lunedì 7 marzo 2011

La voglia di democrazia contagia l’Asia

tratto da:Unimondo.org

Durante i primi giorni della rivolta egiziana, il regime di Mubarak, nel vano tentativo di stroncare lo strumento privilegiato dei manifestanti, aveva bloccato la rete della telefonia cellulare e internet: come in seguito a un improvviso black out, il traffico in rete si era di colpo azzerato. Pochi giorni dopo, dall’altra parte del mondo, la censura cinese impediva di cercare sul web parole come “Egitto” o “gelsomini” per il timore di trovarsi di fronte a proteste di massa. Un’operazione che all’inizio era perfettamente riuscita ma che ora si rivela di difficile applicazione in quanto i social network sono capaci di metamorfosi repentine e inaspettate in grado di superare ogni divieto.
Molti si chiedono se le rivoluzioni in atto nel mondo arabo, che comunque hanno motivazioni specifiche inerenti alla storia e alla cultura di quei popoli, siano il preludio per analoghi movimenti in Asia, a cominciare proprio dalla Cina. È molto difficile prevedere l’evolversi della situazione, tuttavia interessanti ( anche se poco noti) eventi accaduti nelle ultime settimane in estremo oriente danno il segno di una possibile primavera.

Fattori economici fomentano le proteste. C’è il rischio di una nuova crisi alimentare in vari paesi africani e anche in Asia, connessa all’aumento del prezzo del riso dovuto a un livello di produzione e di offerta sul mercato, insufficienti per coprire la richiesta. Non siamo alla situazione del 2008, paesi esportatori come la Thailandia hanno aumentato a 9.5 milioni di tonnellate all’anno la sua produzione (il prezzo di riferimento nel 2010 era di 546 dollari a tonnellata) e anche i raccolti in India e nelle Filippine sono stati migliori delle aspettative. Ma una prolungata siccità in Cina e le inondazioni in Australia hanno fatto aumentare il costo del grano e quindi del riso, mentre paesi molto popolosi come l’Indonesia o il Bangladesh stanno rafforzando le loro scorte di cereali. Secondo l’Istituto internazionale di ricerca sul riso (IRRI) il prezzo base per evitare una crisi dovrebbe essere di 300 dollari alla tonnellata e la produzione di riso dovrebbe essere aumentata di altri 8-10 milioni di tonnellate all’anno.
È difficile stabilire l’effettiva correlazione tra i movimenti in Medio - Oriente e ciò che avviene in alcuni paesi asiatici. In certi casi sigle di gruppi protestatari si richiamano espressamente alle rivoluzioni arabe, mutuandone slogan, modalità di azione e obiettivi. Dal Vietnam sono giunte notizie, comunque frammentarie, di manifestazioni in varie città all’insegna della richiesta di maggiori libertà e della tutela dei diritti umani, in uno Stato dove governa un partito “comunista” di stampo cinese, quindi ideologicamente improntato a un capitalismo nazionalista. Durante le proteste, rimbalzate sulla rete internet (controllata in maniera capillare dalla polizia governativa), un uomo si è dato fuoco.
Dall’ennesima crisi alimentare nascono invece le proteste in Corea del nord, le prime che si ricordino da molti anni. Come noto la dittatura staliniana di Kim Jong Il non consente collegamento a internet (si stima che la connessione sia possibile soltanto all’1% della popolazione che possiede anche il cellulare) e il controllo della polizia segreta è implacabile: ma la disperazione del popolo è così diffusa da diventare incontenibile. Le richieste sono semplici: cibo e elettricità. La situazione è resa ancora più esplosiva per la prossima successione del “Caro leader” con il figlio Kim Jong Un, giudicato da tutti un folle militarista. Ma al di là delle carestie, delle provocazioni belliche della Corea del nord, dei ciclici venti di guerra la situazione rimarrà cristallizzata perché Stati Uniti e Cina, per ragioni diverse, preferiscono mantenere lo status quo. Tuttavia la lezione medio orientale sta arrivando anche a queste latitudini: la Corea del sud, per esempio, ha lanciato tre milioni di palloncini sul territorio dei “vicini” con l’avvertimento dell’ “inesorabile caduta dei regimi dittatoriali”.
Ma è in Cina che stanno avvenendo i movimenti più significativi a ridosso dell’apertura dell’Assemblea nazionale del popolo (Ncp, che si riunisce una volta all’anno, adesso il 6 marzo) e della Conferenza consultiva del popolo cinese (Cppcc nella sigla inglese): in quest’occasione verrà varato il nuovo piano quinquennale. L’orientamento della dirigenza cinese prevede una massiccia operazione di investimenti per “rendere felice” il popolo, sempre nel timore di possibili rivolte. Intanto fuori dai palazzi del potere alcuni gruppi di giovani chiedono libertà, ma la protesta è ovviamente repressa con la violenza. Ovunque però il mondo sembra andare in una direzione precisa, quella della richiesta sempre più pressante di democrazia e di diritti umani: un altro mondo sembra oggi più possibile di ieri.


http://www.unimondo.org/Notizie/La-voglia-di-democrazia-contagia-l-Asia

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