lunedì 8 novembre 2010

Un caffè con Serge Latouche

fonte:www.tarantosociale.org
Memorie di un dialogo con Serge Latouche, in un pomeriggio parigino di pioggia fine, tra mito della caverna e sogno di decrescita
8 novembre 2010 - Pierangela Fontana
 Ore 14. Appuntamento al Café du Métro, quinto arrondissement, con Serge Latouche, padre del pensiero della decrescita.
“Ah, così lei è tarantina dunque! Ci sono dei bei versi di André Chénier dedicati ad una giovane tarantina, sa? “, e declama :« Elle est au sein des flots, la jeune tarentine. Son beau corps a roulé sous la vague marine…»
Ahia: triste presagio?! - mi dico- e sperando di non essere destinate, tutte noi tarantine, alla fine patetica della bell’eroina non mi soffermo, “Si, lo so, e lei sa che c’è anche una meravigliosa scultura al Museo D’Orsay dedicata alla giovane tarantina, vero?”. E conveniamo sull’autentica bellezza dell'opera neoclassica.
Ho chiesto al professor Latouche di incontrarci prima che partisse per Taranto, per avere una conversazione amichevole, curiosa anche di sapere se conoscesse un po’ il contesto e per sapere di cosa esattamente avrebbe parlato nella mia città. Lui mi dice di esser stato più volte in Puglia ma di non aver mai visitato veramente Taranto. “Perché è troppo lontana da Bari”. Io lo correggo subito. “Ma no: le assicuro che non è affatto lontana, è solo molto mal collegata. Viviamo un problema di continui tagli dei trasporti pubblici; per noi ecologisti, in particolare ciclisti, è una violenza subita”. Una delle tante.
E siccome non conosce molto della mia città, gliela racconto in breve: “Professore, la situazione attuale è semplice: siamo agli antipodi della decrescita felice”.
A Taranto, gli indicatori di benessere alternativi (condizioni di lavoro, salute, aria, alimentazione, habitat, spazi verdi, luoghi pubblici di cultura e di svago) sono sotto zero. Ma, ad esser sinceri, anche gli indicatori economici tradizionali sono al limite dell’infelicità, e con essi mercato del lavoro e sistema delle imprese. “C’è qualcosa che non va, professore”, e forse il problema è proprio quello di una crescita inutile e dannosa. “La crescita è sempre inutile e dannosa” incalza lui. Si, nel nostro caso sembra più che mai.
Finora ci hanno, e ci siamo imposti, di continuare a subire questo modello di sviluppo economico vetusto e in fase terminale. Siamo un po’ carnefici di noi stessi e un po’ servi volontari. E nessuno è realmente innocente. Preferiamo la certezza presente di un inferno possibile all’incertezza futura di un paradiso perduto. Taranto rappresenta un po’ il platonico mito della caverna. Solo che ormai in molti abbiamo visto la luce del sole, fuori, e non ne possiamo più di vivere in quest’oscurantismo.
“Beh, sembra perfetto, - mi dice- sono stato invitato a parlare del mio libro, quindi ovviamente parlerò della scommessa della decrescita. Allora andrò a disseminare qualche piccolo seme di conoscenza sperando che il terreno sia fertile”.
Si, benissimo! Ma vede, professore, parlare della scommessa della decrescita serena in una città che da anni vive una (finta) crescita infelice è una vera e propria sfida politica. E quindi bisogna rivolgersi direttamente agli attori politici. Perché noi, platea di cittadini ed associazioni, la decrescita la vogliamo da tempo, eccome! Ma per ora la possiamo solo sognare. O urlare.
Per fortuna, deve sapere che le associazioni del territorio sono fantastiche, un’alta marea irrefrenabile. Guerrieri che si battono come delle fiere; studiosi che propongono soluzioni alternative ad un’economia castrante; chiedono che sia la popolazione a decidere sul proprio futuro; esigono un registro dei tumori; sviluppano analisi private per verificare lo stato di contaminazione delle acque, della terra, degli animali. Perfino del latte materno. “Ci rendiamo conto? E Lei che scrive nel suo libro che la ricchezza di un uomo inizia dal seno materno e finisce con la mano dell’infermiere che lo cura…Noi siamo allora molto poveri, caro professore”.
