venerdì 17 settembre 2010

Gli italiani che vivono gratis viaggio al mercato del no cost

fonte: forumambientalista 

di VERA SCHIAVAZZI

Barattare gli oggetti che non servono più, scambiarsi libri film e cd ma anche le case per le vacanze. Dormire in albergo offrendosi di cucinare per gli ospiti. Sono sempre di più gli italiani che hanno deciso di vivere, per quanto possibile, senza denaro. Vi spieghiamo come.


SI PUO’ VIVERE con un dollaro al giorno, come fanno in Africa e in Asia milioni di persone, oppure senza neanche quello, come fa orgogliosamente da sedici anni la tedesca Heidemarie Schwermer nella sua Dortmund. In Italia, l’avanguardia più organizzata di chi cerca di disintossicarsi dal denaro si concentra in una community, “zerorelativo”, che ha raccolto quasi 15.000 aderenti, che chiamano se stessi “barter”: si punta al baratto, allo swapping, ma anche allo scambio di servizi e di beni ai quali non si vuole attribuire un valore preciso. Vivere gratis, o comunque ottenere senza comprarle molte delle cose che servono per vivere e per divertirsi, è possibile. E non è detto che l’unica buona ragione per farlo sia una drammatica necessità. C’è chi è arrivato all’overdose da spreco dopo aver constatato ciò che si accumulava nei suoi armadi, chi non sopporta di veder buttare via cibo ancora buono, chi se la prende con i maghi della finanza e chi si è abituato a vivere limando ogni spesa e alla fine ha concluso che si può fare.

