sabato 2 aprile 2011

Royalty agli indios sulle patate. Storica sentenza dell’Onu

Paolo Tosatti

RISORSE. Il tribunale per la proprietà intellettuale delle Nazioni Unite ha riconosciuto che i tuberi «sono una creazione indigena». L’1% dei profitti spetta agli autoctoni sudamericani.

L'un per cento dei profitti ricavati dalla vendita delle patate in tutto il mondo spetta agli indios sudamericani, che grazie alla loro brillante inventiva hanno regalato al mondo un dono prezioso e di impareggiabile valore come il più famoso dei tuberi commestibili. A stabilirlo è una storica sentenza del Tribunale per la proprietà intellettuale delle Nazioni unite, che ha deciso l’istituzione della royalty sostenendo che si tratta di una «forma di riconoscimento del fatto che le patate così come le conosciamo oggi, sono a tutti gli effetti una creazione indigena». Per bocca del suo presidente, Desirèe Pourée, la corte ha riconosciuto che i primi ad aver coltivato questi tuberi sono stati i popoli autoctoni del Perù, che iniziarono a dedicarsi a questa attività tra il 3.000 e il 2.000 avanti Cristo.


«I nativi dell’America Latina sono gli artefici di un prodotto che occupa oggi il quarto posto fra le coltivazioni mondiali dopo mais, frumento e riso», ha sottolineato il giudice. «Riteniamo che sia doveroso riconoscere finalmente il debito che il mondo intero ha contratto nei loro confronti». Questa sentenza del tribunale dell’Onu segna un’importante vittoria per la proprietà intellettuale indigena, costantemente minacciata negli ultimi vent’anni dalle pretese delle grandi multinazionali. Dopo che negli anni Ottanta venne brevettato negli Stati Uniti il primo organismo geneticamente modificato, compagnie come la Monsanto, la Syngenta e la Dupont hanno sempre fatto a gara per accaparrarsi i diritti collegati alla proprietà intellettuale di vegetali, cibi, semi e coltivazioni prodotti in modo tradizionale dalle popolazioni autoctone di diverse regioni del pianeta.

Il caso più celebre è probabilmente quello del riso basmati, che la ditta texana RiceTec riuscì a brevettare con un escamotage nel 1997. Accanto a questo se ne potrebbero citare però altre decine, come la richiesta avanzata due anni fa dalla Monsanto di brevettare la carne proveniente da maiali alimentati con mangimi geneticamente modificati, per i quali multinazionale detiene già un brevetto. Il South american native tribes executive, che aveva portato il caso delle patate davanti al tribunale delle Nazioni unite, ha commentato la notizia definendola «una conquista straordinaria».

«Con le royalty che riceveremo sulle patate potremo ricomprarci parte delle terre che allevatori, taglialegna e compagnie petrolifere ci hanno sottratto», ha spiegato Jorge Papas, direttore dell’organizzazione. Il reddito annuo che la vendita delle patate porterà agli indigeni è stimato in circa 200 milioni di dollari. Oltre che per rientrare in possesso delle proprie terre, ha dichiarato Papas, i proventi saranno utilizzati per pubblicare un manuale sulla coltivazione delle patate e alcuni libri di ricette per aiutare i commercianti sfrattati dall’Amazzonia a divenire autosufficienti.

4 commenti:

  1. Che nn sia un'altro modo per assoggettare e annullare la cultura indigena?L'uno per cento di tutto quello che viene venduto nel mondo nn deve essere poco....

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  2. @ Anonimo: non so se l'inserimento di una logica, comunque sbagliata, come quella del brevettare qualsiasi cosa possa corrompere la purezza indigena degli amerindi, non so nemmeno se l'afflusso di danaro sarà percepito, ma immagino che in qualche modo esso verrà ridistribuito, considerando le sane abitudini degli indigeni, ma trovo che se qualcuno deve avere una brevetto sulle patete questi siano loro.
    Abbraccio :-)
    Namastè

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  3. http://www.survival.it/notizie/7147

    mi sa che è uno scherzo

    ciao franz

    PS:i nomi erano strani Pourée (purè), Papas (patate), C'era "1 aprile 2011" in capo al comunicato.

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  4. Grazie Franz! Ero convinta di aver scansato i pesci d'aprile a sto' giro.
    ...e invece...;-D

    Ti abbraccio, a presto.
    Namastè

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