sabato 19 marzo 2011

Dacci oggi il nostro pancreas quotidiano


Avete letto bene e no, non è un errore di digitazione. Ebbene, in un mondo dove dio sempre più spesso non si presenta sottoforma di entità buona ed eterea ma di denaro sonante e interessi commerciali, pare che quasi tutto il pane quotidiano, in particolar modo quello prodotto dall'industria, contenga enzimi del pancreas di maiale. Non poteva che essere implicato il maiale perché “del maiale non si butta via niente” e gli avanzamenti prodigiosi della produzione possono mantenere attuale questo antico detto popolare. I vegani ormai sanno bene che in alcuni casi il pane potrebbe contenere strutto, ingrediente che viene regolarmente indicato sull’etichetta. Cosa che invece non succede per gli enzimi del pancreas di maiale che sono chiamati, con eleganza, “miglioratori” del pane. Tali enzimi, durante il procedimento di panificazione e cottura, vanno distrutti e non lasciando traccia apparente, o così si dice, non devono obbligatoriamente comparire in etichetta. Il produttore ha la facoltà di dichiararlo oppure no. Beh, quale produttore si sognerebbe mai di dichiarare che il proprio prodotto contiene enzimi del pancreas di maiale? Una cosa un po’ forte, anche per chi è “sausage-addicted” o patito di insaccati (e questo per la nostra nota dissonanza cognitiva per cui ci fanno più impressione naso e orecchie di maiale venduti come snack per cani che braciole ben tagliate e adagiate l’una sull’altra: ma questa è un’altra storia).
Torniamo alle pene del pane. Perché mai si utilizzano questi additivi? Il ritorno economico è la risposta jolly, quella che va sempre bene, ed è giusta. I panificatori ricorrono a tali sostanze perché permettono di dare omogeneità all’impasto, un po’ come succede per l’olio di palma, e garantirne la tenuta nel caso di brusche variazioni di umidità o temperatura e, quindi, in ultima istanza, per impedire che alcune produzioni, non riuscendo a regola d’arte, causino una perdita economica. Tali “stabilizzatori” vengono tra l'altro utilizzati spesso con farine di qualità inferiore, molto povere, iper-raffinate. Tagliate, oserei dire, visto che anche il colore non differisce da quello della cocaina. Questo per dare maggiore consistenza al prodotto finale e soddisfare i gusti del consumatore esigente. Difficile trovare i codici di queste sostanze (come FP 2000, FP 4000, FP 6000 plus) e i loro significati: gli stessi anche sui siti dei produttori vengono definiti con strani giri di parole. Per esempio, l’FP 2000 è definito come segue: miglioratore naturale senza emulsionanti, garantisce un buon sviluppo e una buona tolleranza alle variazioni delle condizioni di lavorazione, garantisce un ottimo rapporto qualità/prezzo, risultando perciò particolarmente indicato a un utilizzatore che ha la necessità di contenere i costi senza rinunciare alla qualità. Insomma, per capirci, il termine “pancreas di maiale” non viene quasi mai citato, in barba alla trasparenza.
E se da una parte questo può interessare molto da vicino i vegani perché una fonte inglese dichiara addirittura che il 90% del pane industriale conterrebbe i miglioratori del pane, dall'altra ciò non può lasciare indifferenti la maggior parte dei consumatori che dovrebbero finalmente chiedersi come mai l’industria abbia il vizio di utilizzare “pozioni magiche” nella produzione di cibi belli fuori e brutti dentro. E la storia non finisce qui perché, oltre agli enzimi del pancreas, nel pane (non so perché lo chiamino ancora così) albergano moltissimi altri additivi e sostanze la cui dannosità non è stata ancora verificata: grassi frazionati, emulsionanti, agenti anti-micotici e vari tipi di additivi chimici.
Come mai il dilagare di tanti disturbi che sfociano spesso in vere e proprie malattie? Dalle intolleranze alle allergie e via dicendo. Negli anni Ottanta un "brillantissimo" gruppo di studenti decise di sottoporre una popolazione di topi ad un esperimento per comprendere l’impatto degli additivi chimici alimentari sui comportamenti degli umani e scoprirono che i topi alimentati naturalmente erano più vigili ed equilibrati mentre quelli che venivano nutriti con “cibo spazzatura" presentavano disturbi del comportamento. Al di là della crudeltà di sottoporre inutilmente i topolini a tali sevizie, questa realtà possiamo verificarla coi nostri occhi e col nostro buon senso ogni giorno. Chi si nutre di cibi poco trasformati, biologici e naturali tende ad avere un livello energetico e un equlibrio psicofisico superiore a chi si riempe la bocca senza badare al nutrimento. Scelte consapevoli e responsabili non ci proteggono in senso assoluto perché non abbiamo la possibilità di controllare tutti i fattori che concorrono a rendere buono un cibo: l’aria e l’acqua stesse sono inquinate. Certamente però l’accozzaglia concentrata di ingredienti dannosi che è diventato oggi il pane sarebbe da evitare. Meglio prepararlo in casa con farine integrali se proprio non vi si può rinunciare. 

