venerdì 20 agosto 2010

Flussi di materia e finanza: a chi serve il potassio

Diego Barsotti

LIVORNO. I flussi di materia raramente trovano spazio sui giornali economici, men che mai in quelli generalisti o nelle parole e nelle preoccupazioni dei politici. E anche lettori e cittadini sono ovviamente disabituati a questi temi, e probabilmente un po' spiazzati dalle paginate che fanno riferimento al caso Npk, alla Bhp Billiton e all'Opa tentata su Potash, attentamente seguita dalle grandi banche d'affari come Jp Morgan.

Sfruttando le competenze del Sole 24 Ore proviamo a fare chiarezza, intanto sulla sigla Npk, acronimo giornalistico che fa riferimento ad azoto (N), fosforo (P) e K (potassio), elementi alla base dell'agricoltura intensiva globalizzata frutto della cosiddetta rivoluzione verde degli anni 60. Per molti (per esempio per il quotidiano di Confindustria) una rivoluzione riuscita e una rivoluzione che oggi dovrebbe essere ripetuta, per noi invece un tentativo di allungare al massimo i limiti fisici del pianeta e della sua capacità produttiva, che in realtà di risultati non ne ha dati molti e che si fonda anche su un presupposto tutto da dimostrare e che la scienza oggi sta mettendo in discussione: ovvero la stessa crescita demografica che al 2050 dovrebbe portare gli abitanti della terra oltre quota 9 miliardi.

Questo il contesto, fatto dunque di materie prime e di limiti fisici. La cronaca invece ci parla di una corporation canadese, la Potash, che produce tutti e tre gli elementi e sulla quale si sono concentrate le attenzioni della più grande società mineraria del mondo, la Bhp Billinton che ha presentato un'offerta ostile. Ma dietro a queste due potenze minerarie c'è tutta una pletora di banche e studi legali che in una vorticosa danza di scacchistica incarnano bene il processo di finanziarizzazione della società: Bank of america Merryll Lynch, Goldman Sachs, Rbc Capital Markets, Jp Morgan, Td Bank, Santander, Aarclays, Bnp Paribas e Rbs Group Plc. più gli studi legali Cleary Gottlieb Steen & Hamilton Jones Day e Stikeman Eliott...

Tutto si gioca sulla disponibilità limitata di queste risorse vitali per l'uomo, che si accorcia o si allunga in base alle stime di crescita demografica ma anche sulla base di vere e propie speculazioni finanziarie che decidono scorte e stoccaggi. Il Sole 24Ore di oggi peraltro si finge stupito di una notizia: non a tutti piace la Potash: «pochi giorni fa il fondo pensione dei dipendenti pubbblici norvegesi l'ha cancellata dal portafoglio titoli perché la Potash continua a importare fosforo e fosfati dal Marocco, il quale se li procura in un Sahara occidentale illegalmente occupato».

In un mondo normale, inteso come un mondo che conosce i propri limiti e che legge correttamente l'economia come uno strumento nelle mani della politica affinché possano essere prese le decisioni migliori per preservare l'umanità e le sue generazioni future, non ci dovrebbe essere stupore. In un mondo non impalato al totem della crescita a tutti i costi, i cosiddetti investitori istituzionali che operano professionalmente nell'investimento di denaro altrui sui mercati finanziari, e che hanno assunto nel corso degli ultimi vent'anni un peso sproporzionato nell'ambito dell'economia globale e il cui capitale è formato dai risparmi di milioni di cittadini normali, potrebbero e dovrebbero scegliere canali di investimento sostenibili ambientalmente e socialmente. Invece si risponde soltanto all'obbligo della remunerazione dell'investimento e nessuno di noi sa se la propria pensione integrativa verrà accumulata sulle spalle di qualche minatore africano pagato un dollaro l'ora o di un bambino costretto a riciclare a mani nude grammi di sostanze preziose e/o tossiche nascoste nei nostri telefonini usa e getta.

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