non dar pugni a qualcosa e per dare conforto a un padre che vedevo debole e senza speranza mi misi le cuffie alle orecchie. Era un oceano di silenzio. E’ stata la prima canzone che mi ha ricongiunto con la luce, che io nella mia arroganza avevo già eliminato e che non volevo rientrasse nella mia vita, mi ero ripromessa di non accenderla mai più. Sei ore un corridoio freddo, e io in piedi con Battiato. Mentre ascoltavo questa canzone mi chiedevo, perché per avere e per sentire qualcosa di grande nella vita bisogna sempre avvicinarsi alla morte, perché quando hai qualsiasi opportunità di dire grazie la sprechi inutilmente. Così il corridoio lungo di un ospedale divenne l’oceano del mio silenzio e quel freddo iniziò ad entrare nella mia anima , i pensieri non avevano un centro e nemmeno un principio, la paura della morte aveva sotterrato ogni vena del mio corpo. In quel momento mi sentivo morta. Arrivata alla fine della canzone, il coro che non capivo quali parole mi dicesse, mi stava portando verso un’altra direzione. Quell’oceano di silenzio si trasformò nel rumore più assurdo e la cosa capitò quando mio padre alzò gli occhi e disse “vai tu a vedere”? 


Mia madre mi aveva dato la vita e ora aveva bisogno di una persona che gliene restituisse almeno una parte. Quella persona nelle parole di mio padre ero io.
Io ripresi a vivere nel momento in cui mia madre mi sorrise e disse: “E cacciati 'ste cuffie dalle orecchie”. Mamma è Battiato! "Ah vabbè se è Battiato a me piace". La mia agitazione dovuta a uno stato di morte provvisoria fece spazio alla pace... “quanta pace trova l’anima dentro, scorre lento il tempo di altre leggi, di un’altra dimensione”. (L’oceano di silenzio) Scendevo dentro un oceano di silenzio sempre in calma: e mentre fisicamente scendevo qualcosa dalla mia mente si era staccato e andava verso l’alto. Non ammisi mai che quella sensazione di morte che provai era la ricerca della fede, della forza che mi serviva per dare speranza a mia madre. Battiato in quel momento era il mio tramite. Le operazioni avvennero, due, grazie ad un Prof che tenne la mano a mia madre e a cui sarò sempre grata. Io lì con le mie cuffie e Battiato sempre a darmi forza, sulle scale di quel maledetto ospedale a bere caffè di continuo e parlare di politica con mio padre. Finché una signora mi disse: "volete venire a pregare per vostra madre?".
Io la guardai e dissi: “Signora io sto già pregando, la conosce l’ombra della luce di Battiato?”. Negli occhi della signora quella frase sembrò una bestemmia e commentò con un “ah i giovani di oggi”. Non era così, anche se a molti potrebbe sembrare una bestemmia paragonare una canzone a una preghiera. Per me non lo era, anzi. La musica (L’ombra della luce)era come un’entrata in chiesa. Lo facevo con il rispetto più assoluto, nella canzone entravo con il capo chinato , chiedevo conforto, non ho mai intrecciato le mani ma per quella canzone ed in quella canzone mi sentivo in ginocchio davanti a qualcosa che non vedevo, ma che Battiato ha permesso che io sentissi. Quella canzone era il mio monastero, mi rendevo conto che il mio senso di morte era dovuto al fatto che negassi l’esistenza di quella luce, ero infelice e avevo bisogno delle sue leggi, di qualcosa che governasse il dolore.