La cosa peggiore è che neanche il diritto riesce a trovare applicazione. Si confezionano perfino leggi e poteri che, anziché aiutare a salvaguardare i diritti fondamentali ci condannano ad una morte lenta, silenziosa. Non c’è nulla e nessuno politicamente che abbia davvero il coraggio e la voglia di tutelarci fino in fondo.
Quindi non ci resta che continuare a lottare. Solo con la lotta, la disobbedienza civile e le denunce si otterranno risultati importanti. Per esempio, che non si perdano i diritti di risarcimento per danni ambientali o per danni alla salute. O che si effettui un’indagine epidemiologica per verificare lo stato di salute dei tarantini, come hanno chiesto ultimamente i Verdi.
E’ fondamentale questo accertamento, tutto parte da qui: dal riconoscimento di un danno e dal suo risarcimento, lo dice anche Lei nel suo saggio. Un risarcimento che farebbe bene anche alle casse della città, che si dice siano sempre in bancarotta. “Ah, questo non lo sapevo!” si sorprende “Bancarotta, inquinamento, siderurgia, raffineria, inceneritori, avete proprio tutto allora!”, “Si non ci facciamo mancare nulla del peggio”. Asserisco, vergognandomi profondamente.
“Lei – continuo- dice che il principio di una svolta giusta sarebbe cominciare a far pagare, semplicemente, il costo dell'impatto ambientale”. “Vero- mi dice lui- è il programma con cui mi ero presentato alla presidenza francese. Ma Lei lo sa, siamo tutti certi che i politici con un simile programma provocatorio sanno di non poter rispettarlo a meno di essere assassinati il giorno dopo. E nessuno vuole essere martire!”.
Si. Ma neanche noi però vogliamo esserlo all’infinito, e non è giusto che a pagare le conseguenze siano sempre e solo gli inquinati, e mai gli inquinatori. Dobbiamo avere il coraggio di convincerci tutti che è necessario liberarci dal gran ricatto: il pugno di benefici economici che riceviamo non vale il costo pazzesco che sosteniamo in termini di perdita di natura, cultura e salute e di mancato guadagno a livello sociale e ambientale.
Per questo allora, professore, se mi permette, lei deve andare a Taranto a seminare come un giardiniere con tanta pazienza. Perché qui il terreno è molto fertile. Taranto è un perfetto laboratorio del dopo-sviluppo, e proprio da qui si può provare a sperimentare l’applicazione del suo modello delle 8 R: rivalutare, ridefinire, ristrutturare, rilocalizzare, ridistribuire, ridurre, riutilizzare, riciclare. Ecco, io voglio coniare una nuova R per Taranto : Rinascimento. Noi vogliamo rinascere.
E il cambiamento, come dice lei, per essere tale dovrà essere radicale: perché qualsiasi compromesso sarà ancora una volta una compromissione. Perché finché non si esce da questo sistema di disvalori che ci autodistrugge non ci sarà spazio per la realizzazione di economie di decrescita. Perché se non si parte dal rispetto del sacrosanto dogma del “chi inquina paga”, il pensiero ecologico non fiorirà mai, a nessun livello.
Latouche è una persona amabile, disponibile e affascinante, non posso fare a meno di permettermi di scherzare con lui e osare.

Gli prometto, nel mio idealismo visionario, che il giorno in cui Taranto vivrà la sua decrescita, gli daremo la cittadinanza onoraria. Per quel tempo, allora, la meravigliosa sede dell’Università della città vecchia sarà aperta, e quindi lo insigniremo anche del titolo di professore emerito, ospitandolo per le sue preziose conferenze in un bel residence studentesco del borgo ristrutturato. Ovviamente, gli regaleremo una bicicletta, per poter girare per le strade di un centro storico finalmente nobilitato, dove regna l’obbligo della zona pedonale e la raccolta differenziata. Ed a partire dal quale potrà, con una pista ciclabile, circumnavigare il Mar Piccolo, le cui immagini lagunari stimoleranno ancor più la sua profonda riflessione filosofica.
Non è un sogno ad occhi aperti. L’alternativa alla catastrofe è la strada della decrescita, un sentiero piccolo piccolo che cattura il mio sguardo e mi invita a percorrerlo. Ed io ho troppa voglia di camminare. Da subito.
Note:
per tutti gli approfondimenti sul pensiero e sul movimento della decrescita : www.decrescita.it

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