giovedì 2 settembre 2010

Iraq: poche luci e molte ombre

(Foto: © Sciclinews)

fonte: http://www.unimondo.org
Nel giorno che sancisce ufficialmente la fine della guerra in Iraq, il presidente Obama ringrazia tutti i militari statunitensi. Per Obama, che ha ricevuto suo malgrado il fardello di due guerre in corso, “l'impegno dei soldati ha reso l'America più sicura ed ha aperto la strada alla democrazia a Baghdad”.
Non sono certo che il Premio Nobel per la Pace sia realmente convinto di quest’affermazione pronunciata a denti stretti ed occhi socchiusi in una stanza spoglia, priva di bandiere ma la sua preoccupazione, ora, è altrove: la via d’uscita anche dall’Afghanistan ove, mentre scrivo, sette giovani soldati americani hanno trovato la morte.
Ma cosa resta dopo una guerra? Forse alcuni dati ci aiutano a meglio comprendere l’Iraq. Secondo le Nazioni Unite il 23% della popolazione irachena vive, oggi, al di sotto della soglia di povertà (2,2 dollari al giorno a persona). Nei primi tre mesi del 2010 l’offerta di elettricità è stata superiore del 7% rispetto al trimestre precedente e del 14% rispetto allo stesso periodo del 2009. Lo riporta un rapporto di aprile dell’Ispettore speciale Usa per la ricostruzione in Iraq. La produzione di elettricità è rimasta però al di sotto del record toccato tra il luglio e il settembre 2009. Quanto alle condizioni igieniche siamo all’emergenza sanitaria: meno del 70% della popolazione residente fuori Baghdad riceve acqua potabile e la percentuale scende al 48% nelle aree rurali del paese. Ciò sta creando un flusso inverso città campagna.
I dati sulle violenze. Nonostante siano notevolmente diminuiti gli attentati nel ...
paese negli ultimi due anni e mezzo, che coincide con il metà mandato di Obama, nel corso del 2009 sono morti in Iraq a causa di violenze 4.645 civili. Nel 2008 erano stati quasi il doppio. Nei primi quattro mesi del 2010, stando ai dati dell’Iraq Body Count, sono morti 1.010 civili.
Se guardiamo il grafico del numero dei più di 106.000 civili morti ammazzati dall’inizio guerra vedremo che nel biennio 2006-2007, all’indomani dell’impiccagione di Saddam Hussein, v’è stato il triste apice. L’esecuzione fu un errore imperdonabile che ha scatenato una violenza senza precedenti.
Infine, l'occupazione lavorativa può darci il polso sulla sicurezza. Il numero degli iracheni impiegati nel settore pubblico è raddoppiato dal 2005. L’amministrazione pubblica fornisce attualmente il 43% di tutti i posti di lavoro nel Paese e il 60% dei posti a tempo pieno. Ingenti aiuti esterni vanno a rafforzare il settore pubblico mentre il privato non ha la sicurezza sufficiente per decollare, aprire, assumere. Attende tempi migliori al pari degli investitori esteri.
L’unico dato veramente in controtendenza sono le comunicazioni. Dal 2003 è aumentato sensibilmente anche il numero di abbonamenti di telefonia fissa (si contano ora 1,2 milioni di contratti) e mobile (19,5 milioni). Ci sono anche 1,6 milioni di abbonamenti per Internet, contro i 4.600 precedenti all’invasione americana. Ciò ha peraltro creato un problema ad entrambi i sistemi informativi di regime in quanto le informazioni “scomode” bypassavano le rispettive censure sempre via web.
Attenendoci alle statistiche che rilevano solo il dato quantitativo l’Iraq è, oggi, un paese leggermente più sicuro del 2003 ma con due incognite: la debolezza del governo in carica e l’insicurezza.
Il premier iracheno, salutando i soldati Usa al termine della loro missione, ha detto che da oggi “l'Iraq è sovrano e indipendente. Le nostre forze di sicurezza ora possono affrontare tutte le minacce, sia quelle interne che quelle provenienti dall'esterno”. Ha parlato anch’egli a denti stretti e senza guardare in faccia le telecamere. Sembrava pensare l’esatto contrario.
L’aver affermato da parte della Casa Bianca: “abbiamo aperto una strada alla democrazia” è aver osato un po’ troppo in quanto, questi tristi ed interminabili anni, c’hanno insegnato, lo spero, che non esistono né “guerre lampo” e né “esportatori di democrazia” ma solo interminabili tentativi di dialogo, nonviolente relazioni diplomatiche ed un’incessante cooperazione internazionale. Cose che dovranno sostituire, quanto prima, l’ultima brigata da combattimento.
A tal proposito l’alluvionato Pakistan potrebbe essere un “nuovo campo di battaglia” ove l’occidente potrebbe sperimentare nuove relazioni internazionali. Dovrebbe aiutare il paese a rialzarsi prima e più dei talebani. Magari assieme ad essi.
Fabio Pipinato
(direttore di Unimondo)

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