“Difendimi dalle forze contrarie la notte nel sogno quando non sono cosciente, quando il mio percorso si fa incerto, e non ABBANDONARMI MAI, NON MI ABBANDONARE MAI, riportami nelle zone più alte in uno dei tuo regni di quiete, è tempo di lasciare questo ciclo di vite , e non abbandonarmi mai, non mi abbandonare mai. Perché le gioie del più profondo affetto o dei più lievi aneliti del cuore sono solo l’ombra della luce”. (L’ombra della luce)
Mi resi conto che esisteva qualcosa di più grande. Ed era nel dolore la cosa più bella. Il mio dolore anarchico aveva trovato una legge. ”Ricordami come sono infelice lontano dalle tue leggi, come non sprecare il tempo che mi rimane, e non abbandonarmi mai, non mi abbandonare mai, perché la pace che ho sentito in certi monasteri o la vibrante intesa di tutti i sensi in festa sono solo l’ombra della luce”.
Non sprecai più tempo e venne la radioterapia, e venne il momento di stare svegli la notte, di controllare il respiro per vedere se era viva, sì, lo facevo quasi ogni notte. Lo faccio ancora. Venne il momento che caddero i capelli e subito non sprecai più tempo, quasi non la riconoscevo, non avevo ancora imparato a riconoscere il volto del dolore. Solo la musica di Battiato divenne il mio occhio più chiaro e comprai i foulards più belli. Venne il tempo che mia mamma non aveva più una parte di sé e mentre la guardavo mi ripetevo la canzone ”non mi abbandonare, non abbandonarmi mai, ricordami che sono infelice senza di te, riportami nei tuoi regni di quiete”.
Ascoltavo di continuo L’ombra della luce, ogni giorno, e quasi le mie domande erano cambiate. Se prima mi chiedevo “perché questo dolore?", ora chiedevo solo forza. Piccola parentesi. Le scuse all’uomo dell’inizio sono dovute ancora. Tutto ebbe inizio da una porta di corridoio sbagliata. Erano le 7 del mattino la prima volta che accompagnavo mia madre a fare la chemio. Invece che dall’entrata principale, passai dalla parte secondaria. Trovai i malati terminali. Finito il corridoio non pensai ad altro che inviare un sms e la sua risposta per me era come dire "non ti preoccupare, tutto continua".
Il mio cercarlo sempre era una conferma di un’altra vita. Era il mio segnale di vita... "il tempo cambia molte nella vita, il senso le amicizie le opinioni, che voglia di cambiare che c’è in me, si sente il bisogno di una propria evoluzione, sganciata dalle regole comuni, da questa falsa personalità, segnali di vita..le luci fanno ricordare le meccaniche celesti. Ti accorgi di come vola bassa la mia mente , è colpa dei pensieri associativi se non riesco a stare adesso qui. (Segnali di vita



Ho ricevuto la forza da Battiato.Vennero attacchi di panico, che mi rifiutai di curare con medicine. Ce l’avrei fatta, avevo sconfitto il dolore del tumore di mia madre. L’attacco di panico sarebbe passato. Uscivo e dovevo ritornarmene a casa. Tornavo a casa, schiacciavo letteralmente la testa sul pc, mettevo le cuffie e ascoltavo Battiato, che mi restituiva l’aria. Ogni venti giorni torniamo giù. Mia madre fa la chemio e io attendo tutto questo viaggio del dolore e della speranza con le mie cuffie. Non ho più paura di affrontare il dolore e so benissimo che mia madre lo sente. Quando siamo in quella stanza mi chiede "che senti?" e io: "Battiato". E lei: “mi piace Battiato” e mi chiede dell’uomo a cui chiedo scusa perché secondo lei era l’unica cosa terrena a cui mi ero aggrappata.
Ebbi il senso della ricerca, la fatica di un percorso che credevo di non essere in grado di attraversare."E ti vengo a cercare anche solo per vederti o parlare perché ho bisogno della tua presenza per capire meglio la mia essenza"(E ti vengo a a cercare)



Finalmente sono riuscita a dare un’immagine divina della realtà. Riguardo le foto di quando iniziò la malattia. Mia madre era malata, io riacquistavo la forza grazie a Battiato, poi cambiata, io chinavo il capo e raggiungevo la luce verso l’alto, ora rinata e io rinasco solo grazie a Battiato. Mi ha permesso di dire grazie a mia madre, di restituirgli la vita che lei mi avevo donato: era il mio dovere, quella legge superiore che tanto avevo cercato, che trasformasse il dolore in forza "Ti solleverò dai dolori…supererò le correnti gravitazionali lo spazio e la luce per non farti invecchiare e guarirai da tutte le malattie…ed io avrò cura di te".(La cura)



La morte come la vita sono solo un invito al viaggio, che Battiato mi ha portato direttamente a casa, e se la prima volta non avevo aperto, incontrando il dolore ha trovato quella porta chiusa ora spalancata.
“Ti invito al viaggio in quel paese che ti somiglia tanto i soli languidi dei suoi cieli annebbiati hanno per il mio spirito l’incanto dei tuoi occhi quando brillano offuscati. Laggiù tutto è ordine e bellezza, calma e voluttà. Il mondo s’addormenta in una luce calda di giacinto e d’oro. Dormono pigramente i vascelli vagabondi arrivati da ogni confine per soddisfare i tuoi desideri” (Ti invito al viaggio).


Graziella Balestrieri

2 commenti:

  1. Complimenti ad entrambi, davvero. A Leonardo, la sua indagine filosofico-mistica sul senso ultimo dell'arte di Battiato, comprende nel modo più autentico e coraggioso il linguaggio aureo dell'artista. Giunge nella sua comprensione più profonda: nel silenzio del cuore. A Graziella, la sua storia è IMMENSA. La stessa luce che è protagonista nella fortissima esperienza di vita vissuta del suo racconto, sembra non esaurirsi nella narrazione in sè. Ma come un circuito luminoso inesauribile, pare continuare la sua opera quando arriva al vissuto degli occhi del lettore. Aiutandolo tantissimo, veramente.

    Grazie.

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  2. @Anonimo- Grazie a te, davvero.

    ;-) Namastè

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