giovedì 26 agosto 2010

Sulle deportazioni dei Rom dalla Francia. Oltre la cittadinanza comunitaria


E se questo vuol dire rubare,
questo filo di pane tra miseria e sfortuna
allo specchio di questa kampina
ai miei occhi limpidi come un addio
lo puó dire soltanto chi sa di raccogliere in bocca
il punto di vista di Dio

(F. De andrè, Khorakhanè)
di Alessandra Sciurba
Abbiamo tante volte parlato della fortezza Europa, della distinzione tra cittadini comunitari e cittadini dei paesi terzi come la linea giuridica e sociale attraverso la quale passava l’accesso ai diritti. La sorte dei Rom europei, comunitari anzi, è l’esempio più eclatante di come questo criterio non sia valido, in realtà, per tracciare in Europa quella che Foucault ha definito la separazione biopolitica tra chi deve vivere e chi può essere lasciato morire, necessaria al fine di rendere le società governabili.
Quello che sta accadendo in questi giorni in Francia, l’espulsione collettiva di centinaia di Rom (93 persone sono già state deportate su due voli da Lione e da Parigi verso la Romania e la Bulgaria, e altri due aerei sono previsti entro fine agosto) è la concretizzazione dell’esistenza di almeno due diversi livelli di cittadini comunitari, e per quelli di serie B non sembrano servire a nulla il diritto dei Trattati e delle Convenzioni, né le Raccomandazioni e le Direttive europee. Bene che la Commissione sia stato il primo organo istituzionale a reagire, a ricordare che i Rom bulgari e Rumeni sono cittadini dell’Unione e che nei loro confronti non può essere attuato nessun diritto speciale. Ma è da tempo che, in tema di migrazioni, i governi non sembrano dare troppa importanza alle dichiarazioni che provengono da Bruxelles e da Strasburgo. Basti pensare all’Italia e al modo in cui ha del tutto ignorato la netta opposizione del Consiglio d’Europa alla prassi dei respingimenti di migliaia di migranti, quasi tutti potenziali rifugiati, verso le carceri e il deserto libico.

L’Europa della coesione sociale e dei progetti come quello che prevde 17,5 miliardi di euro stanziati dalla Commissione per il periodo 2007-2013 per l’integrazione dei Rom in 12 paesi Ue, sembra venire costantemente sopraffatta da quella securitaria e poliziesca, che utilizza il fenomeno delle migrazioni, ovvero la vita di milioni di persone, come strumento delle campagne elettorali combattute a suon di terrore da incutere tra la gente e da curare, subito dopo, con spettacoli indecenti come quello cui si sta assistendo in questi giorni nel paese della libertà, dell’uguaglianza e della fraternità. Che le vittime siano dei cittadini comunitari, status che loro malgrado i paesi della nuova Unione a 27 hanno visto accordare anche alle minoranze dei nuovi Stati aderenti, rende solo più evidente la gravità di questa situazione.
E poi ci sono i Rom, nello specifico, questa popolazione che secondo il Consiglio d’Europa non supera i dodici milioni di persone, e che ha subito le peggiori persecuzioni della storia. Le peggiori sì, perché quelle in proporzione meno commemorate e ammesse, quelle quasi giustificate dalla “diversità” di questa gente stabilita molto spesso su enormi equivoci come quello di ritenere che si tratti di persone che hanno tutte la vocazione culturale a non stanziarsi in nessun luogo, pregiudizio infondato che giustifica il loro concentramento in campi dove la dignità umana viene costantemente violata. Nessun progetto davvero concreto per loro, perché troppo sfuggenti a tutte le categorie previste e troppo comodi, certamente, come capri espiatori da sacrificare in ogni momento grazie alla loro fragilità: una popolazione fragile, che dei pregiudizi che l’hanno sempre circondata è stata costretta a fare uno stile di vita.
È troppo stupido dire qui, adesso, cose ovvie come quelle che anche tra i rom, o soprattutto tra i rom, c’è gente che delinque, o che molti bambini Rom non vanno a scuola. Si stenta a credre che nel 2010, dopo il terribile passato di questo continente in tema di razzismo e intolleranza, si sia ancora capaci di criminalizzare intere etnie attarverso la loro stigmatizzazione in quanto problema sociale.
Le cause formali delle deportazioni francesi di questi giorni sono confuse. Si va dalla giustificazione del rimpatrio volontario (e negli ultimi anni abbiamo imparato bene quanto volontari siano la maggior parte dei rimpatri dall’Europa), alla mancanza di mezzi e alla pericolosità sociale. Questi ultimi due elementi vengono enunciati insieme, come se fossero la stessa cosa, senza fare alcuna distinzione tra i singoli casi, anche se il governo francese continua a dire che tutte le posizioni dei rimpatriati sono state analizzate individualmente. Eppure proprio la Francia, con la legge Besson del luglio del 2000 aveva attuato uno degli strumenti più avanzati in materia di “integrazione” non solo dei Rom stanziali ma “addirittura” delle “gens de voyage”. Peccato che le aree attrezzate che dovevano sorgere in ogni Comune non siano nate che in minima parte. Da qui la costrizione, per queste persone, a stazionare illegalmente dove riescono, a errare di continuo. Ma è sempre più semplice colpevolizzare chi subisce una mancanza istituzionale che valutare i come e i perché di quell’inadempimento. Alla criminalizzazione della povertà, del resto, siamo sempre più avvezzi in questa società liberale in crisi in cui chi affonda (a meno che non si tratti di una banca) diventa da un giorno all’altro un marginale e un potenziale pericolo.
Ogni giorno che passa stiamo scegliendo la nostra Europa, e al di là dell’operato dei governi e delle dichiarazioni delle istituzioni europee, quel che fa davvero paura è la mancanza di reazione della maggior parte dei cittadini, il restare indiffrenti o compiaciuti di fronte ad azioni di polizia come quelle francesi o ai respingimenti dei profughi verso trattamenti inumani e degradanti. Il non sentirsi mai in qualche modo responsabili del destino degli altri perché troppo intenti a difendere il proprio senza mai capire che esiste un’interdipendenza inscindibile.
Finchè non verremo tutti toccati dentro le nostre case, direbbe Brecht, e non ci sarà rimasto più nessuno a protestare per la nostra sorte.

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