mercoledì 8 settembre 2010

Il bavaglio della censura sulla Diga delle Tre Gole



Annalena Di Giovanni

CINA.
Nel suo libro aveva dato voce alle vittime dei disastri ambientali causati dalla centrale idroelettrica sul fiume Yangtze. Ora il giornalista Xie Chaoping è finito dietro alle sbarre, accusato di attività commerciali illegali.

Si chiama Xie Chaoping e la prima vittima il giornalista incarcerato ieri in Cina. Aveva scritto – e distribuito in oltre diecimila copie – un libro sulla tragedia della popolazione cinese colpita dalla costruzione della Diga delle Tre Gole sul fiume Yang Tze, il più grosso impianto idroelettrico al mondo. Da ieri Chaoping è sotto arresto, oltretutto senza che alla famiglia sia ancora stato notificato alcunché. Imbrigliare il grande Fiume Azzurro per la Repubblica cinese è stata una questione di prestigio, di quelle che vanno realizzate a tutti I costi. Ma Chaoping aveva dato voce alle vittime della febbre della turbina, raccontando di come, a colpi di dinamite, l’ambizione di trasformare la Valle delle Tre Gole nella più grande diga idroelettrica al mondo aveva spazzato via 14 città, 1350 villaggi, disperdendo in giro per la Cina più di un milione di persone e condannando chi è rimasto alle malattie e gli sconvolgimenti climatici provocati dai flussi e riflussi delle acque nelle centraline. Qualcosa di cui non parlare. Soprattutto ora che la diga è finita una volta per tutte.
E non certo per le violazioni dei diritti umani contro gli abitanti della valle, le emissioni, tantomeno per lo scempio contro flora e fauna, a cominciare dalla voluta estinzione del delfino d’acqua dolce e lo storione dello Yang Tze. Il fatto è che 15 anni dopo l’inizio del progetto, la diga delle Tre Gole per Pechino è uno scheletro nell’armadio. La verità è che, per ora, le turbine della diga soltanto una volta, per un solo giorno, sono riuscite a sfiorare il proprio massimo di produzione elettrica: 9mila megawatt, cioè l’esatta metà di quello che avrebbe dovuto essere la produzione giornaliera. Troppo poco, per gli 88 miliardi di dollari che la diga ha finito col costare. A valle, il delta dello Yang Tze si avvia rapido verso la desertificazione, bruciando per sempre migliaia di ettari di coltivazioni e tradizioni secolari. A monte, dove la diga si incunea, lo scempio è pari soltanto alle dimensioni della diga: il gigante di ingegneria ha finito con l’accumulare entro il bacino artificiale tutti i detrititi di industrie e miniere che scaricano lungo lo Yang Tze, Al punto che la crosta di rifiuti, sulla superficie del lago, è talmente spessa da poterci camminare sopra. Per non parlare dei disastri a venire. Si sono già verificate le prime frane lungo il fiume, e l’allarme inondazioni rimane altissimo. A far paura sono I risultati di decine di studi indipendenti sui cosiddetti “sismi indotti”: l’improvvisa pressione sulla crosta continentale da parte di un gigantesco lago che madre natura non aveva previsto richiederà numerose scosse di assestamento. E a quel punto ci sarà soltanto da sperare che I terremoti a venire non spezzino l’armatura di quei 175 metri di pareti artificiali che hanno trasformato il leggendario Fiume Azzurro in un lago di rifiuti.

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