Onestamente un argomento così meriterebbe un’indagine approfondita per accedere ad informazioni riservate o nascoste, commissionando analisi alle Asl e conducendo interviste ai panificatori e agli esperti del settore, per chi ha il coraggio di parlare. Come tutte le verità scomode rimane ben celata e sicuramente non diffusa a dovere. Terrei a sottolineare che le fonti da cui alcuni blog hanno attinto (e da cui io ho attinto) sono oggi inesistenti ed oscurate: forse è una coincidenza, forse no. Un nuovo caso per la coraggiosa Milena Gabanelli oppure uno spunto per i consumatori dubbiosi per unire le forze e finanziare un giornalista allo sbaraglio!
Un sentito ringraziamento va a Marialaura Durigato che ci ha inviato la segnalazione su questo argomento poco conosciuto. Chi trovasse materiale in merito è pregato di inviarlo a redazione@crueltyfreewebradio.org

Francesca Fugazzi

http://www.crueltyfreewebradio.org/?p=7156

4 commenti:

  1. ..come sempre mitica ROSA!!! grazie di tutto quello che pubblichi (e che io puntualmente diffondo su FB!

    RispondiElimina
  2. Grazie a te Mamma F per la condivisione!

    Diffondere, diffondere...
    ...questo articolo mi lascia esterrefatta!!!

    Fortunatamente il pane lo faccio io, e ultimamente ho abbandonato pure il lievito di birra, sostituendolo con la pasta madre.

    Un abbraccione ^_^
    Namastè

    RispondiElimina
  3. Posto che non mi fido assolutamente dei cibi confezionati, volevo solo dire che ho lavorato per un pò di tempo in un'azienda alimentare e so che quasi tutti i problemi tecnici legati al processo di lavorazione erano stati risolti grazie all'uso della pasta madre.
    In ogni caso se tutto questo fosse vero non mi stupirebbe affatto.So di sicuro che è sempre meglio farsele a casa le cose, se si ha il tempo.Ho assistito coi miei occhi al carico di farine su un container che aveva appena trasportato sostanze cancerogene.Ce ne siamo accorti per caso,ma quante di queste cose succedono ogni giorno senza che nessuno se ne accorga?

    RispondiElimina
  4. Anonimo innanzi tutto grazie per il tuo intervento.
    È evidente ormai che la soluzione stia nell'organizzarsi in maniera tale da riuscire ad autoprodurre il più possibile.
    Hai ragione le cose è meglio farsele a casa ed evitare, in ogni caso, i prodotti confezionati. Non oso immaginare quanti involontari (?)
    "incidenti" possono accadere durante le fasi di lavorazione di un prodotto.

    Un caro saluto
    Namastè

    RispondiElimina

La moderazione dei commenti è stata attivata. Tutti i commenti devono essere approvati dall'autore del blog.
Non verranno presi in considerazione gli interventi non attinenti agli argomenti trattati nel post o di auto-promozione.

Grazie.