giovedì 22 luglio 2010

Una diga sporca di petrolio

Pietro Dommarco da Potenza

DENUNCIA Nelle acque dell’invaso del Pertusillo, in Basilicata, è comparsa l’alga rossa. Un segnale, secondo i tecnici dell'inquinamento di tutto il bacino. Chi ha indagato sul caso, però, è stato sospeso dalle sue funzioni

Con una capacità di 155 milioni di metri cubi d’acqua, una potenzialità produttiva di 4.500 litri al secondo, un’altezza di 100 metri e una produzione di acqua potabile di 113.934.791 metri cubi, la diga del Pertusillo - nell’agro di Missanello, sul fiume Agri - è l’invaso lucano che destina il 65% delle sue acque alla vicina Puglia, per usi irrigui e potabili. Un lago artificiale riconosciuto come Sic e Zps in Zona 1 del Parco Nazionale Appennino Lucano Val d’Agri Lagonegrese, il secondo della regione. Un’elevata valenza naturalistica e paesaggistica minacciata, in questi ultimi mesi, da una moria di pesci e dalla presenza di coliformi totali, streptococchi fecali e della Dinophyta ceratium hirundinella, la cosiddetta alga rossa, «la cui fioritura è certamente singolare - sostiene Giampiero D’Ecclesiis, geologo esperto in idrogeologia - in quanto avvenuta in un bacino artificiale in un periodo molto lontano dalla magra (inizi di maggio), con acque ossigenate per recente apporto fluviale». Una contaminazione di fronte alla quale la risposta degli enti competenti al monitoraggio regionale è stata rassicurante, mentre già nel 2001 Metapontum Agrobios, l’altro organo preposto ai controlli, parlò di come «i contaminanti nelle acque e, soprattutto, nei sedimenti dei siti di studio [...] confermano la presenza di zone di immissione laterale al fiume Agri, di scarichi inquinanti civili e industriali». I primi «non correttamente depurati».

Nei sedimenti veniva segnalata la presenza di Idrocarburi policiclici aromatici, parte di quei prodotti indesiderati dell’estrazione del petrolio. «La situazione in cui verte la diga del Pertusillo - continua Giampiero D’Ecclesiis - è emblematica di un rischio connesso alla presenza, nelle vicinanze, del centro olio Eni spa di Viggiano, inserito in un reticolo idrografico interamente esposto al rischio di inquinamento conseguente alle attività di ricerca e di coltivazione mineraria». Infatti, il perimetro dell’area è interessato dalla presenza a un chilometro in linea d’aria di ben 3 pozzi petroliferi di appronfondimento, a 4 chilometri di un pozzo di reiniezione di rifiuti petroliferi, e dalla possibilità di ospitarne un altro nel territorio di Grumento Nova con una capacità di smaltimento di un miliardo di metri cubi di rifiuti liquidi. «A tal proposito - denuncia Vito L’Erario dell’Organizzazione lucana ambientalista - chiedemmo alla Regione di conoscere le prescrizioni imposte dalla Valutazione d’impatto ambientale, i dati sulle quantità e qualità dei fluidi petroliferi effettivamente smaltiti, nonché quelli sulla microsismicità dell’area. Nel pozzo Costa Molina 2, ad esempio, vi sarebbero stati in passato cedimenti dell’incamiciatura che potrebbero aver provocato effetti negativi sulle falde idriche potabili, oggi risultate inquinate in vari punti delle aree di estrazione e negli invasi in cui è stato trovato il bario». Ed è proprio dalla presenza di bario, boro e coliformi fecali negli invasi del Pertusillo, della Camastra e di Monte Cotugno - denunciata da Maurizio Bolognetti, segretario dei Radicali lucani e dalle indagini condotte da Giuseppe Di Bello, tenente della polizia provinciale di Potenza - che intorno allo stato delle acque regionali comincia la bagarre. Rei di aver divulgato un documento sugli invasi che sarebbe stato coperto da segreto d’ufficio vengono denunciati per “diffusione di atti d’ufficio”. Il tenente Di Bello è stato sospeso dall’Amministrazione provinciale per due mesi.

Così l’alga rossa ha colpito proprio chi paradossalmente aveva rilevato l’inquinamento. Di fronte all’aver applicato i dettami della convenzione di Aarhus del 25 giugno 1998 - la quale prevede il dovere categorico di chiunque eserciti «funzioni pubbliche in materia ambientale» di raccogliere e divulgare qualsiasi informazione, in qualsiasi forma riguardi «lo stato della salute e sicurezza e delle condizioni di vita umane» - gli anticorpi regionali rispondono con le vie legali. Intanto, i fatti confermano non solo la presenza di una contaminazione, ma l’alto impatto per l’ambiente e la salute delle estrazioni petrolifere in Val d’Agri, l’assoluta mancanza e l’improvvisazione della rete di monitoraggio dell’Arpab ed il possibile cattivo funzionamento della depurazione sia degli scarichi civili sia di quelli industriali. Un sistema di depuratori che, come si apprende direttamente dal portale ufficiale di Acquedotto Lucano, rappresenta una delle maggiori criticità gestionali ereditate sin dal 2003. Uno stato “comatoso” di malfuzionamento e funzionalità - sul quale indaga la Procura di Lagonegro - che si sta rilevando nefasto per la tutela degli ecosistemi costieri, fluviali e lacuali in Basilicata. Alghe rosse permettendo.

fonte: http://www.terranews.it

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