L’idea, del resto, ha solide radici filosofiche e religiose: non è un caso se Torino Spiritualità, la rassegna torinese che ogni autunno ripropone incontri e riflessioni, abbia quest’anno come titolo “Gratis. Il fascino delle nostre mani vuote” (dal 22 al 26 settembre). Tra gli ospiti, uno dei profeti della “vita senza”, Alberto Salza, antropologo e autore di “Niente. Come si vive quando manca tutto”. “Presto dovremo darci da fare per recuperare la condivisione e lasciar perdere il profitto – racconta Salza dall’Africa – Alcune frange evolute della nostra società occidentale lo stanno già facendo, ma a mio parere è tardi. Me ne sono convinto proprio osservando la povertà africana: si può vivere con meno di un dollaro a condizione di essere lasciati in pace. E dato che queste persone sono vive hanno storie di successo che andrebbero portate a esempio di vita. A noi occorre una secca variazione di paradigma: se il denaro non produce più lavoro, il lavoro deve produrre benessere”.
Pian piano, qualcuno comincia a provarci. Paolo Severi, Valeria Marigo, Gabriele Banorri e Daf, gruppo fondatore di zerorelativo, hanno la loro base vicino a Pesaro, da dove partono per fiere e mercatini. Ma, soprattutto, insegnano ai loro seguaci come scambiare su Internet, come si rende desiderabile un vecchio paio di sci, come si misura l’affidabilità di un dog sitter. E un po’ di filosofia: “Ogni cosa ha un valore che è diverso da quello del mercato. Usandola, scambiandola e riusandola ancora alleggeriamo il pianeta e non spendiamo”. Qualcosa del genere la fanno, a Torino, quelli di ManàManà, associazione attiva ormai da quattro anni che propone “giornate senza denaro” durante le quali ognuno porta in piazza quel che vuole.
A furia di esercitarsi, i torinesi sono giunti alla conclusione che il baratto è soltanto una tappa: “Il concetto di baratto può essere interpretato come una forma primitiva di commercio – dice il presidente di manàManà, Filippo Dionisio, che nella vita fa il consulente del lavoro e nel suo tempo libero il “militante del gratuito” – mentre quel che ci interessa è svincolare gli oggetti e i beni dal loro “prezzo”. Quanto vale un’ora di favole raccontate ai bambini, o poter conservare un terrazzo fiorito per una persona anziana? Dipende da chi offre e da chi riceve”. Ora l’associazione ha prodotto un “kit” a disposizione di chiunque voglia organizzare eventi “senza moneta”, mentre il Comune di Torino, che ha sostenuto fin qui le giornate del baratto, le esporterà nei quartieri periferici, con l’idea di far uscire l’esperimento dalla “nicchia” del centro storico. In novembre, toccherà ai bed & breakfast italiani: decine di loro hanno aderito alla settimana del baratto, che ha il suo epicentro a Bosa, in Sardegna, dove è nata l’idea. Si viene ospitati in cambio di ciò che si sa fare, dalla cucina alla musica, dalle decorazioni alle conserve (www. settimanadelbaratto. it). Il Baratto Wine Day, invece, è nato a Genova e ora sta contagiando la Toscana e estendendosi ai produttori d’olio: ognuno porta le sue bottiglie e le scambia, seguono commenti e consigli online.
Scambiare bottiglie, fumetti o vestiti alla Sex and the City, tuttavia, è relativamente facile. Ma che succede quando ciò di cui hai bisogno è un avvocato, o peggio un veterinario? Le cose si complicano, perché la legge italiana dissuade fortemente i professionisti dal lavorare gratis: “L’Ordine ci tollera, perché ci dedichiamo a persone come gli immigrati o i senzatetto che non si rivolgerebbero a un altro legale. Ma se promuovessimo apertamente il lavoro gratuito potremmo essere accusati di concorrenza sleale – spiega Antonio Mumolo, presidente di Avvocato di Strada, che nel 2009 ha assistito senza parcella 2072 persone a Bologna e nelle altre sedi italiane – Lavoriamo ai margini, ma intanto crescono gli italiani che si rivolgono a noi, nel 2009 sono stati 178″. Per i professionisti, dal dentista all’architetto, è per ora più facile scambiarsi favori tra pari, o lavorare nel volontariato. “Ma una nuova norma che favorisca il “pro bono”, come negli Stati Uniti, consentendo a qualunque studio di dedicare gratis una parte del suo tempo a cause sociali che reputa interessanti sarebbe urgente”, commenta Mumolo.
Riportare il denaro al suo valore “relativo”, uno tra i tanti, pur senza poterlo o volerlo eliminare, è invece l’obiettivo di un gruppo di intellettuali che ha in Florence Noiville, economista “pentita” e giornalista a Le Monde uno dei suoi esponenti più autorevoli. E’ stata lei, col suo “Ho studiato economia e me ne pento”, a dare il via a una riflessione che ha scosso le business school francesi: “È da loro – dice Noiville – che dovrebbe arrivare un ripensamento. Mettere il denaro al primo posto delle nostre vite è stupido, ma è anche rischioso, mentre esperimenti come il microcredito non sarebbero mai nati se chi li ha lanciati avesse studiato in una business school!”. Cristina Gabetti, giornalista torinese e americana, persegue lo stesso filone, che l’ha portata prima a scrivere “Tentativi di Eco Condotta” e ora a rivolgersi soprattutto ai bambini con corsi e manuali per “consumare meno e vivere meglio”: “La fatica più grande è all’inizio, come in un training sportivo. Metti via il cibo avanzato e anziché usare metri di pellicola lo proteggi con un piatto rovesciato, che non costa nulla. Non usi detersivo quando non serve. E pian piano smetti di sentirti un “maniaco” e capisci che questa è l’unica strada da indicare anche ai tuoi figli”. In Germania, Heidemarie Schwermer è più radicale: “Quando ho iniziato era un esperimento, vivere senza denaro per un anno. Ne sono passati 14 e continuo ancora. Il mio prossimo libro si intitola “Vivere senza denaro e con pienezza”, e spiega come riesco non soltanto a mangiare e a vestirmi ma anche a leggere o a vedere i film che mi interessano, offrendo in cambio i miei servizi. Capisco che sia più difficile per una famiglia o un’intera collettività. Ma non impossibile”.
Anche le imprese possono farlo, e lo scambio gratuito può diventare modello, sostiene Mark Anspach, antropologo californiano ma bolognese d’adozione, autore di “A buon rendere”: “Su “Eticambio”, il sito che trovo più interessante, si attribuiscono ai beni da scambiare simbolici “gettoni”, proprio per sganciarsi dal valore monetario. La International Reciprocal Trade Association è una rete con base americana di aziende che scambiano merci con altre, ma è la Svizzera il paese in cui la pratica è più radicata grazie alla Wir (“noi”, in tedesco), una banca importante fondata fin dagli anni Trenta proprio per rispondere alla crisi”. E Andrea Segré, presidente del Last Minute Market italiano (che a Torino organizzerà una cena in piazza per mille persone utilizzando cibo di recupero) conclude: “Il mercato che inquina e spreca ha in sé la sua medicina, il dono. Una pratica che, tra l’altro, crea relazioni positive e durature di debito e credito.

2 commenti:

  1. ma......è meraviglioso, un sogno, che bello Anch'io seguo da anni questa idea, presa in giro da molti, non sapevo fosse una rete così grande e orgasizzata. Anche sul lavoro ho fatto un piccolo progetto, sono così felice di leggere queste cose. Contattattemi, ditemi di ptofilio siti sul genere, grazie!

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  2. Ciao Marina, ti passo il link di ZeroRelativo, il mercatino on line http://www.zerorelativo.it/
    Inoltre ti do il link relativo al loro blog http://www.zerorelativo.it/blog/
    dove troverai tutte le indicazioni che ti servono per contattarli.

    Un abbraccio
    Namastè

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