sabato 11 settembre 2010

La memoria infuocata


Susan Dabbous
11 SETTEMBRE. Alla fine rinuncia di nuovo: il reverendo Jones non brucerà il Corano. Ha già cambiato idea due volte in 48 ore. Intanto in Afghanistan muore un manifestante durante la protesta anti Usa scatenata.

Alla fine sembra aver deciso di rinunciare di nuovo al rogo del Corano. Gli Stati Uniti restano, però, con fiato sospeso. Il reverendo Terry Jones si è aggiudicato ormai il primato dell’aspirante piromane più potente del mondo. Nelle ultime 48 ore ha annunciato e ritirato, per due volte, l’intenzione di dare alle fiamme il testo sacro per i musulmani nella giornata di oggi, 11 settembre, nono anniversario dell’attacco alle Torri gemelle. I suoi proclami fanatici, al di là dell’attuazione, hanno già prodotto conseguenze drammatiche: un manifestante è stato ucciso con un colpo d’arma da fuoco durante una protesta contro il rogo dei Corani, davanti a una base Nato nel nord dell’Afghanistan.
 
Ad aggravare la tensione, poi, la ricorrenza dell’Eid, festività islamica iniziata ieri con la fine del mese di Ramadan. In questi giorni di festa (in cui nei Paesi a maggioranza musulmana non si lavora) saranno molte le persone che potrebbero avere il tempo e la voglia di scendere in piazza a manifestare più o meno violentemente il proprio disappunto.
A quanto sembra, però, non ce ne sarà bisogno perché a bloccare il reverendo della Florida si sono impegnati tutti, dal presidente Barack Obama al segretario della Difesa Robert Gates, passando per la Conferenza episcopale che ieri ha fatto sapere da Roma che bruciare il corano «sarebbe un atto nazista».
 
E sono numerose anche le voci di religiosi musulmani che invitano al dialogo, scongiurando reazioni estremiste, come accadde all’indomani della pubblicazione in Danimarca delle vignette offensive sul profeta Maometto. La Casa Bianca è davvero preoccupata:  a dare del filo da torcere ai soldati americani in Afghanistan non servono certo oscuri religiosi cristiani infuocati da spirito antislamico; i militari, purtroppo, ci pensano da loro. Come dimostra l’inchiesta del quotidiano britannico Guardian sui 5 soldati Usa che si divertivano a uccidere civili “per sport” e ne collezionavano le dita come trofei.
 
In Afghanistan la tensione è tale che ieri anche il presidente Hamid Karzai ha dovuto prendere parola per dire qualcosa contro gli alleati e placare l’animo offeso dei suoi connazionali. «Il reverendo Jones – ha detto - non dovrebbe neanche pensare di dare alle fiamme il Corano». Eppure a suo dire ne ha tutto il diritto. Non solo, molti americani, come Jones, si sentono ancora “under attack”, proprio come in quell’11 settembre del 2001. La causa scatenante della crociata del religioso, ex agente immobiliare, alla fine, si è scoperta essere la moschea di Manhattan, ritenuta “offensiva” per la sua vicinanza a Ground Zero. Un luogo di culto “benedetto” da Obama.
 
Negli Usa però a prevalere è sempre la legge della domanda e dell’offerta. Per questo Jones si è alleato con rappresentanti religiosi e imprenditori per far comprare lo spazio all’immobiliarista newyorchese Donald Trump, che pare abbia offerto 6 milioni di dollari (prezzo superiore a quello di mercato) per il palazzo destinato alla moschea. Dopo la smentita del centro islamico newyorchese, ieri, Jones è andato su tutte le furie riannunciando il rogo, poi smentito. Oggi chissà.  

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