venerdì 17 settembre 2010

Il business dei bambini


Tra il 2006 e il 2009 le famiglie americane hanno adottato oltre 2.200 vietnamiti Due anni fa gli Stati Uniti bloccarono le adozioni dal Paese del sud-est asiatico. Un’indagine di ‘Foreign Policy’ (uscita in Agosto 2010) spiega le ragioni e i retroscena di questa decisione

- Il caso di alcune famiglie statunitensi che avevano adottato un bambino vietnamita e si erano viste negare il permesso d’ingresso dei piccoli negli Stati Uniti, rimbalzò sui media alla fine del 2007.

Dietro le ermetiche spiegazioni degli uffici del dipartimento dell’Immigrazione (Uscis) c’era il fondato sospetto che le adozioni in Vietnam fossero un lucroso business per agenzie, orfanotrofi, ospedali, personale medico ed esponenti delle istituzioni senza scrupoli, che si erano spinti fino alla sottrazione illecita dei neonati alle madri naturali. L’Uscis, dopo una serie di indagini, osteggiate anche dai funzionari pubblici, nel 2008 decise di non rinnovare l’accordo sulle adozioni con il governo di Hanoi siglato tre anni prima, anche se a discapito dei veri orfani.

    I documenti del dipartimento, pubblicati su ‘Foreign Policy’, rivelano che l’ambasciata Usa nel Paese del sud-est asiatico aveva scoperto un vero e proprio mercato di neonati. Case famiglia che offrivano supporto medico e denaro alle donne in cambio dell’impegno a rinunciare al bambino che portavano in grembo.

 È accaduto anche che i neonati siano stati sottratti alle madri con la falsa promessa che sarebbero stati dati in affidamento fino al compimento di undici anni. È citato il caso di un ospedale che aveva rifiutato di dare i figli appena nati ai genitori se non avessero saldato le spese mediche. Quando questo non avveniva i piccoli erano dichiarati “adottabili”, sebbene i familiari ne fossero all’oscuro. Il 75 per cento dei genitori ascoltati dai funzionari del consolato statunitense dissero di aver ricevuto soldi extra da un orfanotrofio per affidargli i figli.    

    L’ambasciatore Usa ad Hanoi, Michael Michalak, nel 2008 scrisse di essere molto preoccupato per la diffusione del fenomeno: “Gente senza scrupoli ha trasformato i bambini in merce e i funzionari locali coprono questi traffici. Il miracoloso arrivo di 30 neonati al Center 1 per le adozioni internazionali nei cinque mesi successivi all’apertura della struttura non è un caso isolato”.

    Già negli anni Novanta l’amministrazione statunitense aveva rilevato la corruzione dietro le adozioni in Vietnam. Tra il 1990 e il 2000 gli occidentali adottavano migliaia di bambini vietnamiti l’anno, molti dei quali erano stati comprati o addirittura rapiti. Sotto la pressione internazionale, il governo di Hanoi perseguì gli autori dei crimini e, alla luce di tali sforzi, nel 2005 gli Usa siglarono l’accordo. Ma appena aumentò la domanda di adozioni, aumentarono i casi sospetti di abbandono di neonati negli orfanotrofi che lavoravano con le agenzie per le adozioni internazionali.  

    Ritenendo che la soluzione del problema fosse nelle mani del governo vietnamita, l’Uscis ha optato per il blocco delle adozioni. Ma il business dei bambini, che fa leva sulla disperazione e la paura delle famiglie di origine e sul desiderio di maternità e paternità delle famiglie che vogliono adottarli, tocca anche altri Paesi, in particolare il Nepal e l’Etiopia che, come il Vietnam, non hanno sottoscritto la Convenzione di Hague sulle adozioni internazionali. (NTNN)

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