mercoledì 18 agosto 2010

PIL: e vissero felici e contenti … o no?


Sul PIL (Prodotto Interno Lordo) si fonda la nostra società dei consumi. Averlo alto o basso cambia completamente le prospettive e perfino il nostro stato mentale. Durante la recente crisi non si è parlato d’altro come se un “più” davanti allo 0,005 comunicato dal telegiornale fosse premessa indispensabile per la riassunzione del personale in esubero, per la ripresa dell’erogazione di prestiti da parte delle banche, per la riapertura dei negozi e piccole aziende, irrimediabilmente chiuse per la volatilizzazione dei clienti.
La domanda che uno si dovrebbe fare è “Come diavolo incide un PIL più o meno alto sulla mia vita?. E’ proprio vero che se il PIL sale, anche io divento più ricco?” come sembra adombrare il TGX, il Corriere di Vattelapesca, il Giornale del giorno dopo, eccetera, eccetera?
Ci sono economisti che scrivono libri interi sull’argomento. Forse meno conosciuta è la posizione di altri “scienziati”, dei quali ho parlato spesso qui dentro, e che fanno riferimento al Movimento per la Decrescita Felice, che ha in Maurizio Pallante il suo paladino italiano e in Serge Latousche uno degli esponenti di maggior spicco nel mondo.
Il ragionamento è molto semplice, quasi scontato. Se io sto in coda in autostrada quattro ore – dicono al MDF – il PIL del paese aumenta (perché c’è consumo di merci: benzina, acqua, bottigliette di liquore ai mottagrill, ecc.) ma la mia vita in quelle quattro ore è una merda e faccio fatica a credere di averla migliorata. Molti altri esempi si possono fare e tutti vanno nella stessa direzione. Ma il senso è uno solo: è meglio avere “in mano” le merci che ci servono (i “beni” della nostra vita) o i soldi per comprarle? Quale delle due soluzioni ci dà più sicurezza?
Insomma pensare davvero che il PIL “misuri la felicità” è una fesseria piuttosto grande.

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