lunedì 18 ottobre 2010

Mongolia, gli ecoguerrieri dell'acqua

Escalation dei conflitti minerari, nel Paese in cui problemi ecologici e sociali non si possono scindere
fonte: PeaceReporter

Hanno sparato ai macchinari con un fucile da caccia, pur non sapendo nulla di luddismo o di ecoterrorismo alla Earth First.
I responsabili della miniera non volevano andarsene e quello era l'unico modo per farli sloggiare.
Erano in quattro, membri del United Movement of Mongolian Rivers and Lakes, un'organizzazione che federa sette gruppi ambientalisti mongoli.
Chimgee Ganbold, la portavoce del movimento spiega: "Noi ci battiamo contro le miniere illegali. Vogliamo che il governo si interessi al problema, ma non lo fa. Vogliamo continuare a chiedere che lo faccia, esercitare pressioni".

"La caratteristica di quel movimento è che non è composto da intellettuali di città, ma da gente del posto - spiega Boum-Yalagch Olzod, coordinatore della Mongolian Green Coalition (Nogoon Evsel) - nomadi fieri di esserlo e che protesteranno ancora così se il governo non si apre alla trasparenza e al rispetto dei diritti umani. Come potrebbero fare altrimenti?"


L'"incidente degli spari", avvenuto a inizio settembre, si è chiuso con qualche ammaccatura ai cingoli di un bulldozer, un radiatore distrutto, una semplice schedatura e qualche rimbrotto da parte della polizia. Ma la storia non finisce qui.
Le compagnie colpite, la cinese Puraam e la canadese Centerra Gold, scavano alla ricerca di oro in 168 ettari di terreno lungo l'alto corso del Selenge, il maggiore fiume mongolo che, dopo aver attraversato la Repubblica Russa di Buriazia, sfocia poi nel Lago Baikal. Per separare l'oro dalle rocce utilizzano l'arsenico che poi finisce nel terreno e quindi nelle acque.

E' una storia tipica dell'odierna Mongolia, ribattezzata in inglese anche "Minegolia", per via delle quasi illimitate ricchezze del suo sottosuolo, su cui mezzo mondo si sta avventando.
L'anno scorso, il parlamento ha votato una legge che in linea teorica impedirebbe alle compagnie minerarie di operare a ridosso di fiumi e laghi. Ha solo un piccolo problema. Prevede che il governo rimborsi le imprese per il trasloco e i lavori di bonifica. Si calcola che la cifra complessiva si aggiri sui quattro miliardi di dollari, a fronte di casse dello Stato desolatamente vuote. Così le compagnie non si muovono finché non vedono i soldi.
"Adesso arriva l'inverno e le attività minerarie si riducono - sostiene Boum - con la primavera prevedo un'escalation delle lotte".

Lotta armata? I militanti parlano di azioni pacifiche, ma non si fanno molti problemi a inserire nella categoria anche qualce fucilata contro una ruspa.
"L'incidente degli spari è dovuto al fatto che quelli scavano illegalmente e che non si poteva fare altro" - taglia corto Chimgee - ma un'altra azione che abbiamo compiuto è stata rubare le chiavi dei macchinari in una miniera del Khentii, la regione dove nacque Gengis Khan".
Del resto nessuno va troppo per il sottile e Boum è reduce da una brutta avventura. Mongolia e Francia hanno appena siglato, a Ulan Bator, un accordo che permetterà alla francese Areva di sfruttare i giacimenti di uranio.
Lui è andato di fronte al ministero degli Esteri, da solo, a protestare. "Ero molto pacifico, amichevole, stavo semplicemente lì ad aspettare la delegazione. E' arrivato qualcuno dell'Areva a farmi delle foto e poi i poliziotti, che mi hanno chiesto di andare con loro. Gli ho fatto presente che non avevo violato nessuna legge della Mongolia, ma questi ragazzi hanno cominciato a picchiarmi e sono andati avanti così per circa dieci minuti. Quando è arrivata la delegazione francese sono solo riuscito a gridare 'Buongiorno madame!' [al ministro del Commercio Estero francese Anne-Marie Idrac, ndr] e qualcuno di loro si è accorto di me".

In Mongolia si sta giocando una partita che tiene insieme dimensione ecologica e sociale. Lo sfruttamento intensivo del territorio sconvolge la cultura nomade-estensiva, basata sulla disponibilità di ampi spazi e pascoli. L'inquinamento del sottosuolo e delle acque distrugge le mandrie. Per il nomade, riconvertirsi alla vita sedentaria, magari da minatore, significa perdere se stesso. La via di fuga è spesso l'alcolismo, vera piaga sociale nel Paese.
A ciò si aggiunge che la pioggia di dollari che arriva dall'estero produce inflazione senza finire nelle tasche della gente: sparisce. Dove vada a finire si può immaginarlo, vedendo decine di Suv, e anche un paio di Maserati, sfrecciare nel centro di Ulan Bator. Appartengono ai nuovi ricchi della Mongolia, soprattutto funzionari di Stato.
I prezzi aumentano, i salari no, e il governo taglia pure i sussidi. Così a molti non resta che vendere il bestiame e diventare cercatori d'oro abusivi: i cosiddetti "ninja".
Gabriele Battaglia

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