mercoledì 30 marzo 2011

Alimentazione, è allarme. Carne clonata nei piatti

da Terra
Giuliano Rosciarelli

UE. Dopo tre anni di confronti è fallita la procedura di conciliazione tra Consiglio e Parlamento. Quest’ultimo chiedeva un divieto, l’organismo dei capi di Stato e governo una parziale etichettatura.

Ci sono voluti tre anni ma alla fine gli stati membri dell’Unione europea hanno dovuto ammettere il fallimento delle trattative sulla nuova legislazione per i “novel food”. Così da oggi, sulle nostre tavole, potrà arrivare cibo proveniente da animali clonati senza che nessuna legislazione europea lo possa evitare. L’ultimo round di un confronto serrato, andato in scena ieri a Bruxelles e durato dodici ore, non è servito a ricomporre la frattura tra Consiglio europeo (formato da capi di Stato e di governo) e Parlamento (deputati eletti dai cittadini): il primo favorevole ad una maggiore deregulation, il secondo più propenso a regolamentare la diffusione di cibi provenienti da animali clonati, bovini ma anche latte, yogurt, formaggi e tanto altro.

«In assenza di un accordo - ha ammesso sconsolata la presidenza di turno ungherese - l’Ue resta con lo status quo». La delusione per l’esito negativo della procedura di conciliazione sta tutta dentro le parole di Gianni Pittella, vicepresidente vicario del Parlamento europeo e uomo incaricato di gestire la mediazione tra le due istituzioni: «Fino all’ultimo abbiamo cercato un compromesso, ma non si può chiedere al Parlamento europeo di tradire i diritti dei consumatori.
Quello che è successo - spiega - è che il Parlamento ha chiesto a maggioranza il divieto degli alimenti derivanti da animali clonati e dai loro discendenti o almeno la loro etichettatura per permettere ai consumatori una scelta responsabile. Eravamo anche disponibili a fare una cosa graduale, iniziando da un alimento e introducendo man mano tutti gli altri, ma nel Consiglio abbiamo trovato un muro. È semplicemente incomprensibile che il Consiglio, formato dagli stessi gruppi politici che compongono il Parlamento, non riesca a convenire sulla posizione del Parlamento».

Il Consiglio, dal canto suo, in una nota diffusa ieri durante la conferenza stampa ha spiegato invece che «voleva una soluzione che potesse essere attuata in pratica» accusando il Parlamento di incapacità nel trovare un compromesso sulla sua richiesta di etichettatura obbligatoria per i prodotti alimentari derivati ​​da progenie di animali clonati, indipendentemente dalla fattibilità tecnica e dalle implicazioni pratiche di tale obbligo di etichettatura». In sostanza, spiega ancora il Consiglio, i rappresentanti dei governi erano a favore dell’etichettatura di un solo tipo di prodotto, la carne bovina, e a fare uno studio nei prossimi anni. Una proposta risibile secondo il Parlamento in quanto la carne bovina rappresenta una percentuale minima (attualmente l’Ue importa 300mila tonnellate di bovini che rappresentano circa il 5% della produzione europea, pari a 8 milioni di tonnellate) del problema rappresentato invece da alimenti derivati come formaggi, yogurt e latte.

A far mancare la maggioranza qualificata (richiesta per la ratifica dell’accordo) sono stati Italia, Francia e Polonia (favorevoli ad una maggiore apertura ai “nuovi cibi”) contro Inghilterra, Svezia e Spagna più vicine alle posizioni del Parlamento. «Il Consiglio – accusa ancora Pittella - era ispirato più da motivi commerciali che da interessi legati alla tutela dei consumatori e che non tengono conto della volontà espressa dagli stessi cittadini europei, otto su dieci contrari ai cibi clonati». «Ci chiediamo – si domanda invece Fabrizio Fabbri, direttore scientifico della Fondazione diritti genetici - quali sarebbero i benefici reali per i consumatori. Gli animali clonati sono esposti più di altri a malattie e necessitano di trattamenti antibiotici a discapito del loro benessere complessivo. Aspettiamo ora la nuova proposta della Commissione sperando dia ascolto ai cittadini e non solo agli interessi delle industrie alimentari». «Ora - rimarca la Confederazione italiana degli agricoltori - si dovrà ricominciare tutto daccapo ma nel frattempo la commercializzazione di tali prodotti non è sottoposta ad alcuna regolamentazione».

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