giovedì 16 settembre 2010

Un omicidio chiamato precariato


di Andrea Doi e Giulia Zanotti
Dovrebbero scriverlo sulle magliette, tatuarselo sulla pelle: "Attenzione, il precariato nuoce gravemente alla salute".
Come tanti pacchetti di sigarette. Già, perché come per il tabacco di precariato si muore.
La notizia di ieri, 14 settembre, del suicidio di Norman Zarcone, 27 anni, che si è buttato dalla finestra del settimo piano della Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università di Palermo non può lasciare indifferenti.
Sogni infranti che si schiantano al suolo, facendo un rumore sordo, simile a quello di un corpo che cade sull'asfalto. Un rumore che dovrebbe riecheggiare nelle orecchie di molti, soprattutto di quelle persone (dotti, politici e sapienti) che ogni giorno si riempiono la bocca di parole "belle tonde e ragionevoli". Le parole invece che oggi dovrebbero contare sono quelle del padre di Norman, che ha voluto raccontare chi era suo figlio e cosa lo turbava negli ultimi giorni.
«Si era laureato in filosofia della conoscenza e della comunicazione, con 110 e lode.
A dicembre si sarebbe concluso il dottorato di ricerca della durata di tre anni svolto senza alcuna borsa di studio. I docenti ai quali si era rivolto gli avevano detto che non avrebbe avuto futuro nell'ateneo. E io sono certo che saranno favoriti i soliti raccomandati». «Per guadagnare – ha aggiunto papà Claudio - 25 euro al giorno faceva saltuariamente il bagnino in un circolo nautico. Mi diceva che era anche un modo per imparare l'etica del lavoro».
La morte di Norman, la sua lettera disperata («La libertà di pensare e anche la libertà di morire. Mi attende una nuova scoperta anche se non potrò commentarla»), non è un campanello d'allarme: è l'ennesima prova che di precariato si muore!
Chi non muore si deprime, si chiude in se stesso. Quei giovani entrati in Facoltà come matricole che sognavano di costruirsi un futuro e una carriera ne escono scoraggiati, tristi, e arrabbiati. Vorrebbe scappare. Via dall'Italia. Lontano da un Paese incapace di dare, ma solo buono a ricevere, a sfruttare a gratis questi giovani. Dottorandi senza borsa, stagisti, persone che lavorano quotidianamente senza recepire un compenso, solo con la promessa che probabilmente un giorno "verrai ripagato". Ma quel giorno non arriva mai.
C'è chi crolla, c'è chi fugge, c'è chi, come Norman Zarcone impugna una penna, scrivere la sua rabbia e la sua delusione su di un foglio e poi si toglie la vita.
«... lasci un luogo e un tempo che non ti hanno mai meritato abbastanza...» così scrivono oggi gli amici di Norman in rete. Gli stessi colleghi di università che hanno deciso di organizzare un presidio in suo onore e urlare si il loro dolore, ma anche la loro rabbia contro questi sistema, che li sta uccidendo a uno a uno.
No, non chiamiamoli deboli, non diciamo oggi che questi ragazzi "portavano già dentro un disagio personale".
Il loro unico disagio è l'essere precari, contare nulla.
Di precariato, come detto, si muore, si viene uccisi.
E allora, come per ogni omicidio, che vengano giudicati e condannati i mandanti di questo delitto di Stato.

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